17. Dimidium animae meae

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Lui aveva qualcosa.
Qualcosa che gli altri non avevano.

Becky.

Varcai la soglia di casa, un forte odore di alcool sorse sotto il mio naso. Stringendomi le braccia al petto, intravidi Brad, seduto nella sua poltrona, con lo sguardo cupo fisso su di me mentre il rum gorgogliava in un bicchiere di cristallo lucente. Quella era la scena di un rituale angosciante, si ripeteva ogni volta che varcavo quella porta. Una sensazione troppo familiare, un'ansia costante ogni volta che tornavo a casa.

«Dov'é che sei stata tutta la notte, bimba?»

Mi paralizzai, il respiro diventò un peso nel petto ingestibile.

Brad si alzò, ingoiò in un sorso tutto l'alcol e cominciò a circondarmi. Annusò il profumo sulla mia pelle, toccò i miei vestiti, poi si fermò dietro di me, fece schiantare il bicchiere contro la parete. Sobbalzai, deglutendo a fatica e subito dopo lui affondò la mano nei miei capelli, stringendoli in un pugno alla nuca, inclinando la mia testa.

Gemetti per il dolore, una smorfia dipinta sul viso.

Sentii la sua bocca sulla mia, il respiro carico d'alcool mi fece salire la bile in gola.

«Cosa cazzo non capisci sul fatto che non devi frequentare Jace Pressley?» Ringhiò, incazzato.

Tremai.

«Lasciami andare.» Digrignai tra i denti stretti, sentendo la sua presa stringersi sempre di più e le lacrime premere.

«Sembra che le mie minacce non sono servite con lui. Pensavo che fosse finita, avrei potuto lasciar perdere, ma vedo che neppure le mie parole su di te lo hanno spaventato.»

La sua mano mi lasciò con un colpo, spingendomi in avanti.

«Che significa?» Gli chiesi confusa, aggrottando le sopracciglia, e massaggiandomi la nuca dolorante.

Brad alzò gli angoli della bocca e si avvicinò pestando sotto i piedi i cocci di vetro, pinnandomi alla parete. Premette il suo corpo contro il mio e serrò la sua mano intorno alla mia gola, prima in modo leggero, poi sempre più forte.

«Ah, quindi non te lo ha detto?» Mi fissò dritto negli occhi, una cattiveria mai vista prima mi avvolse in una morsa stretta. «Non ti ha detto che qualche giorno fa mi ha aspettato fuori casa accusandomi di averti fatto del male?»

Ma che?

Sbarrai gli occhi, sommersa nel caos della mia mente che cominciava a riempirsi di domande.

La sua mano si strinse ancora più forte, le sue dita affondarono con forza nella mia gola, tanto da sentire la pelle lacerarsi sotto le unghia.

«Io ti ammazzo se ti permetti di dire qualcosa o accusarmi, hai capito?» Sbraitò. «Ti ammazzo!»

Iniziai a contorcermi, serrai le mani intorno al suo polso fermo, l'aria non arrivava più, i polmoni sembravano sul punto di esplodere. Sentii come se gli occhi volessero saltarmi fuori dalle orbite, e un formicolio si diffuse in tutto il corpo.

«Brad!» La voce di mia madre echeggiò nella stanza, e lui rilasciò immediatamente la presa.

Mi piegai in avanti, una mano sul petto, tossii, sentii la gola graffiarsi e il respiro asmatico riempire i polmoni stretti. Barcollai, camminando in avanti, aggrappandomi alla ringhiera, mentre grattavo con le unghie la gola ancora tra le fiamme e cercavo di ritornare alla realtà orribile che mi circondava.

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