11. Non si brilla senza oscurità

1.5K 56 8
                                    

A volte ho la sensazione
di essere sola al mondo.
Altre volte, lo so di sicuro.

Becky.

Il mio cuore batteva freneticamente, una sinfonia di ansia che risuonava nelle orecchie. Le mani tremavano mentre cercavo di afferrare un briciolo di controllo. Il mondo intorno a me sembrava distorto, come se ogni passo fosse un'immersione più profonda in un labirinto di preoccupazioni, e l'ombra persistente dell'incertezza avvolgeva affamata la mia mente.

Una lama acuminata di dolore trafisse il mio petto, un peso opprimente che rendeva difficile persino respirare. Ogni battito del mio cuore pulsava con un'agonia lancinante, mentre le lacrime si accumulavano come pioggia incessante su una ferita aperta riaperta da quello stronzo.

La sofferenza, come un'onda travolgente, inghiottiva ogni pensiero, lasciandomi immersa in un abisso di tormento emotivo.

Nel suo sguardo, mentre lo fissavo dritto negli occhi neri, stavo trovando la tempesta che mi aveva sconvolto l' anima, ma anche la quiete che stava lenendo le mie cicatrici. Era il paradosso increspato tra il tormento e la redenzione, un'aggroviglio intricato tra il male e il bene. In ogni ferita inflitta, c'era una promessa di guarigione sussurrata dai suoi gesti subito dopo gentili. Così, nel labirinto dei suoi effetti su di me, trovavo la complessità di un legame che ridefiniva la mia concezione stessa di dolore e salvezza.

«Honey.» Mormorò ancora.

«Voglio andarmene.» Scattai in piedi, scostandolo, e uscì da quella casa.

Avvertì la sua presenza dietro di me, imponente e pronta a divorarmi. Ogni passo risonava come un'eco minaccioso, l'ombra della sua figura proiettava un senso di apprensione nel mio cuore.

«Vuoi fermarti?» Mi tuonò alle spalle.

Balzai via dalla scogliera, in fretta, senza rendermi conto dell'altezza. La mia gamba si aggrovigliò e strisciò contro il muro in pietra, creando un graffio sulla coscia la coscia.

Mugolai per la fitta di dolore, portandomi una mano sui jeans strappati.

Jace mi raggiunse in fretta, sovrastandomi.

«Che cazzo?» Mi scrutò, in preda al panico.

«Stammi lontano.» Sbraitai, scansandolo ancora, con il fiato incastrato in gola che mi pensava sul petto come un macigno.

«Stai sanguinando!» Disse indicando la ferita, come se non lo avessi notato.

«Chi se ne frega!»

Mi incamminai zoppicando verso la macchina, affondando i piedi nella sabbia, piantandolo lì. Volevo andarmene via, ero cosi arrabbiata con lui per quello che mi aveva fatto, che avrei voluto vendicarmi uccidendolo.

Ma lui mi raggiunse a passo svelto, e si parò davanti, tagliandomi la strada.

«Non so cosa mi sia preso, ho esagerato.» Ringhiò a denti stretti.

Scossi leggermente il capo, e recuperai un briciolo di calma.

«É solo colpa mia, hai ragione, ti ho dato un'arma perfetta per ferirmi.» Gli spiegai, alzando le mani in segno d'arresa. «Non dovevo fidarmi di te, e rivelarti certe cose della mia vita.»

SonderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora