15. Lullaby

1.4K 46 0
                                    

Rischia,
magari cambia tutto.

Becky.

L'interno della chiesa vecchia e antica trasudava un'aria inquietante di sacralità. Attraversai l'entrata e mi diressi a destra, permettendo al mio sguardo di posarsi sull'altare ormai sfogliato e mal ridotto. Le pareti erano logorate dal tempo, e i banchi sfregiati e vecchi erano spostati tutti ai laterali, per fare spazio in mezzo. Un'aroma avvolgente di incenso mescolato con una nota terrosa pervadeva l'aria, il profumo pungente delle candele vacillanti mi pizzicò il naso, mescolandosi con l'odore intenso dell'erba bruciata di qualche spinello e dell'alcol consumato in quel posto.

Chi permetteva una cosa del genere in un luogo sacro? Com'era possibile?

Ma Jace Pressley aveva la mente contorta, persuasiva, manipolatrice, giusto?

Qualsiasi cosa gli sarebbe stata concessa.

Camminai vicino al muro, cercando di scansare la miriade di studenti che opprimevano quel posto, passando le mani sui rinfreschi dipinti e ormai squarciati dal tempo. Era vecchio quel posto, sembrava abbandonato, ma avevo sentito dire che il parroco non voleva che venisse chiusa e sconsacrata almeno fino alla sua morte.

L'aria era piena e soffocante lì dentro.

Mi fermai di fronte al piano bar, sentendo il richiamo amaro dell'alcol nell'aria. Afferrai con un misto di desiderio e disperazione un bicchiere colmo, il liquore scivolò giù nella mia gola con la promessa illusoria di sollevare il peso che portavo. Abbassai lo sguardo, la vista delle pasticche esposte, in quella sorta di presentazione macabra, catturò la mia attenzione. Erano lì, come se fosse normale, come se non ci fosse nulla di male nell'affrontare il dolore con quei piccoli atti di autoannientamento.

Le fissai, forse un minuto di troppo, il dubbio si incastrò nella mia mente. Mentre l'idea di prenderle e lasciare che la loro forza avvolgesse la mia realtà diveniva un pensiero sempre più tangibile, sentivo il richiamo oscuro di una via d'uscita, anche se fosse stata definitiva.

Ryan aveva parlato della loro capacità di spegnere la realtà; forse, in quel momento di fragilità, avrebbero potuto servire come un rifugio illusorio dalla tempesta che stavo attraversando e salvarmi.

«Non pensarci nemmeno.» La voce di mio fratello si insinuò fastidiosa nella mia testa, quando allungai una mano verso di esse e rimasi a mezz'aria.

I miei occhi scattarono su di lui, che mi scrutava con intensità, dalla sua spropositata altezza. Alzò una mano e la posò delicatamente sulla mia guancia stringendo sulla mia pelle come per farmi sentire bene la sua presenza e mi lasciò un bacio sulla fronte, ma io mi ritrassi istintivamente. Passai il dorso della mano sotto gli occhi, dove avvertivo ancora i segni del trucco ormai sciolto dalle lacrime versate poco prima.

«Ti ho detto che non devi toccarmi.» Digrignai a denti stretti, tremante.

Anche il suo tocco, adesso, mi faceva paura. Non ci parlavano da due giorni, da quando avevamo avuto quel battibecco in classe, perché non mi ero fatta vedere il giorno precedente e non lo avevo avvisato.

Ryan mi osservò intensamente, scrutandomi negli occhi. Per la prima volta nella mia vita non mi rispecchiai nella sua anima, non c'era più niente di simile a me, se non i tratti di somiglianza.

SonderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora