47. Resilienza

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Tu sei veleno
e antidoto.

Becky.

Al mio risveglio dal coma, sperimentai una profonda confusione e uno spaesamento sconosciuto. La percezione distorta del tempo e le trasformazioni accadute intorno a me avevano generato un senso di smarrimento e nel tentativo di orientarmi, le emozioni si erano manifestate come una tempesta pronta ad inghiottirmi.

La paura, in particolare, aveva agito come un'ombra persistente, avvolgendo la mia mente con l'incertezza di tutto ciò che avevo intorno e di cosa fosse accaduto.

Tuttavia, era successa anche una cosa inaspettata e strana; in me era nata anche una determinazione indomita, un desiderio ardente di comprendere e adattarmi al mio nuovo contesto di vita, scandito da riflessioni profonde che non sapevo di potere pensare e dalla volontà di riappropriarmi della mia esistenza.

Mi tirai a sedere sul letto e strinsi le lenzuola nei pugni, quando la voce sconnessa di Jace varcò la porta facendomi piombare nella realtà e si insinuò in me come una freccia al cuore.

Il respiro si fece irregolare, il desiderio di raggiungerlo bruciava dentro come una fiamma, ma il mio corpo dolorante sembrava bloccato, la voce muta e la mente ancora assopita. I sensi sfuggivano al mio controllo, l'orientamento perduto e l'unica cosa che percepii era il buio della notte insinuato nella stanza. Lentamente, mi rannicchiai su me stessa, chiudendo gli occhi nel tentativo di scaldare quel freddo che persisteva dentro di me.

Solitamente, ricorrevo alla musica o al sonno per scappare dai pensieri, ma in quel momento mancavano entrambi, e trovarmi sola con i miei pensieri non prometteva nulla di buono.

Non seppi quantificare il tempo trascorso in quella posizione, ma quando udii il rumore della serratura scattare, sollevai le spalle e scivolai con lo sguardo verso la porta.

Il cuore mi salii in gola e batteva incessante pronto a rivedere Jace, ma quando vidi solo mia madre, l'organo si sprofondò pesantemente nello stomaco. Mi irrigidii, stringendo ancora di più le ginocchia al petto.

Mi scrutò per un attimo e chiuse immediatamente la porta alle sue spalle, a chiave. Poi, fissò lo sguardo su di me, osservandomi attentamente.

«Ancora una volta Becky, che cosa pensavi di fare esattamente?» Il suono del tacco risuonò nella stanza come una tortura alla mia mente, mentre si avvicinava con passo lento.

Un groppo mi si formò in gola, e un senso di paura mi avvolse come un abbraccio stretto e opprimente.

Desideravo liberarmi di lei, di Brad e di tutto ciò che mi avevano inflitto, dell'abbandono di mio fratello, delle bugie di Jace e il male che circondava la mia vita. Mi sentivo come se avessi compiuto quel gesto in modo involontario, ma al contempo consapevole di ciò che stavo facendo.

Ma, alla fine, quello che desideravo di più era solo smettere di sentire quel vuoto dentro di me come se fossi solo un'ombra nella mia stessa esistenza.

Mia madre si fermò ai piedi del letto, stringendo le mani intorno alla fredda sbarra, senza smettere di osservarmi.

«Sai cosa succederà adesso, tesoro?» Continuò a insistere, rendendosi conto che non riuscivo neanche a parlare.

La mia gola era completamente prosciugata, avvolta in una morsa arida e secca. Ogni tentativo di deglutire sembrava infrangersi contro un deserto interno. Il tremore attraversava il mio corpo, scuotendomi come una foglia sospinta dal vento dell'ansia.

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