•73 Per raggiungerti

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Non facevo che pensare ad Eijiro, continuamente.
Dal turno al videonoleggio insieme di due giorni prima non avevo smesso di pensare a lui nemmeno per un momento, nonostante tutti i miei impegni giornalieri.
Pensavo a lui durante le lezioni, cercando dalla finestra anche solo un ciuffo dei suoi capelli. Pensavo a lui mentre scherzavo coi miei amici durante la pausa pranzo, sforzandomi di ridere insieme a tutti gli altri.
Pensavo a lui dentro alla mia camera, cercando di tenere la testa china sugli appunti delle lezioni di quel giorno, senza riuscire a concentrarmi.
E pensavo a lui prima di prendere sonno, credendo di scorgere il suo viso perfino sul soffitto bianco.
Mi sembrava di impazzire, mentre dentro di me imperversava una furiosa lotta tra due parti quasi ugualmente grandi di me.
La prima che non riusciva a lasciare da parte il ricordo di lui insieme a me e la seconda che continuava a pensare a quanto avevo sofferto chiusa in casa mia, cercando di mettere un po' a tacere il dolore assordante che bruciava nel mio petto.
Poteva la paura essere più forte di un sentimento? Un tempo avrei risposto sicuramente di no, eppure in quei giorni lo stavo sperimentando sulla mia pelle. Tant'è che un momento prima avevo voglia di mandare tutto all'aria per correre da lui, un momento dopo le mie gambe si bloccavano e la mente mi offriva vari scenari della sua schiena che si allontavana di nuovo da me.
Poteva un ricordo doloroso prevalere sui ricordi felici? Evidentemente sì, poteva.
Anche se non avrei voluto. Anche se desideravo solamente rivivere quell'emozione; quella che un tempo provavo quando mi bastava solo percepire la sua presenza accanto a me, per sentire di non avere bisogno di altro al mondo. Una parte del mio cuore voleva rivivere tutto quello disperatamente, anche solo per un'altra volta, solo che sentivo qualcosa di mostruosamente grande bloccarmi, senza riuscire a capire cosa.
<<La seconda porzione di soba sta per arrivare. La proprietaria ha detto che mancano meno di dieci minuti>> disse una voce alle mie spalle.
Per poco non saltai in aria dalla sorpresa, ma riuscii a fermarmi giusto in tempo, voltandomi ad occhi sgranati in direzione di un impassibile Shouto Todoroki. In piedi dietro di me con una postura perfetta come suo solito.
Quel pomeriggio avevamo deciso di uscire insieme dopo la scuola. Io, lui e Denki Kaminari, solo per provare un ristorante che si occupava di vendere esclusivamente soba.
Era stato il bicolore a chiederci di andare lì e nessuno di noi se l'era sentita di rifiutare. Intanto perché il ragazzo non era solito spendersi in proposte per uscire ed in secondo luogo perché incuriositi di provare quel posto, siccome consigliato dal ragazzo che amava la soba più di chiunque altro in tutto il Giappone.
In effetti non si era sbagliato: era davvero deliziosa, tanto da spingere tutti a chiedere il bis.
Io nell'attesa ne avevo approfittato per uscire a prendere un po' di aria all'esterno del locale, solo che poi ero finita col perdermi nei miei pensieri, restando fuori per più tempo del dovuto. Shouto era quindi venuto a cercarmi, forse per controllare il motivo del mio attardarmi.
Aprii la bocca per rispondergli, tuttavia bloccandomi al suono di una notifica.
<<È tuo fratello>> dissi quindi a colpo sicuro. Ero solita infatti mettere un suono diverso di notifica per ogni persona, così da capire immediatamente il mittente di ogni messaggio. Non potevo quindi sbagliarmi.
Shouto si limitò a fissarmi in attesa, mentre io tiravo fuori il cellulare dalla tasca per leggere il contenuto del messaggio.
<<Dice che la prossima volta che torna in città vuole essere invitato anche lui a mangiare qui, inoltre aggiunge che sei ingiusto con lui, perché non lo hai mai portato a mangiare da nessuna parte di tua iniziativa>> riferii al ragazzo accanto a me, mostrandogli brevemente lo schermo.
Shouto non disse nulla rispetto al messaggio del fratello, ma semplicemente chiese: <<È stato lui, vero?>>
Lo guardai confusa, corrugando la fronte in attesa di una spiegazione da parte sua, che non tardò ad arrivare.
<<È stato lui a chiederti di invitarmi ad uscire con te e i tuoi amici?>> articolò infine, cogliendo la mia perplessità.
La mia faccia colpevole sembrò bastargli come risposta, tanto da fargli emettere un lento e sommesso sospiro visibilmente rassegnato.
Ci aveva scoperti e probabilmente doveva averlo capito fin da subito. Non aveva senso provare a mentire per salvare la faccia.
<<Tipico di lui. Si è sempre preoccupato fin troppo per me, ancor di più da quando se ne è andato di casa, forse perché si sente ancora in colpa>> mi spiegò lui, guardandomi solo brevemente negli occhi.
Mi ritrovai a torturarmi le dita in balia dell'ansia, temendo in chissà quali conseguenze. <<Sei arrabbiato?>> trovai quindi il coraggio di chiedere.
Shouto in tutta risposta fece spallucce, mostrandosi completamente indifferente.
<<Davvero non lo sei?>> chiesi per conferma.
<<Perché dovrei esserlo? Oggi siamo andati in fumetteria e abbiamo mangiato della soba. Non avevo niente di meglio da fare, niente più di questo>> rispose lui, tornando a guardarmi di nuovo, più a lungo del solito.
Non era molto bravo ad esternare i suoi sentimenti o i suoi pensieri, ma in quella semplice risposta riuscii a cogliere perfettamente il senso: lui era felice di essere lì con noi e per la prima volta nella vita stava sperimentando la sensazione di passare il tempo con delle persone amiche, qualcosa che non aveva mai avuto il piacere di provare.
<<Ti vuole davvero bene. Lo sai, vero?>> chiesi quindi, decidendo di lasciar cadere l'argomento.
Lui sospirò di nuovo, mostrandosi ben conscio del bene che il fratello custodiva nei suoi confronti. <<Quanto ti ha raccontato del nostro passato?>>
Mi aspettavo quella domanda da parte sua e venne il mio turno di sospirare. <<Credo tutto, in realtà. Mi ha detto perché se ne è andato di casa, quello che ha fatto per sopravvivere e di come tu sia stato l'unico in grado di trovarlo.>>
Lui annuì brevemente in risposta, prima di parlare di nuovo: <<All'inizio non sono partito alla sua ricerca con l'intenzione di rivederlo e verificare le sue condizioni, ma esclusivamente per sbattergli in faccia di aver abbandonato me e i nostri fratelli.>>
La sua rivelazione riuscì a spiazzarmi completamente, portandomi a spalancare leggermente la bocca e a tendere le orecchie in ascolto.
<<Ho scoperto per caso la sua posizione. Un giorno mi stavo annoiando e ho iniziato a guardare per caso un servizio televisivo di un canale sconosciuto. Parlava della costruzione di un nuovo ponte in una città di mare a duecento chilometri da qui, finito sotto ai riflettori perché il precedente era crollato due mesi prima, causando diversi feriti. L'ho visto sullo sfondo che scaricava dei materiali da un furgoncino e senza nemmeno pensarci sono corso alla stazione dei treni per raggiungerlo, senza dire niente a nessuno.>>
Shouto era peggio del fratello quando si trattava di dialogare e vederlo mettere in fila più di cinque parole tutte in una volta fu uno shock enorme per me; tanto da obbligarmi a chiudere la bocca per non emettere nemmeno un suono, temendo di rompere quella specie di incantesimo che lo aveva convinto a raccontarmi tutte quelle cose.
<<Prima di salire su quel treno ero davvero arrabbiato con lui e lo reputavo un egoista, solo che più mi avvicinavo e più capivo di non esserlo perché se ne era andato, ma perché se ne era andato senza di me>> continuò lui, voltandosi di nuovo nella mia direzione. Lo incoraggiai a continuare con un cenno della testa, interessata a tutti i risvolti di quella storia.
Non lo facevo per amore dei pettegolezzi e nemmeno per passare il tempo, ma perché i protagonisti di quel racconto erano due persone che stavano entrando nel mio cuore ogni giorno di più: Touya, che un posto lo aveva conquistato già da tempo, e il suo fratellino, che lentamente ne stava conquistando uno a propria volta. Entrambi miei amici, chi da più tempo e chi da meno.
<<Dopo essere arrivato in quella cittadina ho chiesto a una persona incontrata per strada come arrivare al ponte visto in televisione. E come programmato l'ho trovato lì, solo che non sembrava davvero lui.>>
<<In che senso non sembrava lui?>> chiesi quindi io, parlando per la prima volta da quando aveva iniziato a raccontare.
Il ragazzo ricambiò il mio sguardo solo per un momento, prima di spiegare. <<Il suo aspetto era sempre lo stesso, ma la sua espressione era completamente diversa. Non aveva più il solito viso inespressivo e stanco, ma una luce del tutto nuova.
Era tutto sudato per la mole di lavoro, ma sorrideva ed era sereno>> mi spiegò lui, parlando lentamente e molto a bassa voce <<ho realizzato solo una volta lì di non vederlo sorridere in quel modo da diversi anni a quella parte. A casa Touya aveva smesso di farlo.>>
Mio malgrado mi ritrovai con un velo di lacrime ad annebbiarmi la vista, commossa da quel racconto che stava prendendo una piega sempre più triste.
Touya mi aveva raccontato del suo passato, ma liquidando tutta la faccenda come una roba da tutti i giorni, come un qualcosa di poco conto. Grazie a quella testimonianza invece stavo scoprendo nuove sfaccettature della storia e il racconto in terza persona di Shouto stava gettando nuove luci ed ombre sul passato del fratello, dandomi modo di capire fino in fondo tutta la sofferenza che doveva aver patito Touya; costretto a lasciare casa sua a soli diciotto anni, pur di fuggire da quel clima opprimente.
<Touya è il primogenito e per diritto di nascita ha passato l'inferno peggiore di tutti per colpa di nostro padre, più di me e degli altri nostri fratelli messi insieme.>>
Todoroki si prese qualche secondo prima di continuare a parlare, probabilmente perché perso in ricordi che preferiva dimenticare, ma che sapeva di non poter fare. <<Ad esempio una volta, per colpa di un'insufficienza, nostro padre lo obbligò a studiare senza sosta per più di un giorno intero, senza cibo e senza riposo, fino a farlo collare svenuto dalla fatica. Lui aveva tredici anni all'epoca.>>
Sentii il fiato mozzarsi sul fondo della mia gola, soprattutto notando l'espressione del ragazzo accanto a me, che in quel momento sembrava rivivere quella scena con la stessa angoscia di tanti anni prima, come ancora davanti ai suoi occhi.
<<A differenza sua la nostra educazione è stata meno severa, perché era stato lui a prendersi la fetta maggiore di sofferenza.
È stato vedendo la sua espressione di quel momento, rilassata per la prima volta in vita sua, che ho capito di aver sminuito il suo dolore.
E che quindi ero io il vero egoista, non lui>> concluse il ragazzo, smettendo di guardare il marciapiede e tornando con la testa nella mia direzione, seppur per breve tempo.
<<Mi dispiace, per tutto quello che avete dovuto sopportare in questi anni. Per caso ancora adesso lui... ?>> cercai di chiedere, senza avere il coraggio di continuare la frase.
<<No, da quando Touya è scappato nostro padre ha allentato molto la corda. Forse per paura di far scappare di casa altri di noi e generare altri scandali. La fuga del suo primogenito ha fatto crollare la quotazione in borsa della sua società di diversi punti e di conseguenza non vuole più rischiare episodi simili.>>
Ero disgustata da quell'uomo che osava considerarsi un padre, che aveva fatto scappare uno dei suoi figli di casa e condotto sua moglie in una struttura psichiatrica. Lo detestavo pur senza conoscerlo. Inoltre sentivo la testa girarmi per quel carico di informazioni nuove e gli occhi pizzicare per il dispiacere, tornando con la mente all'immagine di un Touya tredicenne che collassava al suolo, stremato dalla fatica. Era terribile.
Avevo apprezzato quel moto di fiducia del ragazzo nei miei confronti, tale da spingerlo a raccontarmi tutti quei fatti personali, tuttavia non riuscivo ancora a comprendere il punto focale di quella conversazione. <<Come mai hai voluto raccontarmi tutto questo?>> chiesi quindi, non riuscendo più a trattenere quella domanda.
<<Per spiegare la mia presenza qui. Per Touya, chiederti di invitarmi ad uscire con voi, è stato il suo modo per dirmi che gli dispiace di avermi lasciato da solo. Accettare, invece, il mio per dirgli che dispiace anche a me, per aver sempre finto di non vedere tutti i suoi tentativi di aiutarmi. Ho deciso di non fare più lo stesso errore. Vi ha chiesto di essere miei amici, quindi io sarò vostro amico e cercherò di farlo bene>> mi spiegò lui.
Riuscii solo a sorridere davanti alla sua spiegazione, guardando un impacciato Shouto Todoroki fingere di non essere per niente imbarazzato dopo quella spiegazione.
Sembrava sempre freddo ed impossibile da scalfire, ma in fondo al suo cuore c'era ancora parte di quel bambino che non aveva mai avuto un padre degno di essere chiamato tale e che aveva sofferto tantissimo, soprattutto senza più il suo punto di riferimento sempre accanto a lui: suo fratello.
Avrei fatto del mio meglio per sciogliere un po' quel ragazzo apparentemente di ghiaccio, offrendogli la mia amicizia e il mio supporto, fintanto ne avrei avuto la possibilità.
Restammo in silenzio per diversi secondi, come spesso accadeva dopo un discorso particolarmente impegnativo, ma poi lui scelse di pronunciare un'ultima frase. Una frase di fondamentale importanza.
<<Una volta mia madre mi ha detto che non c'è nulla di più forte e gratificante del perdono. E penso avesse ragione. Non credi anche tu?>>
In tanti avevano cercato di consigliarmi rispetto alla mia situazione e senza alcuno sforzo riuscivo a ricordare molte delle frasi di incoraggiamento a me rivolte e che mi avevano fatto riflettere. Tutti quei consigli avevano leggermente agitato le acque dentro di me, creando qualche piccola onda capace di offrirmi un spunto per riflettere. Tuttavia quella frase in particolare sembrò scatenare un vero e proprio tsunami dentro di me.
"Non c'è nulla di più forte e gratificante del perdono. Non credi anche tu?" Una semplice frase che non smetteva di rimbombarmi dentro la testa, come un eco che man mano aumentava di volume, in maniera incontrollata.
Shouto Todoroki non sapeva nulla rispetto ai miei crucci e non stava cercando di darmi nessun consiglio in merito, tuttavia le sue parole riuscirono a colpirmi in una maniera del tutto inaspettata.

Improvvisamente, come nel trailer di un film, iniziai a rivedere in piccoli flash tanti momenti che appartenevano al mio passato e che riguardavano una sola persona nello specifico. Eijiro che mi sorrideva. Eijiro che mi prendeva la mano. Eijiro che si avvicina lentamente a me per baciarmi. La prima volta che avevo dormito a casa sua. Il primo pranzo insieme sul tetto della scuola. La prima volta in cui aveva confessato di amarmi.
Riuscii a vedere di nuovo tutto. Un ricordo dopo l'altro, come una ruota che non smetteva di girare.
<<Siete morti qui fuori? Guardate che la soba è arrivata. >>
Era Kaminari, che riuscì a riportarmi bruscamente alla realtà, strappandomi dal fiume dei miei pensieri; seppur non abbastanza da togliermi dalla testa il desiderio che stava lentamente prendendo piede dentro di me. Tant'è che senza nemmeno pensarci cacciai in una mano del biondo una banconota da 2000 yen e una da 1000 yen, probabilmente molto più del necessario, urlando: <<Questa è la mia parte, io devo scappare. Mangiate voi la mia porzione e scusatemi>>.
Iniziai a correre via ancor prima di dare il tempo ad uno di loro di pronunciare anche solo mezza parola in risposta, seguendo il forte impulso che mi imponeva di mettere fine il prima possibile a quella situazione che mi attanagliava da settimane.
Mi sentivo una povera pazza a correre in quel modo per la città, specie per gli sguardi confusi di alcuni passati, che probabilmente dovevano chiedersi il motivo di tanta fretta. Tuttavia capivo da me di non avere il tempo di preoccuparmene. Non potevo più aspettare nemmeno per un secondo.
Per tanto tempo avevo nascosto la testa sotto la sabbia, cercando di rimandare una decisione che mi attirava e terrorizzava al contempo; come due calamite che non facevano altro che respingersi nonostante i loro tentativi di ricongiungersi, solo perché rivolte nel senso sbagliato.
Mi ero sentita in quel modo per tantissimo tempo, divisa in metà perfettamente uguali e che non riuscivano a trovare un punto di contro.
Era stata la frase di Shouto a far vacillare tutti i miei dubbi e a darmi uno scossone, facendomi finalmente capire di aver bisogno solo di una cosa per risolvere tutto: del perdono. Nient'altro che del semplice perdono.
Perdono nei confronti di me stessa, per aver accumulato paura per tutto quel tempo, per non aver notato nel passato la sofferenza celata negli occhi di Eijiro, per aver permesso alle nostre strade di dividersi, senza avere mai il coraggio di affrontarlo per avere una spiegazione migliore. Probabilmente avrei potuto risolvere tutto fin da subito con un po' di insistenza e un briciolo di empatia in più, invece mi ero chiusa nella mia camera, credendo di essere l'unica a soffrire, accettando passivamente quello che il ragazzo mi aveva detto, senza avere fame della verità. Una verità che mi era diventata chiara solo diverso tempo dopo, quando avevo iniziato a dubitare delle parole del ragazzo di quel giorno, seppur comunque troppo cieca per ammetterlo del tutto.
Perdono nei confronti di Eijiro, di un ragazzo che aveva preferito chiudersi a riccio coi suoi demoni interiori, invece di aprire il proprio cuore alla persona da lui amata; un gesto di cui solo tempo dopo si era pentito, quando ormai era troppo tardi per rimediare all'errore. 
Le sue colpe erano probabilmente molto più grandi nelle mie, ma non per quel motivo impossibili da accettare e dimenticare.
Perdono per un destino che aveva portato le nostre strade a dividersi per tutto quel tempo. Forse per opera della cattiva sorte, forse perché già deciso così o forse semplicemente per permetterci di scoprire nuovi panorami, percorribili solo grazie a quelle specifiche deviazioni e magari necessarie per costruire qualcosa di più grande nel futuro.
Infine perdono nei confronti della persona che puntavo a raggiungere alla fine della mia forsennata corsa, partita dal ristorante specializzato in soba e protrattasi per dieci lunghissimi minuti, fino al locale davanti ai miei occhi. Un locale molto familiare. Il locale di mia madre.
Un volta lì mi presi giusto un minuto per riprendere fiato, cercando di lottare contro la porzione da poco mangiata, che tentava di risalire lungo la mia gola a causa dello sforzo. Fortunatamente riuscii nell'impresa di tenermi tutto dentro allo stomaco e anche in quella di riprendere un po' di respiro. Quel tanto che bastava per affrontare una discussione che non poteva più aspettare nemmeno per un secondo.
Guardai quindi per un ultima volta l'insegna del maid cafè davanti ai miei occhi. Poi entrai, semplicemente.

Rich {Kirishima x Reader}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora