•66 La tua impronta

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Non salivo sul tetto della scuola da diverso tempo, probabilmente perché durante tutte le settimane dopo la rottura con Eijiro lo avevo sempre accostato al ricordo di noi due lassù insieme, a condividere tanti piccoli ed almeno per me indelebili momenti.
Contro quelle mattonelle chiare avevo infatti riso e scherzato con lui, avevo baciato le sue labbra, accarezzato i suoi capelli e scambiato confidenze.
A pensarci a distanza di tempo mi sembravano tutti momenti lontanissimi, come parte integrante della vita di un'altra persona.
L'unica cosa a rendermi sicura di averli vissuti personalmente era la sensazione che di tanto in tanto sentivo ancora: quella della dolcezza delle sue mani contro la mia pelle e il ricordo del suo sorriso abbagliante, quello che riuscivo ancora a vedere nitidamente solo chiudendo gli occhi.
Quello stesso ragazzo di quei ricordi era accanto a me, appoggiato come me alla balaustra che proteggeva i visitatori del tetto da un incontro faccia a faccia col lontano giardino sottostante.
Da quando eravamo lì nessuno dei due aveva spiciccato nemmeno una parola ed era strano considerando che dovevano essere passati almeno dieci minuti, soprattutto dopo che il ragazzo aveva dichiarato con discreta urgenza di dover parlare assolutamente con me in merito a tante questioni.
La sua richiesta era arrivata durante il nostro lungo abbraccio, lo stesso che aveva mandato via ogni tremore e paura del mio corpo e che mi aveva fatto riassaporare sensazioni sopite da tempo.
Forse qualche settimana prima avrei rifiutato una simile richiesta, ancora troppo ferita dalla nostra brusca separazione, ma alla luce delle ultime vicende le cose tra noi erano cambiate e avevo accettato di buon grado il suo desiderio. Seppur piena di ansia e paura per ciò che voleva dirmi.
Dopo aver annuito avevamo semplicemente iniziato a camminare, con lo scopo di allontanarci dal punto del nostro abbraccio. Non era un posto malvagio per parlare, solo che la nostra privacy era stata interrotta da un chiacchiericcio non molto distante e che avevamo accostato a una giovane coppia formata da un ragazzo e una ragazza. Forse decisi a trovare un po' privacy, magari dopo essersi dichiarati davanti al falò, come il mio lato romantico aveva amato pensare.
Nonostante tutto infatti non avevo smesso di fantasticare e di credere nei sinceri sentimenti reciproci, non a causa di una singola, seppur enorme, delusione d'amore.
L'autore del mio primo cuore infranto era ancora rigorosamente in silenzio accanto a me, leggermente chino contro la superficie fredda della ringhiera di protezione, dove si stava mantenendo con l'ausilio di entrambi gli avambracci.
Faceva molto fresco lassù ed Eijiro non aveva esitato nemmeno per un secondo a darmi la sua giacca, decidendo di restare semplicemente con indosso una maglietta a maniche corte bianche.
Non avevo fatto in tempo nemmeno a rifiutare il suo moto di gentilezza, perché me l'aveva posata direttamente sulle spalle, senza chiedere nulla in merito.
Era stato l'unico approccio tra di noi da quando i nostri piedi avevano calpestato quella superficie fin troppo familiare e per tutto il tempo non avevo fatto altro che scoccargli diverse occhiate. Alcune dettate dalla mia curiosità, mentre altre dalla mia preoccupazione di vederlo soffrire il freddo.
Eijiro però sembrava perfettamente a suo agio e per niente toccato dalla leggera brezza fredda che soffiava su di noi e muoveva i nostri capelli.
Il meteo era ancora dalla nostra parte data la stagione, ma iniziava ad essere tardi e la terrazza era molto alta rispetto al giardino, quindi molto più esposta e lontana dal calore del falò.
Inavvertitamente mi incantai ad osservare la danza delle sue ciocche rosse mosse dal vento e che accarezzavano dolcemente il suo viso e le sue grandi mani che di tanto in tanto cercavano di liberare gli occhi da quello che sembrava essere un fastidio.
Senza gel in fondo aveva i capelli abbastanza lunghi e non doveva essere abituato ad averli costantemente davanti al viso come in quel momento, indomabili a causa del vento.
Ne ricordavo ancora il profumo, così come la sensazione sotto le dita e per un secondo soltanto sentii prudere i polpastrelli dalla voglia di scostargli da davanti agli occhi una ciocca particolarmente ribelle. Solo che non lo feci.
Stare accanto a lui in silenzio non mi dispiaceva. Era bello e mi trasmetteva tranquillità vedere il suo profilo mosso dal vento e sentire il fugace tocco della sua spalla che ogni tanto toccava inavvertitamente la mia, solo che al tempo stesso desideravo davvero conoscere la natura della sua richiesta di parlare con me.
Era infatti frustrante aspettare parole che ancora non si decidevano ad arrivare e più volte aprii la bocca per dire qualcosa, tuttavia trovandola secca e senza abbastanza fiato per dire qualsiasi cosa.
Riuscivo solo a guardarlo con la coda dell'occhio, giocando nervosamente con le mie stesse dita intrecciate davanti a me.
Eijiro sembrò notarlo e girandosi leggermente nella mia direzione sospirò, prima di prendere una grande boccata d'aria. Come per prepararsi a qualcosa di molto difficile da dire.
Poi finalmente pronunciò le prime parole da che avevamo messo piede sulla terrazza della scuola. <<Grazie per aver accettato di venire quassù per parlare con me. Sappi che puoi sentirti libera di andartene in qualsiasi momento se qualcosa che ti dirò non dovesse andarti a genio, va bene?>>
Sentivo incertezza nella sua voce e il suo tono era molto più basso del solito, forse perché spaventato all'idea di pronunciare quelle parole a voce troppo alta.
A volte parlare flebilmente ci fa irroneamente credere di rendere meno dure o meno gravi le nostre parole, forse perché consapevoli di dire qualcosa che ci imbarazza molto, a volte invece è solo lo specchio delle nostre paure. Un po' come parlare più a se stessi nel tentativo di darci coraggio, piuttosto che alla persona di fronte a noi e che in quel momento temiamo. E il ragazzo sembrava davvero spaventato dal peso di quello che doveva dire, quindi probabilmente cercava in tutti i modi di rendere meno udibile il suono della sua voce.
Decisi di rispettare il suo timore, limitandomi ad annuire leggermente per non interrompere il flusso delle sue parole, partite dopo evidenti minuti passati a raccogliere il coraggio.
<<Scusa se non sono venuto prima da te per parlare della situazione, ma non sapevo come comportarmi. Temevo di essere giustamente respinto o allontanato o di farti stare ancora male. Non riuscivo a trovare il modo e nemmeno il momento o semplicemente le parole, ma adesso credo sia arrivato quel momento>> continuò quindi lui, prendendo a torturarsi le dita nel mio stesso modo.
Sembrava davvero schiacciato ed io mi limitai a restare in un religioso e rispettoso silenzio.
Avrei parlato al momento opportuno, dopo avergli dato il tempo materiale per arrivare al nocciolo della questione. E soprattutto ero decisa a mantenere quanto possibile la calma, indipendentemente dalle parole che sarebbero arrivate da lui.
Il ragazzo prese un altro grande respiro, prima di smettere di torturarsi le dita e raddrizzare la schiena, arrivando a voltarsi completamente nella mia direzione.
Il suo sguardo era cambiato tutto d'un tratto e trasmetteva la decisione di parlarmi con onestà e schiettezza, senza nascondersi dietro a sguardi che sviavano e parole dette a voce troppo bassa.
<<Per me non è facile essere qui davanti a te in questo momento a parlarti col cuore in mano. Eppure dopo tutto questo tempo mi sembra doveroso spiegarti davvero cosa è successo quel giorno, per l'esattezza quando ho rovinato tutto.>>
Lo guardai sorpresa, decidendo di mettermi di fronte a lui a mia volta, considerando la serietà della conversazione che stava prendendo vita.
<<Te la senti di ascoltare cosa ho da dire? Non sto per dirti cose semplici e non ti biasimo se mi dirai di non avere intenzione di sentirle>> mi chiese lui, rendendo vano il mio tentativo di restare in silenzio fino alla radice della questione.
Forse era solo una mia intenzione nata dal mio essere codarda in quel momento, ma mi rendevo conto che lui aveva bisogno di vedermi e sentirmi partecipe in quel momento e che non si accontentava del mio silenzio o dei cenni della mia testa.
<<Resterò qui ad ascoltare, qualsiasi cosa tu decida di dirmi. Però se mi consenti... perché proprio adesso? Perché non prima? Eppure ne è passato di tempo da quando... beh, da quando è successo>> chiesi io a mia volta, senza avere il coraggio di dire ad alta voce che ci eravamo lasciati.
Gli occhi di Eijiro in quel momento erano come una coltellata al petto per me, perché nascondevano dentro un sacco di emozioni, purtroppo apparentemente tutte tristi e negative.
E lo furono anche le parole che mi arrivano in risposta. <<Perché ho avuto paura, dal momento esatto in cui ti ho vista andare via col vestito stropicciato e le lacrime agli occhi. Ogni volta che ti scorgevo anche solo da lontano sentivo il desiderio di venire da te per dire qualcosa, ma come facevo per decidermi ti rivedevo come in un loop crollare in ginocchio davanti a me e pensavo fosse meglio così, pensavo fosse meglio starti alla larga e sperare di sparire dalla tua mente. Speravo almeno di farti soffrire di meno, visto che ormai avevo già combinato un disastro.>>
Le sue sembravano le parole di una persona pentita e la questione mi confondeva molto, siccome era stato proprio lui a lasciarmi di punto in bianco.
<<Non capisco, Eijiro. Davvero, sto cercando di seguirti, ma non ci riesco. Tu quel giorno hai detto che->>
<<Lo so cosa ho detto. Ricordo ogni parola da idiota che ti ho detto, perché le ho ancora tutte ben fisse nella mia memoria, come da appena pronunciate. Ricordarle tutte è il mio tormento e la mia punizione>> mi bloccò lui, iniziando a stringere forti le mani a pugno.
La sua voce si era un po' alzata nel rispondermi, ma non per un attacco verso di me, ma piuttosto per un'evidente rabbia verso se stesso.
<<Ogni notte, quando chiudo gli occhi, io rivivo quel momento e non riesco a dormire. Sono tormentato da quei ricordi e spesso ho solo desiderato di poter riavvolgere il nastro, tornare indietro e cancellare tutto. Capisci cosa sto cercando di dirti?>>
Sentire quelle parole fu per me come ricevere un pugno sulla bocca dello stomaco per la sorpresa e solo un momento mi sentii talmente provata da desiderare di piegarmi a terra o al contrario scappare via per non tornare mai più, eppure decisi di restare ferma lì, perché io meritavo di sapere e lui nonostante tutto meritava almeno un'occasione per parlare della situazione. Glielo dovevo dopo tutto quello che aveva fatto per me.
Non esisteva più rancore da parte mia, solo tanta nostalgia e tanta tristezza per cose che erano passate e che a parere mio non potevano più tornare indietro.
<<Credo di sì, ma preferirei sentirlo dalla tua bocca, se non chiedo troppo>> ammisi con voce flebile, confermando inconsciamente la mia idea che le persone tendevano a parlare a voce bassa quando erano spaventate dal peso delle loro stesse parole o delle proprie richieste.
<<Sto cercando di dirti che mi pento ogni giorno di averti lasciata e che col senno di poi mi sono reso conto di aver reagito solo di impulso. Ti sto chiedendo scusa per essere stato un codardo e per non averti dato quello che meritavi di ricevere>> rispose lui.
La sua voce, al contrario della mia, non era bassa e flebile, ma era piuttosto ferma e decisa, al punto da rendere impossibile non credere alla sincerità dietro quello che mi stava dicendo.
I suoi occhi invece non avevano più segno di paura, ma sembravano ardere di un fuoco che avevo visto raramente bruciare nello sguardo di qualcuno. Sembravano gli occhi di una persona che cercava di trasmettermi nella mia maniera più assoluta possibile di potermi fidare.
Avevo tutte le prove davanti a me, eppure mi ritrovai comunque ad arretrare di un passo. Colpita dalle sue parole come da un'onda d'urto.
Sentii nuovamente dentro di me farsi largo la voglia di scappare via, forse a causa del lato ancora ferito di me che cercava di mettermi in guardia e mi urlava di correre ai ripari, ben consapevole di provare ancora una forma d'amore troppo grande nei confronti del ragazzo fermo davanti a me.
Non provavo infatti più rancore, ma non avevo dimenticato tutte le lacrime versate e la voragine nel petto che non ero ancora riuscita a riempire nemmeno di un granello.
Una parte del mio cuore l'avevo lasciata in quel vicolo, nello stesso punto dove mi ero inginocchiata piegata dalla consapevolezza di non poter più stare al suo fianco. Quando mi ero rialzata da terra era rimasta lì e lì era morta, appassendo lentamente.
Mi sentii mancare ed Eijiro notandolo mi afferrò saldamente per un polso, riuscendo a riportarmi in qualche modo alla realtà.
Per qualche secondo lo guardai fisso, senza riuscire a capire davvero chi o cosa stessi guardando, con uno strano ronzio alle orecchie che andò a scemare piano piano.
Una volta tornata in me deglutii a vuoto, sentendo la bocca arida come mai prima in vita mia, senza capire cosa fare: se piangere, se urlare o se tapparmi le orecchie per non sentire più nemmeno una parola di quella conversazione che tanto mi stava mandando in confusione.
Così come lui poco prima mi presi qualche secondo per me, per meditare e per trovare le parole.
<<Eijiro, in questo momento onestamente non so nemmeno io se sto immaginando tutto o se hai davvero detto quello che mi sembra di aver capito. Mi stai davvero dicendo che tornando indietro non mi lasceresti di nuovo?>>
<<Hai capito benissimo. È esattamente quello che ti ho detto>> rispose lui, facendo vacillare per un secondo la voce, probabilmente spaventato da una mia possibile reazione.
Eppure in quel momento io riuscivo solo a sentirmi confusa e terrorizzata, come vittima di uno scherzo che aspettavo di veder svelato da un momento all'altro. Per tale non riuscii nemmeno a rispondere.
Fu di nuovo lui quindi a prendere in mano il timone e portare avanti la conversazione. <<Forse per farti capire bene devo spiegarti tutta la situazione.>>
Le mie ginocchia tremavano in quel momento e lui sembrò notarlo, tanto da aggiungere: <<Andiamo a sederci contro il muro, non sarà un conversazione breve>>.
Non avevo molte alternative, considerando che ormai era troppo tardi per andare via e che avevo davvero bisogno di sedermi, se non volevo rischiare di finire a terra scossa da tutte quelle emozioni.
Una volta preso posto Eijiro non perse nemmeno un secondo per iniziare a parlare.
<<Essere lasciato dalla mia ex ragazza per Neito Monoma, solo perché a differenza mio ricco, al tempo è stato un duro colpo per me>> iniziò a dire lui <<lo ricordo come uno dei periodi più brutti e bui della mia vita, passati a sentirmi ogni giorno sbagliato e inadeguato rispetto al resto della società.>>
Non dissi nulla, lo solo guardai con rispettoso silenzio, per non forzarlo ad aggiungere subito altro, siccome sembrava davvero molto provato da quello che mi stava raccontando.
Mentre da una parte anche io avevo bisogno di metabolizzare man mano e lentamente ogni sua parola, consapevole di non riuscire a gestire un fiume in piena tutto insieme.
Lui infatti riprese a parlare da sé, coi suoi tempi e col suo ritmo. <<Ho iniziato ad avere attacchi di panico, spesso durante la notte, quando il silenzio mi lasciava da solo con le parole nella mia testa e mi sembrava di impazzire. Era come se tutti gli insulti e le risate alle spalle ricevute nel corso degli anni per il mio stato economico avessero deciso di condensarsi tutte nello stesso momento e credevo di non riuscire ad uscire più da quella situazione, ma poi ho iniziato il liceo e ho conosciuto te.>>
Mi chiusi nelle mie ginocchia, ma volgendo la testa nella sua direzione, per comunicargli tutto il mio sostegno e la mia attenzione. Tuttavia col desiderio di proteggermi un po' dalla sofferenza celata dietro quelle parole.
Ero infatti sempre stata di mio una ragazza molto empatica e la sua sofferenza come usciva dalla sua bocca sembrava entrare direttamente nelle mie ossa.
<<Dal momento che ti ho conosciuta mi sono sentito come dentro un giostra. Ho ricominciato a dormire la notte e ho iniziato a pensare di valere qualcosa, siccome vedere il riflesso dei tuoi sentimenti per me nei tuoi occhi mi faceva capire di piacere finalmente a qualcuno per come ero davvero. È stato il periodo più felice della mia vita, ma poi->>
Seguirono quindi dei momenti di silenzio.
<<Poi?>> chiesi quindi, dandomi mentalmente della stupida per non essere riuscita a trattenermi, soprattutto perché lui si era bloccato apparentemente incapace di continuare subito a parlare.
Lui mi sorrise imbarazzato, ma decise comunque di riprendere subito
<<Poi quando ho capito di essere innamorato di te mi sono sentito il ragazzo più fortunato del mondo, ma la gioia iniziale ha iniziato presto ad essere affiancata nuovamente dai miei demoni. Demoni che mi dicevano di non essere abbastanza, che la mia felicità non poteva durare e che non avevo nulla da offrirti, che non valevo niente e che forse prima o poi anche tu mi avresti lasciato per qualcuno con possibilità migliori delle mie>> ammise lui, chiudendosi nelle sue ginocchia esattamente nel mio stesso modo di poco prima.
Fu più forte di me e non riuscii a tenermi dentro uno sguardo accusatorio, dato dal mio fastidio di sapere di averlo portato a dubitare di me nonostante il mio amore per lui scoppiato praticamente a prima vista.
<<Posso capire benissimo perché mi stai guardando così e purtroppo non posso che darti ragione. Tu mi hai sempre trattato bene, ti sei messa perfino contro tua madre per stare con me e sei riuscita a trasmettermi un calore mai provato in vita mia. Io per ricompensarti invece non ho fatto fatto che avere paura, dubitare e piangere contro il mio cuscino quando nessuno poteva vedermi.>>
<<Eijiro, capisco che ti costa molto parlare di queste cose e vedo che sei veramente provato, ma davvero mi hai lasciata solo perché avevi paura di essere lasciato per primo? Avevo capito di essere stata scaricata perché ritenuta meno importante della tua ex ragazza, non all'altezza insomma>> chiesi.
Mi stupii nel sentire dentro di me una grande paura. Paura data dalla possibilità di sentire la sua bocca confermare le mie parole e vederlo nuovamente preferire la sua ex a me, anche se in quel momento forse non aveva più importanza visto come era andata a finire.
Lo sguardo del ragazzo si addolcì, probabilmente perché il tempo passato insieme lo aveva portato a conoscermi molto bene, più di quanto non amassi ammettere a me stessa.
<<Ti ho lasciata perché non sono stato in grado di fare la pace con me stesso, perché mi vergognavo e perché non sono riuscito a scindere te da lei. Ero incapace di vedere le vostre differenze e che tu non eri una persona cattiva come lei. Tutto questo solo perché ero terrorizzato. In quei momenti di paura rivedevo in te il suo riflesso, ma non capivo se per un legame ancora stretto con lei o se perché semplicemente spaventato dall'idea di essere abbandonato da te allo stesso modo>> disse lui.
Non del tutto contenta della sua risposta me ne restai in silenzio, nella speranza di scucire altro con la mia domanda. E così fu. <<Quel periodo lo ricordo come molto confuso e molto combattuto. Ho lottato talmente tanto con me stesso e con le paure che mi portavo dentro, fino a convincermi di essere io il problema e di non essere all'altezza di nessuno, soprattutto di te. Tu eri così bella e dolce, io invece ero solo un idiota che piangeva di nascosto e che non aveva nulla da offrirti.>>
<<Eijiro, sai che non ho mai pensato nemmeno per un secondo qualcosa di negativo su di te. Io non avevo idea che tu soffrissi così, non ne avevo davvero idea. Eri sempre sorridente e sono stata talmente cieca da non vedere nulla>> ammisi, colpevolizzandomi come non mai per non aver notato nulla di nulla.
<<Non è colpa tua. Sono stato bravo a nascondere tutto e quando ero con te stavo davvero bene, ma il problema si ripresentava quando restavo da solo. Mi sono sentito un fallito per quasi tutto il tempo e ogni giorno passato accanto a te mi faceva vergognare ancora di più della persona che ero. Mi sentivo una nullità e un verme, perché non avevo il coraggio di parlartene e perché al tempo stesso mi aggrappavo a te come un codardo per non annegare nel fiume delle mie ansie e della mia paura. Sapevo che così non poteva andare, ma l'idea di perderti era per me la prospettiva peggiore.>>
Il dolore nelle sue parole era tangibile e mi sentivo completamente impotente e spiazzata.
Gli occhi del ragazzo erano lucidi ed io sentivo una tremenda voglia di piangere per lui, per tale portai lo sguardo avanti, sperando di nascondere con la complicità del buio il luccichio delle mie lacrime, impossibili da tenere dentro in quel momento.
<<La mia voglia di tenerti con me era più grande della mia paura e anche se mi sentivo inferiore a te egoisticamente desideravo continuare a starti accanto, seppur tormentato dai miei pensieri e terrorizzato dal pensiero di poter provare ancora qualcosa per lei. Mi sentivo diviso in due e in quel momento non riuscivo a scindere le mie emozioni. Poi è arrivato quel giorno... quel giorno che tu ricordi sicuramente quanto me>> sussurrò.
Il suo tono di voce era talmente basso che quasi avevo bisogno di concentrarmi con tutte le mie forze per cogliere ciascuna delle sue parole, ma era normale arrivati a quel punto della conversazione. Dopo un fiume di confidenze così importanti.
<<Hai voglia di dirmi cosa è successo quel giorno? Cosa è successo davvero>> gli chiesi quindi, seppur tremando all'idea della risposta.
Eijiro prese un respiro più grande di tutti gli altri presi in precedenza ed io ne approfittai per asciugarmi le lacrime, prima di tornare a guardare nella sua direzione.
Avevo bisogno di guardare i suoi occhi mentre rispondeva alla mia domanda. Me lo meritavo.
<<Quel giorno ho avuto un crollo. Il giorno prima avevo avuto un momento più buio del solito e quando l'ho vista per la prima volta insieme al suo nuovo ragazzo ho sentito il peso di tutte le mie paure crollare di su me tutte insieme. Per un momento ho visto il tuo viso sovrapporsi al suo e quello di Neito a quello di un altro ragazzo riuscito a portarti via da me. Il mio cervello si è come spento e ti ho vomitato addosso tutte le mie paure e mi sono chiuso a riccio, sperando di riuscire a farti dimenticare di me portandoti a pensare di amare anche lei. Una parte del mio cuore pensava di farti un favore a liberarti di uno come me, mentre l'altra aveva solo paura di soffrire ancora come in passato.>>
Seguì il silenzio. Un silenzio gelido che passai a risentire nitidamente ogni briciolo di sofferenza provato quel giorno, ma amplificato se possibile cento volte in più.
Un silenzio che riuscii a rompere solo con rumore dei miei singhiozzi e delle mie lacrime.
Notai Eijiro allungare una mano nella mia direzione per toccarmi la spalla, salvo poi tornare indietro come scottato dalla consapevolezza di non averne nessun diritto. Sentii il bisogno di quella mano, ma al tempo stesso di vederla lontana da me il più possibile, e quel senso di confusione mi fece scoppiare a piangere ancora di più.
Quella piccola metafora mi fece cogliere la complessità del cruccio che aveva fatto soffrire il ragazzo per chissà quante settimane: la voglia di sentire accanto a te una persona, ma la paura di uscirne ferito avendola vicino. Solo che la sua sofferenza doveva essere stata mille volte peggiore della mia e il solo pensiero bastò per togliermi il fiato per un momento.
Quanto dolore, quanto dolore doveva aver patito. Completamente avvolto nel silenzio e nel buio della sua stanza, con solo il cuscino ad asciugare le sue lacrime e la falsa convinzione di non meritare l'amore di nessuna persona al mondo.
<<Sei un idiota, Eijiro, sei un idiota. Io ti amavo, ti amavo come nessuna persona al mondo e non ti avrei mai ferito allo stesso modo. Dovevi venire da me, venire a parlare con me e trovare una soluzione insieme. Potevamo farcela, lo sai vero? Potevamo farc->>
Smisi di parlare, troppo scossa dai singhiozzi per riuscire a dire solo un'altra parola.
Mi sentivo scossa, terrorizzata, incapace di smettere di singhiozzare e con la sensazione di poter annegare nelle lacrime che non la smettevano di uscire per un secondo dai miei occhi.
<<Mi dispiace, mi dispiace da morire. Ho realizzato solo quando ti ho vista andare via. Ho capito solo in quel momento che avrei dovuto parlare con te, che tu mi avresti capito e che piano piano ne sarei uscito. Invece ho rovinato tutto, ho rovinato tutto>> rispose il ragazzo, anche lui tra i singhiozzi.
Nel mentre doveva aver iniziato a piangere anche lui, ma nemmeno me ne ero accorta a causa dei miei occhi completamente appannati dalle lacrime.
<<Mi dispiace>> mi sussurrò nuovamente, portandomi tra le sue braccia.
Il suo abbraccio era disperato. Lo potevo dedurre dal suo viso premuto fortemente contro il mio collo, dalle sue braccia chiuse a morsa e dalle sue dita appuntate sulla mia schiena come a voler entrare dentro la mia pelle senza staccarsi più.
Avevo tremendamente bisogno anche io di quell'abbraccio e mi aggrappai a lui allo stesso modo. Restammo quindi in quella posizione a lungo, scossi dai tremori dei singhiozzi, ad allagare di lacrime la spalla dell'altro.
Riuscimmo a calmarci a vicenda lentamente, fino a trasformare gli spasmi in un leggero tremolio, e poi nemmeno più in quello.
<<Averti tra le mie braccia era la cosa che più mi faceva stare bene al mondo. E adesso, mentre ho l'occasione di farlo nuovo, è come tornare a respirare, dopo aver quasi dimenticavo come fare>> fu la prima cosa che mi disse lui, facendomi quasi tornare la voglia di scoppiare a piangere di nuovo.
<<Mi dispiace, mi dispiace davvero. È tardi per dirti che non ti ho mai presa in giro? Che ti ho amata davvero? Che per me sei stata come un miracolo arrivato da me quando più ne avevo bisogno? Che nelle settimane passate il tuo pensiero mi ha fatto trovare la forza per trovare la pace con me stesso?>> mi chiese a raffica lui, mentre una delle sue mani giocava con le punte dei miei capelli e il naso ne respirava il profumo.
<<Forse è tardi davvero, ma grazie per avermelo detto e grazie per avermi spiegato>> confessai, staccandomi da lui, siccome dopo aver smesso di piangere sembrava tutto abbastanza imbarazzante.
La nostra conversazione sembrava finita lì e anche lui sembrò capirlo, dato che fu il primo a rialzarsi, porgendomi la mano per aiutarmi a fare altrettanto.
L'accettai, salvo poi staccarmi subito dopo essere tornata in piedi.
Feci per andarmene via, dopo aver accennato un piccolo saluto pieno di vergogna, ma lui mi fermò per un polso.
Mi voltai incuriosita nella sua direzione.
<<Vorrei dirti un'ultima cosa prima di lasciarti andare via, perché altrimenti non so se ne troverò più il coraggio>> mi disse quindi lui.
<<Dimmi, Eijiro. Ti ascolto.>>
<<Non posso negare di non rimpiangerti. Come ti ho detto anche prima una parte di me vorrebbe tornare indietro nel tempo e cogliere al meglio le occasioni che ho avuto, considerando che non sono più lo stesso ragazzo che ti ha lasciata in quel vicolo, ma una persona nuova e più consapevole di quello che vuole.>>
Battei le palpebre confusa, non convinta di aver capito fino in fondo il significato delle sue parole.
<<Sto cercando di dirti che sono ancora innamorato di te, che non ho mai smesso di farlo e che spero che in cuor tuo ci sia ancora una minima possibilità di tornare insieme. Sappi che io ti aspetterò, per tutto il tempo necessario.>>
Di tutte le cose che mi aveva detto quella sera, di tutte le confessioni e di tutte le parole quelle furono le più dure per me. Talmente tanto da farmi restare impietrita e con gli occhi sbarrati, senza nemmeno la capacità di rispondere.
<<Non devi pensarci adesso. Io sentivo solo il bisogno di dirtelo. Di dirti che ti amo e che ti trovo bellissima, come la prima volta che i miei occhi si sono posati sui tuoi. Grazie per avermi ascoltato e grazie per avermi insegnato ad apprezzarmi per il ragazzo che sono, senza di te non ci sarei mai riuscito. Mi hai fatto il dono più grande del mondo.>>
La mano del ragazzo sfiorò brevemente la mia per un breve ma intenso secondo e prima di voltarsi per andare via accennò un sorriso carico di amore, ma anche di tristezza, nella mia direzione.
Poi mi diede le spalle e iniziò a camminare per andare via, mentre in lontananza la luce dei fuochi d'artificio del festival scolastico illuminava tutto intorno a noi.

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MOUSSE PER BISONTI

Per un secondo, solo per un piccolo secondo, ho pensato di mettere un titolo serio dopo un capitolo del genere, ma poi la mousse di bisonti ha vinto.

Questo capitolo è forse il più lungo mai scritto per questa storia, siccome di 4800+ parole.
Per un momento ho pensato di dividerlo in due parti, ma non sarebbe poi stata la stessa cosa e ho deciso di lasciarlo così.

È il capitolo più importante dopo quanto successo nel capitolo 37, che a me piace considerare il capitolo del diavolo, e che quindi di conseguenza temevo molto.

Solitamente io sono molto scontenta di ogni cosa che scrivo, ma questo mi fa meno cagare del solito e spero di aver fatto un buon lavoro.

Siamo arrivati a una parte molto importante della storia e presto arriverà il tanto promesso finale. Aggirato questo scoglio del capitolo 66 non mi manca molto da scrivere ^^ sicuramente pochi capitoli, per la gioia di quelle povere anime che hanno iniziato a seguirmi dall'inizio della storia e ancora non hanno un finale ahaha
Vi voglio bene, grazie per la pazienza

Rich {Kirishima x Reader}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora