Il parco vicino la scuola elementare pubblica sembrava provenire da un passato lontano e sconosciuto; anche se da bambina avevo frequentato quell'istituto e ne avevo combinate di tutti i colori in quel piccolo spiazzo di verde, a pochi metri dalla struttura che ricordava un enorme limone maturo. Lo stesso intonaco di tanti anni prima.
Guardando le altalene rozzamente intagliate e i cavallucci che dondolavano mi sentivo pervadere da una senso di profonda nostalgia.
Molti bambini infatti non vedevano l'ora di crescere e di fare le stesse cose della propria mamma o del proprio papà, ritenendo ingenuamente il mondo degli adulti come un mondo costellato di grandi azioni ed imprese che sembrano impossibili per chi si trova in tenera età.
Si spera quindi di crescere in fretta, per poi restare fortemente delusi quando il tempo di quelli che sembravano gesti di un supereroe arrivano, poiché fortemente diversi da ogni pregressa aspettativa.
Gli occhi di un bambino brillano e sognano di continuo, vedendo davanti a sé tante esplosioni di piccoli arcobaleni. Gli occhi di un adulto invece si appannano giorno dopo giorno, sotto il grigiore di mille responsabilità, riuscendo a vedere solo di tanto in tanto il bagliore di quella cascata di luci del passato.
Anche io da piccola, mentre giocavo in quel vecchio parco, mi perdevo spesso a pensare alla mia vita da futura adolescente o da presunta adulta responsabile e sognavo di svolgere grandi imprese.
L'adolescenza era poi arrivata prima del previsto, ma non aveva portato con sé tutte le gioie che avevo sognato e sperato.
Ovviamente la vita aveva tante belle cose da offrire, in qualsiasi fase della nostra esistenza, eppure non riuscivo più a percepire le mie giornate come avvolte da un caldo bagliore dorato, come quando da bambina mi preoccupavo solo di perdermi un episodio del mio cartone animato preferito o di sbucciarmi le ginocchia giocando a rincorrersi.
Crescere aveva portato con sé mille pensieri angoscianti, le prime paranoie e crucci che mai da bambina erano stati capaci di sfiorarmi e mentre ero lì, in quel parco pieno di ricordi felici, non potevo che provare nostalgia per quell'innocenza e quell'ingenuità oramai perdute da tempo.
Quel parco era rimasto pressoché identico, ma la persona che si lasciava dondolare su un'altalena solitaria era profondamente cambiata. Io ero cambiata.
<<Cosa abbiamo qui? Un piccolo pulcino pensieroso? Ti verranno le rughe a furia di tenere quella fronte aggrottata e poi a dirla tutta sei parecchio inquietante>> mi sussurrò una voce esattamente sopra la mia testa.
Solo una persona di mia conoscenza mi chiamava in quel modo e solo una persona di mia conoscenza riusciva ad irritarmi col quel tono canzonatorio.
<<Io inquietante? Senti da che pulpito. Sei o non sei tu quello che mi ha chiesto di incontrarci vicino a una scuola elementare? Allora è vero che sei un molestatore. Vieni qui con la speranza di rapire qualche bambino?>>
Dabi scoppiò in una risata sincera, scivolando velocemente sull'altalena accanto alla mia. Eravamo le uniche due persone presenti.
<<Certo, non mi sono riempito le tasche di caramelle per andarmene via da qui a mani vuote. Ho trovato già una ragazzina ingenua da adescare>> commentò lui.
Mi guardai intorno con circospezione, prima di realizzare di essere io la ragazzina ingenua da adescare.
<<Ingenuo sarai tu, piccolo insolente che non sei altro>> lo rimbeccai, cercando di raggiungere il suo stinco con un calcio.
Il ragazzo tuttavia riuscì a defilarsi appena in tempo, facendo dondolare la sua altalena lontana dalla mia portata.
Lo fulminai con lo sguardo, mentre lui se la rideva, incurante dell'aura oscura che mi circondava in quel momento.
Restammo a dondolare in silenzio per qualche secondo, a goderci la piacevole brezza che soffiava in quel momento.
Quella notte aveva piovuto e quello aveva contribuito a spazzare un po' dell'instancabile afa che aleggiava in quel periodo. In fondo l'estate era quasi giunta al termine e in molti aspettavamo con ansia un po' di sollievo dal caldo micidiale che ci aveva martellati per tutta la stagione.
Ero ancora con gli occhi chiusi e la testa leggermente inclinata all'indietro, per non lasciarmi sfuggire neanche un alito di quel piacevole venticello, quando il ragazzo accanto a me parlò di nuovo.
<<Domani parto. Ti ho invitata qua oggi per dirtelo>> furono le parole che lasciarono la sua bocca, portandomi ad aprire di scatto di occhi.
Tutta la mia attenzione defluì immediatamente nella sua direzione. <<Ma come domani? Perché me lo dici solo adesso? Dove andrai? Per quanto tempo?>> lo tartassai.
Touya era diventato velocemente molto importante per me ed il pensiero di non vederlo più per chissà quanto tempo mi rattristava molto. Inizialmente avevo trovato fastidiose le sue stramberie e la sua sfacciataggine, ma era stato capace di aprirsi facilmente un varco nel mio cuore ed era riuscito a farmi sorridere in un periodo molto difficile per me.
Gli ero molto grata e non avrei mai dimenticato le giornate spensierate passate in sua compagnia, in quella ridente città di mare dove avevo passato le mie vacanze estive con tutti i miei amici.
Non era passato molto tempo, eppure sembravano momenti lontanissimi, un po' come quelli vissuti da bambina, nel parco dove mi stavo dondolando da diversi minuti.
<<L'ho saputo solo ieri. Al vecchio è arrivata un'opportunità lavorativa in una prefettura a tre ore da qui ed io non mi faccio mai scappare un'occasione per racimolare qualche soldo. Non so per quanto tempo resterò lì, ma so che il mio posto è ovunque io possa essere libero e vivere dignitosamente con le mie sole forze>> rispose lui, stringendo con decisione le mani a pugno. Quelle mani piene di scottature e cicatrici, causate dopo molte ore di lavoro. C'era molta dignità in quelle mani ed ammiravo molto quel ragazzo, ancor di più da quando avevo scoperto il suo passato: il passato di un ragazzo che aveva avuto il coraggio di ribellarsi a un padre oppressivo e di costruirsi la propria vita altrove, senza contare sull'aiuto di nessuno. Decidendo di andare a lavorare come saldatore per un signore diversi anni oltre la cinquantina, e che lui chiamava quasi affettuosamente "il vecchio".
Probabilmente doveva vederlo come il padre che non aveva mai avuto. Non me lo aveva mai detto direttamente, ma lo avevo capito dalla luce nei suoi occhi e dal piccolo sorriso che accennava quando usava quel soprannome.
Personalmente ero fiera di Touya, eppure il pensiero di non vederlo più per chissà quanto tempo mi rendeva molto triste.
<<Stai per metterti a piangere? So che hai un talento per questo, ma non ci tengo ad offrirti di nuovo la mia spalla. Mi hai inzuppato di lacrime qualcosa come dieci o venti magliette>> mi prese in giro lui, ripensando alle volte dove avevo cercato rifugio e conforto contro il suo corpo. Più di quelle che mi piaceva ammettere.
<<Ti piacerebbe vedermi piangere per te! Con te via dalla città non avrò più nessuno a molestarmi in maniera così ostinata>> commentai con tono fintamente serio, guardandolo di traverso.
Dabi sorrise alla mia risposta, puntando i piedi sul terreno leggermente fangoso, così da ruotare la sua altalena della mia direzione. Me lo ritrovai più vicino.
<<Ah sì? Eppure ti ricordo in lacrime quel giorno in spiaggia, prima della tua partenza. O forse ti sto scambiando con un altro pulcino?>> lo fulminai con lo sguardo, facendolo ridere di nuovo <<inoltre per molestarti anche a distanza mi restano sempre le chiamate con l'anonimo alle tre di notte.>>
Alzai gli occhi al cielo, ripensando alla sua folle passione per le telefonate a qualsiasi orario improponibile. Da quando gli avevo dato il mio numero cercavo sempre di mettere la modalità silenziosa prima di prendere sonno, ma a volte crollavo addormentata dopo ore di studio e mi dimenticavo, col risultato di sbraitare a un sghignazzante Touya collegato sull'altra linea.
Lui era così: sfacciatamente fastidioso. Eppure il pensiero di vederlo andare via mi abbatteva completamente, forse perché era stato per me come una ventata di aria fresca in un periodo buio o forse perché non era comune incontrare una persona pura e genuina come lui. Era tornato da poco in città e non avevo avuto la possibilità di vederlo molte volte, eppure sapevo che avrei sentito molto la sua mancanza.
<<Sei così maledettamente irritante>> commentai infine, tradendo i miei veri pensieri.
Tra me e lui era così: ci prendevamo in giro per nascondere il crescente affetto facilmente intuibile da ambedue le parti, pur sapendo entrambi di farlo di proposito. Lui sapeva cosa pensavo davvero nei suoi confronti e per me era lo stesso.
Era il nostro modo di relazionarci e andava bene così.
<<Pensi di essere minacciosa quando mi insulti? Tu pensi di parlare, ma in realtà stai pigolando. E nemmeno tanto bene>> rispose lui.
Cercai di nuovo di colpirlo con la punta delle mie scarpe da ginnastica, ma lui fu abile nello scansarsi di nuovo, come qualcuno che si aspettava benissimo una mossa del genere.
Lasciai cadere i miei istinti omicidi, iniziando a parlare con lui di tutto quello che mi passava per la testa, cercando di trarre a me quelle ultime ore in sua compagnia, le ultime per chissà quanto tempo.
Dabi all'inizio non mi era sembrato un tipo di tante parole, e spesso in effetti aveva la brutta abitudine di rispondere in maniera spiccia, ma quando si toccavano le corde giuste si rivelava un ottimo oratore e anche un ottimo ascoltatore.
Parlammo a lungo di tutto quello che ci passava per la testa, mentre il sole iniziava a tramontare lentamente sopra le nostre teste, proiettando sui nostri visi una calda e soffusa luce arancione.
Amavo il tramonto, quando il giorno iniziava a lasciare spazio al crepuscolo. Era il momento che preferivo e mi rilassava vedere il cielo colorarsi lentamente di colori tenui o restare a fissare le nuvole circondate da un alone rosa, spalancando leggermente la bocca dalla meraviglia.
Tuttavia quel giorno non riuscii a guardare a lungo quello spettacolo, non con la domanda che premeva dal fondo della mia gola, lottando per uscire.
<<Ti è mai successo di avere paura di qualcosa che una volta ti rendeva felice?>> chiesi di getto, attirando tutte le attenzioni del ragazzo su di me. Sembrava intenzionato a rispondermi, ma i suoi occhi mi chiedevano silenziosamente di spiegarmi meglio, forse per riuscire poi a darmi una risposta migliore.
<<Sai, intendo quando si è stati talmente felici che, dopo aver perso tutto, si teme di tentare un'altra volta. Forse per paura di non riprovare le stesse emozioni e di infagare un ricordo prezioso o forse per paura di perdere tutto di nuovo, senza poi avere la forza di riaffrontarne ancora una volta le conseguenze. Ti è mai successo di desiderare di tornare in un luogo felice, ma al tempo stesso di pensare di non avere il coraggio di affrontare il viaggio?>> articolai, continuando a guardare il terreno fangoso sotto ai miei piedi, dove riuscivo ad intravedere le impronte ormai secche delle mie scarpe.
Sentii Dabi sospirare a lungo, un sospiro che sembrava preannunciare una risposta positiva.
<<Stai parlando di quel tizio coi capelli rossi? Il tuo ex ragazzo?>> chiese lui, mostrando un palese tentativo di voler aggirare la mia domanda.
<<Prima rispondi alla mia domanda>> incalzai.
Il ragazzo a quel punto si lasciò scappare un altro lungo sospiro, quella volta rassegnato. Probabilmente sfinito dalla mia testardaggine.
Per diversi secondi regnò poi un silenzio quasi innaturale, che passammo entrambi a guardare per l'ennesima volta lo spettacolo del cielo sopra di noi, in quel momento al massimo del suo splendore. Entrambi visibilmente persi in ragionamenti complessi.
<<Sì>> rispose infine il ragazzo, catturando tutta la mia attenzione.
Trattenni il fiato sorpresa, aspettando una spiegazione che stranamente non tardò ad arrivare.
<<Come sai ho lasciato casa mia appena dopo il diploma, senza dire niente a nessuno e con un solo biglietto sul tavolo ad annunciare la mia fuga. Ormai è passato più di anno e tornando indietro riesco perfettamente a ricordarmi un diciottenne pieno di rabbia che non sapeva nemmeno dove andare a sbattere la testa per sopravvivere>> iniziò lui, prendendosi solo un momento, forse perso nei ricordi del passato << non fosse stato per il vecchio probabilmente sarei finito in qualche brutto giro, pur di non tornare da mio padre.>>
Non pronunciai neanche una parola, percependo nel ragazzo l'intenzione di continuare col suo racconto.
Dabi non era un tipo molto propenso a condividere il suo passato e nemmeno un tipo da lunghi discorsi. Ci aveva messo giorni perfino per dirmi il suo vero nome e non era cosa da tutti i giorni vederlo aprirsi in quel modo. Mi stava sorprendendo.
<<I primi mesi li ho passati a lavorare di qua e di là, lontano da questa città. Non volevo essere trovato da mio padre, che ovviamente mi stava cercando, quindi il mio obiettivo era quello di mettere più distanza possibile tra me e lui>> continuò, stringendo i pugni.
Riuscivo a sentire tanto dolore nelle sue parole e tutta la frustrazione che doveva aver provato negli anni passati, costretto a vivere una vita che non sentiva di volere.
<<Deve essere stata dura all'inizio, vero?>> mi azzardai a chiedere, cercando di spronarlo; siccome sembrava bloccato in qualche complesso ragionamento o forse solo dal timore di aprirsi troppo.
Dava l'impressione di un ragazzo che stava raccontando tutto quello per la prima volta da quando era successo. Non doveva essere facile.
<<Sì. E per rispondere alla tua domanda di prima la felicità che avevo paura di provare di nuovo era legata al tempo passato con i miei fratelli. Volevo contattarli di nascosto o vederli anche solo di sfuggita, per spiegare il perché della mia scelta, ma non ne avevo il coraggio. Temevo il loro giudizio o di averli delusi. Temevo di presentarmi davanti a loro e scoprire di non essere più gradito. Quindi per diversi mesi li ho evitati, anche se dentro di me sentivo la loro mancanza più di qualsiasi altra cosa al mondo.>>
Touya non riusciva a guardarmi in faccia, mentre mi raccontava del suo passato. Da quando lo avevo conosciuto mi aveva sempre dato l'impressione di un ragazzo forte ed impossibile da scalfire, ma in fondo alla sua anima c'erano ancora molte tracce di quel diciottenne spaventato che era stato una volta, che vagava da solo e senza meta, con pochi soldi nelle tasche e uno zaino sulle spalle.
In fondo anche lui era un essere umano e come tutti covava dentro di sé ansie e preoccupazioni, ricordi dolorosi e rimpianti. E me lo stava dimostrando.
<<Pensavo di potermi nascondere dal mio passato per sempre, tant'è che alla fine mi ero convinto di poter ingoiare tutto col tempo. Ma poi...>>
Dabi improvvisamente si bloccò, lasciando comparire sul suo viso un sorrisetto malinconico e leggermente beffardo. I suoi occhi avevano preso a brillare di una luce strana che non riuscii ad interpretare in un primo momento, ma che sembrava celare forti emozioni.
<<Poi?>> chiesi io, realizzando solo in quel momento di aver trattenuto il fiato per diverso tempo.
<<Shouto, un piccolo soldo di cacio all'ultimo anno delle medie, è riuscito a trovarmi. Quel moccioso che da bambino temeva di fare anche solo un passo senza di me. Non potevo crederci quando me lo sono ritrovato davanti, a duecento chilometri da casa, dove nemmeno mio padre con tutti i suoi soldi c'era riuscito.>>
Mi ritrovai a sorridere, immaginando la scena di due fratelli che si rivedevano dopo tanto tempo e cercando di immedesimarmi nella situazione, credendo di riuscire a sentire per un momento parte di quelle emozioni.
<<Era arrabbiato e faceva davvero paura, anche se ai tempi era almeno dieci centimetri più basso di me. Nei suoi occhietti accusatori riuscivo a vedere tutto quello che doveva aver provato in quei mesi e tutte le parole che lottavano per uscire dalla sua bocca, riuscii a capirlo senza bisogno di sentirlo parlare e sembrò capirlo anche lui. Tant'è che passammo le ore in una piccola tavola calda, mangiando tre ciotole di soba una dietro l'altra, come due che non mangiavano da mesi, senza toccare l'argomento, ma parlando di tutt'altro. È il ricordo più felice che ho e quello che mi ha convinto a rivedere anche i miei altri fratelli. Non ne avrei mai avuto il coraggio senza l'intervento di Shouto>> continuò lui, dondolandosi pigramente con l'altalena, con un ritmo rilassato e ben scandito.
Non avevo mai sentito Touya mettere insieme tutte quelle parole una dopo l'altra, ma forse era il pensiero della partenza a renderlo più loquace del solito. Quel parco, in quel momento deserto, era quindi un palcoscenico niente male per scambiarsi un arrivederci.
<<Hai qualche perla da regalarmi dopo questo racconto appassionato?>> chiesi, notandolo dell'avviso di voler dire ancora qualcosa.
<<Uno come me ha sempre qualche perla da insegnare a un pulcino inesperto come te, perché tu da me hai solo che da imparare>> mi prese in giro lui, non perdendo l'ennesima occasione per mostrarsi superiore a me.
Non mi presi nemmeno il disturbo di alzare gli occhi al cielo. Ormai lo conoscevo quel tanto che bastava per capire che non avrebbe mai perso quel vizio, inutile farsene un cruccio.
<<Quello che voglio insegnarti oggi è che quello che è destinato a noi troverà sempre il modo di raggiungerci, sta a noi poi decidere se accoglierlo o meno. E questo include sia la felicità che i dispiaceri. Quindi nel nostro piccolo tanto vale cercare di fare tutto quello in nostro potere per aprire più varchi possibili alle cose capaci di farci stare bene, perché non ci rincorreranno per sempre, e al tempo stesso di accettare anche i momenti meno lieti, come monito per crescere. Fa tutto parte della vita, ma non vedo nessun motivo per precluderci la possibilità di essere felici, anche quando si ha paura di tentare. Io l'ho capito a mie spese e non farò più lo stesso errore due volte.>>
Touya era solito farsi sempre beffa di me, quindi sentire un consiglio così serio da parte sua bastò per farmi restare in silenzio per diversi secondi, a fissarlo con gli occhi strabuzzati ed un'espressione inequivocabilmente sbigottita.
Però come da copione il ragazzo riuscì a smentirsi con al frase successiva. <<Che c'è? Sei rimasta sorpresa dalla mia immensa intelligenza e dal mio enorme bagaglio di esperienze? Stai pensando che a te ci vorranno almeno venti anni prima di raggiungere il mio acume? Posso capirti, ma non puoi farci niente>> commentò lui, dando delle pacche disinteressate sulla mia spalla sinistra, quella più vicina a lui.
<<Stavo pensando che sei un completo idiota. Per un secondo ho creduto di vedere in te qualche neurone funzionante, ma sfortunatamente temo di aver preso un abbaglio>> risposi.
Mi piaceva prenderlo in giro a mia volta, ma non potevo negare dentro di me di non aver trovato degli spunti per riflettere grazie al suo racconto.
In fondo anche io mi trovavo bloccata dalla paura, in una situazione che poteva togliermi un grande peso dal cuore, ma che d'altra parte mi terrorizzava. Potevo davvero perdonare Kirishima e ritrovare la sintonia di un tempo? Oppure sarebbe finita di nuovo male come la prima volta? Come potevo esserne sicura e prendere una decisione?
Quel ragazzo era stato il mio primo amore e continuava ad esserlo. Con lui avevo vissuto i mesi più felici della mia intera vita, ma al tempo stesso anche i momenti più duri e più tristi da che ne avevo memoria.
Mi aveva spezzato il cuore in tanti piccoli pezzetti e non ero convinta di avere la forza di riaffidarglielo di nuovo, non dopo essere riuscita a rimetterne insieme a fatica qualche coccio.
<<E tu invece sei un pulcino codardo che non riesce a decidere se perdonare il suo ex fidanzato o meno. È per questo motivo che oggi mi stai facendo tutte queste domande, vero?>>
Saltai punta sul vivo, seduta com'ero sull'altalena, scoccandogli poi uno sguardo carico di circospezione. Quel ragazzo sapeva per caso leggere nel pensiero?
Lui sembrò leggere la mia confusione, tanto da rispondere: <<E no che non leggo nel pensiero, non ancora almeno. Semplicemente la tua faccia è come un libro aperto e poi al festival sei sparita per un sacco insieme a quel ragazzo, non sono nato ieri, sai? Ti ha chiesto di tornare insieme e non sai cosa fare, mi ci gioco i tremila yen che quello spilorcio del vecchio mi ha dato stamattina.>>
Sospirai. <<Ti trovo più inquietante del solito in questo momento, ma puoi tenerti stretti i tuoi tremila yen, perché è così>> gli risposi.
Dabi affondò le mani nelle tasche dei pantaloni della sua tuta, smettendo di far oscillare debolmente le gambe avanti e indietro, in un pregresso tentativo svogliato di dondolarsi.
<<Voi ragazzine siete davvero complicate. Tanti problemi per niente. Ti piace ancora? Digli di sì. Non ti piace più? Digli di no e datti alla pazza gioia con un altro moccioso della tua scuola>>.
Quella volta non riuscì a scampare al calcio sullo stinco che desideravo dargli da quando era arrivato, siccome indifeso a causa delle sue mani tenute nelle tasche.
<<Doveva essere un calcio quello? Puoi fare di meglio, non ho sentito niente>> commentò lui. Tuttavia la sua smorfia di dolore malamente nascosta e i suoi occhi improvvisamente lucidi tradirono le sue parole, tant'è che si scansò in fretta e furia da un mio secondo tentativo di colpirlo di nuovo nello stesso punto.
<<Non voglio spassarmela con nessuno. Come già detto in passato, che tu ci creda o no, per me è stata una storia importante, anche se la mia prima ed unica al momento. Non riesco a guardare altre persone con gli stessi occhi, non nel modo che usavo per guardare lui. Non posso>> commentai, lasciando perdere ogni mio tentativo di attentare alla sua vita.
<<E che usi ancora>> rispose lui <<ho visto la tua faccia quella sera, quando lui è arrivato da dietro di me, e ti ricordo che questa spalla ha asciugato le tue lacrime. Non puoi nasconderti da me.>> Concluse la sua supposizione pattandosi energicamente una spalla con l'ausilio della mano opposta, quella dove mi ero rifugiata non moltissimi giorni prima, per sfogare il dolore che sentivo dentro.
Non risposi alle sue parole, non trovando nessun modo per ribattere davanti a quella che non potevo fare a meno di riconoscere come una verità scomoda. Dabi aveva ragione, ma non ero pronta ad ammetterlo ad alta voce, non in quel momento.
Me ne restai quindi in silenzio, chiudendo gli occhi per apprezzare ancora qualche fugace soffio di vento, mentre gli ultimi bagliori del tramonto illuminavano l'unica e solitaria lacrima incastrata tra le mie ciglia. Lui fece lo stesso.- - -
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Sì, risbuco esattamente così, come se nulla fosse.In realtà non pensavo di poter di nuovo scrivere un titolo idiota per uno spazio autrice e né tantomeno di pubblicare ancora qualcosa, eppure qualche giorno fa ho sentito una profonda nostalgia per la scrittura. E in primis per questa storia.
Per me non è stato un periodo facile e né tantomeno felice, ma la cosa peggiore tra tutte è stata perdere la mia valvola di sfogo: la scrittura.
Anni fa vivevo quasi unicamente per questo e qualsiasi emozione negativa riuscivo a farla sparire, semplicemente aprendo una qualsiasi bozza su questa piattaforma, per buttare giù qualche riga.
Mi veniva così facile un tempo scrivere, tanto da temere di non avere delle dita abbastanza veloci per stare al passo col fiume dei miei pensieri.
Poi un giorno qualcuno ha chiuso improvvisamente il rubinetto. Fine delle idee. Fine delle dita che faticavano a stare al passo con il mio cervello.
È semplicemente sparito tutto.
Ne vado fiera? No.
Sono contenta di aver lasciato le mie storie incomplete? Nemmeno.
Onestamente ho sentito la mancanza di tutto questo più di chiunque altro al mondo, per cui tornare a scrivere questo spazio autrice è molto importante per me e lo è ancora di più sapere di avere altre 7 bozze da parte per questa storia. Oltretutto tutte lunghissime (parliamo una media di 3500 parole per capitolo, quasi il triplo di un normale capitolo del passato).Me ne mancano da scrivere un paio. Quindi posso finalmente affermare che questa storia avrà un finale. Lo devo a chi ha continuato ad aspettare.
Forse non saranno che un paio di persone, ma non ha importanza.
Per me il più grande traguardo è avere avuto di nuovo il privilegio di scrivere e di riprovare la gioia di vedere qualcosa nascere da una propria idea. Per me questo vale tutto.Mi dispiace per la mia lunga assenza. Spero di poter portare di nuovo qualcosa su questa piattaforma, anche ad una sola persona ♡
Un bacio e alla prossima ♡
P.s. ho paura di cliccare sul tasto "pubblica", ma sento di doverlo fare. Devo e lo farò.
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Rich {Kirishima x Reader}
Fiksi PenggemarTutte le mamme desiderano la felicità dei propri figli e tutte cercano di spingerli verso il vero amore. Sempre se non hai una madre che sogna di farti sposare con un riccone e ti manda in un istituto prestigioso al solo scopo di portare a termine l...