•49 Dipinto

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Il luogo dove ero distesa doveva provenire direttamente da una fiaba, perché non c'era altra spiegazione logica.
Era una sorta di radura isolata, dove non sembrava essere passata anima viva da diverso tempo, come protetta da una sorta di incantesimo a me sconosciuto.
C'erano vari fiori sparsi per il perimetro. Alcuni conosciuti, altri sconosciuti.
Il profumo era di per sé inebriante e fissavo incantata gli steli illuminati dalla luce lunare.
Non si vedeva molto, ma poco mi importava, anche perché era buio abbastanza da permettere di vedere le stelle, incastonate nello scuro cielo come su una vellutata trapunta.
Dabi mi aveva condotta lì attraverso sentieri all'apparenza abbandonati a se stessi e si era mosso senza indugio tra la vegetazione.
Normalmente non avrei mai seguito un ragazzo più grande e conosciuto da poco durante il buio, soprattutto con l'intenzione di raggiungere un luogo così isolato.
Lui però mi aveva subito dato una sensazione di fiducia, anche perché aveva avuto molte chance di farmi del male, se solo avesse voluto, ma aveva dimostrato di essere una persona per bene.
Era disteso accanto a me e la sua mano era ancora allacciata alla mia come per una sorta di magnetismo, mentre l'altra mia mano adesso indicava il cielo.
<<Tu conosci qualche costellazione? Io non me ne intendo per niente>> chiesi.
<<Pulcino, non ti ho portata qui per una lezione di astronomia o per conquistare il tuo cuore con la mia presunta conoscenza riguardo alle stelle. Sono venuto semplicemente per rilassarmi>> rispose lui.
Mi voltai nella sua direzione per scorgere il suo viso e lo trovai con gli occhi puntati verso il cielo e l'altra mano sul suo petto.
Aveva l'espressione più calma del mondo e mi ritrovai quasi ad invidiarlo.
<<Perché?>> chiesi.
Lui emise un piccolo sbuffo d'aria e chiuse per un momento gli occhi, forse seccato dal mio desiderio di fare conversazione, ma poi sembrò cedere e volse la testa verso di me.
Non era molto distante dal mio viso e mi beccai in pieno la lucentezza emanata da suoi occhi dalle iridi turchesi. Belli, ma con una costante aria di freddezza addosso.
Dabi era solito sorridere, ma i suoi sorrisi erano sempre di scherno, non un riflesso della sua felicità.
Non erano sorrisi che coinvolgevano tutto il viso, come quando si è davvero contenti, ma di quelli che interessavano solo le labbra.
<<Perché non sei l'unica qui ad aver bisogno di distrarsi...>> disse <<anzi... a dirla tutta l'ultima volta che ho portato una ragazza a guardare le stelle in realtà era solo una scusa per farci sesso insieme.>>
Lo guardai male.
<<Tranquilla, non sei il mio tipo e comunque sei troppo giovane per me>> spiegò lui.
<<Intanto hai solo quattro anni più di me, grande finto uomo vissuto, inoltre nemmeno tu sei il mio tipo>> replicai a mia volta.
<<Pulcino, io sono il tipo di tutte.>>
<<Pecchi un bel po' di egocentrismo tu, te l'hanno mai detto al corso per i playboy mancati?>>
Dabi sentendo la mia frase sorrise, ma di un sorriso vero, non uno di quelli a mo' di presa in giro e per la prima volta scorsi il candore dei suoi denti. Perfetti anche quelli come tutto il resto di lui. Quel maledetto ragazzo era stato baciato dalla dea della bellezza e sembrava esserne ben consapevole.
<<Dabi, come ti chiami davvero? Tu il mio nome l'hai visto>> tentai all'improvviso, lasciandomi trasportare dal momento e dalla mia curiosità.
Inizialmente mi era parso come una seccatura e come uno sfacciato, ma ci avevo messo pochissimo per rivalutarlo in meglio. Oltretutto perché a modo suo era sempre stato molto gentile con me e mi aveva addirittura offerto la sua spalla per piangere.
Tornò di nuovo a guardare verso di me e anche quella volta restai colpita dai suoi occhi, erano davvero di una bellezza invidiabile.
<<Non risponderò a questa tua domanda>> disse semplicemente lui, senza smettere di guardarmi a pochi centimetri di distanza.
<<Perché? Sei davvero un serial killer ricercato in tutte le prefetture del Giappone?>>
Dabi sospirò di nuovo stancamente, tuttavia alzando debolmente un lato della bocca all'insù.
<<No. Semplicemente il mio nome appartiene al passato, un passato che non voglio ricordare. Tu puoi capirmi... anche nel tuo ci sono cose che cerchi disperatamente di dimenticare, non è così?>>
Dabi aveva fatto perfettamente centro. Nel mio passato c'erano delle cose che volevo dimenticare.
Volevo dimenticare la sensazione delle braccia di Eijiro attorno a me e di quanto mi faceva stare bene stare contro il suo petto, a sentire il suo cuore battere docilmente. Così da non averne più nostalgia.
Volevo dimenticare il dolore che mi graffiava da dentro e che ogni giorno mi ricordava quel sorriso che non potevo più vedere aprirsi per me.
Volevo dimenticare i suoi occhi. Quelli che aveva quel giorno in quel vicolo, quelli che precedentemente mi guardavano con una tenerezza che mi aveva illusa.
Al tempo stesso però non volevo dimenticarmi di quell'amore, non tanto verso di lui, ma proprio dell'amore di per sé. Perché non volevo smettere di amare, quello mai, quello non lo desideravo.
Volevo tornare a sentire il mio cuore bruciare per qualcuno e sentire il cuore di quella persona bruciare allo stesso modo. Ardendo insieme di una fiamma inestinguibile.
<<È così>> risposi semplicemente <<ma dimenticare non significa rinnegare, sai?>> domandai a mia volta, tornando a fissare il cielo sopra di me.
Era talmente vasto da farmi credere di poterci annegare dentro i miei sentimenti, affidandoli a una delle numerose stelle lassù.
Le stelle brillavano anche per miliardi di anni, ma prima o poi si spegnevano anche loro.
Il mio dolore poteva quindi fare la stessa cosa. Prima o poi si sarebbe spento anche lui, dovevo solo aspettare. Aspettare e avere fiducia.

~•~•~•~•~•~•~•~•~• ~•~•~•~•~•~•~•~•~•

Quella notte mi ritrovai nel mio letto senza sapere esattamente come.
Mi ero separata da Dabi diverso tempo prima, con la promessa silenziosa di rivederci presto.
Mi aveva lasciata nei pressi della villa, considerando l'orario, poi ero scivolata silenziosamente oltre la porta, camminando in punta di piedi per non svegliare nessuno.
Avevo infatti trovato tutte le luci spente e di conseguenza tutti a letto.
Ovviamente non me la sarei cavata con così poco, perché sapevo di dover affrontare quanto prima il più lungo degli interrogatori, ma in quel momento non me ne curavo.
Avrei avuto tutto il tempo per pensarci la mattina dopo, prima di andare in spiaggia.
Dopodiché avevo indossato il mio leggero pigiama estivo, messo nella valigia per l'occasione di quella vacanza, e mi ero infilata subito a letto; in attesa di un sonno che non era ancora arrivato.
Sapevo di essere una masochista, ma ero irrimediabilmente finita col tornare a rileggere tutti i messaggi scambiati con il mio ex ragazzo.
Rivedere quelle parole investì il mio cuore di tristezza, soprattutto davanti alla tenerezza delle parole del ragazzo.
Davanti alle sue parole piene di amore per me.
Davanti alle mie parole piene di amore per lui.
Davanti ai "ti amo" reciproci.
Davanti a quei momenti di complicità, che ormai sembravano lontani anni luce.
Poi decisi di farmi ancora di più del male, pigiando con il dito sulla galleria delle foto.
Le immagini erano leggermente sfocate dalle lacrime che erano tornate nuovamente a riempire i miei occhi, ma placando i singhiozzi continuai a guardare quelle foto.
Era pieno di immagini che ci ritraevano in coppia, secondi catturati dall'obiettivo del mio telefono o scatti che lui stesso mi aveva inviato tramite Line.
Conclusi il mio tour dei ricordi sulla foto scattata quella mattina a casa mia, quando era venuto per la colazione e poi l'avevo aiutato a sistemare i suoi capelli nel mio piccolo bagno per gli ospiti.
Sfiorai la sua immagine con la punta delle dita, cercando di catturare ogni millimetro del suo bellissimo viso, circondato dai capelli resi liberi dal suo consueto gel.
Era lo scatto più bello che avevo e quello che più amavo.
Le selezionai tutte e restai per diverso tempo con l'indice sospeso sopra l'icona che mostrava un cestino per l'eliminazione delle immagini.
La procedura però si rivelò più dolorosa del previsto e riuscii solo a spostarle momentaneamente in una cartella a sé stante, in modo da non ritrovarmele sempre sotto al naso. A tempo debito però le avrei cancellate.
Dovevo iniziare a fare qualcosa per andare avanti e dovevo iniziare quanto prima, perché sapevo dentro di me di non poter più continuare così.
Meritavo anche io la felicità e dovevo rincorrerla da sola. Nessuno me l'avrebbe posta davanti, su un piatto d'argento.
Riaprii un'ultima volta la sua foto, restando a guardarla con malinconia per diversi minuti, prima di decidermi a smettere.
<<Ti amo tanto, Eijiro... ma forse è arrivato per me il momento di provare a lasciarti andare. Grazie per tutto quello che mi hai dato>> sussurrai alla foto, avvicinando lo schermo talmente tanto al mio viso da sfiorarlo con le labbra.
Restai così per qualche secondo. Con gli occhi chiusi e il viso illuminato dalla flebile luce emessa dall'apparecchio.
Poi bloccai il cellulare e posai la testa sul cuscino.
Mi aspettava un altro giorno. Speravo solo migliore di quello appena trascorso.

POMATA PER BUE MUSCHIATI CON L'ARTROSI
Che bello quando metti la depressione pura ovunque, perché nella tua vita sei talmente abituata a non avere una gioia che porti questo anche nelle fan fiction che scrivi :')

In fondo un "mai una gioia" è come un diamante. È per sempre.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Noi ci rivediamo tra pochi giorni col cinquanta (che per l'occasione avrà il doppio delle parole di un capitolo normale, anche se i prossimi tre saranno tutti lunghi).

Rich {Kirishima x Reader}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora