Cap. 51 Un dono

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La vita è un dono così prezioso che spesso non ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati. Passiamo i nostri giorni sulla terra a cercare di capire se dopo la morte ci sia qualcosa ma alla fine ci dimentichiamo di vivere il presente. Abbiamo così troppi pensieri e insicurezze nella nostra testa che ognuno di noi almeno una volta nella vita si pente delle scelte del passato, ed a volte il rimorso è talmente forte da non poterlo sopportare e ci dimentichiamo di vivere, disprezzando secondo dopo secondo il dono della vita.
Ma appena siamo consapevoli che la morte è solo ad un passo da noi, fredda, cattiva, che senza guardare nessuno in faccia ci vuole prendere e portare con se trasportandoci con le sue ali, diventiamo magicamente più reali e siamo talmente affezionati alla vita che lottiamo per tenercela stretta.

Hyunjin in quel momento stava rivivendo ogni momento della sua vita ripercorrendo ogni scelta e ogni ripensamento trattenendo la sua anima con i denti, mentre piccoli tubicini scorrevano nel suo corpo e personale medico lo trascinava in una stanza a lui sconosciuta. La mura colorate di un azzurrino tenue guardavano la scena in silenzio lasciando che i pianti di una donna cullassero quei momenti di paura.

Lei non avevano atteso neanche un istante prima di chiamare l'ambulanza, mentre il padre che aveva provato a darsela a gambe, fu fermato dal senso di rimorso. O forse dalla stampa che non aspettava altro che titoli come "Bongwon Hwang spara al figlio e se ne va". Si faceva schifo da solo per la vigliaccheria che c'era in un gesto del genere. E per tale motivo aveva deciso di rimanere dicendo che fosse stato tutto un incidente.

Dottori su dottori entravano e uscivano da quella stanza urlando parole incomprensibili ma mettendo sempre più ansia ai due coniugi che non si erano degnati di uno sguardo da quando erano nella sala d'attesa. Chi per un motivo, chi per un altro, entrambi temevano per la vita del loro unico figlio.

«VA PORTATO IN RIANIMAZIONE SVELTI! »

La voce di un infermiere arrivò ovatta nelle orecchie della donna.
Si stava maledicendo per tutte le scelte che aveva fatto in tutta la sua vita. Era stato un errore sposare quell'uomo e dargliela sempre vinta, facendogli rovinare prima la sua vita e poi quella del figlio. Ma soprattutto si malediceva per aver parlato. Non avrebbe dovuto dire nulla ma fu più forte di lei. Ce l'aveva quasi fatta, ma sentire quell'arma fredda toccarle il petto era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso e aveva ceduto. Aveva detto ogni parola guidata dalla vigliaccheria, per paura di perdere la propria vita aveva permesso all'uomo di rubargli quella del figlio. Non aveva fiatato quando lo aveva visto nascondere l'arma e neppure quando aveva sentito i passi del figlio mentre scendeva le scale. Tutto per paura.

Mentre vedeva correre i dottori intorno alla barella si girò verso colui che un tempo avrebbe considerato "suo marito" e una domanda gli venne spontanea.

Si sentirà in colpa almeno un po'?

Non ebbe mai il coraggio di chiederlo però; non volendo aprire un litigio in un momento come quello, non disse niente. Si avvicinò all'uomo e gli mise una mano in tasca e ne tirò fuori il telefono del figlio.
L'uomo provò a fermarla ma lei gli prese il polso.

«Fai almeno una cosa giusta in tutta la tua vita e non t'intromettere. Almeno ora, ora che nostro figlio sta morendo. »

Le lacrime agli occhi non la abbandonarono e forse furono quelle a far pena all'uomo, tant'è che non la fermò, ma al contrario la lasciò fare e non gli fece domande, non curandosi neanche di cosa volesse fare con l'apparecchio elettronico.
La donna dal canto suo ne fu grata, forse non avrebbe mai più rivisto suo figlio sorridere almeno la possibilità di avere un oggetto in sua memoria doveva concedergliela.

Lo accese e si stupì di non trovare una password a bloccarlo, forse il figlio non doveva avere molti segreti; forse il figlio non li teneva lì i segreti. Appena sbloccata, la schermata era rimasta aperta in una chat.

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