7 "NIENTE", Liberato

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Presente
Siria

Oggi è una di quelle giornate che iniziano tranquille, quasi soporifere. Mi sveglio con il solito fastidio che mi accompagna da settimane, ma la routine è una salvezza. Mi rifugio in essa, sperando che quel senso di inquietudine che mi segue come un'ombra svanisca almeno per qualche ora.

L'università, per quanto noiosa a volte, è uno dei pochi posti dove posso stare in pace, lontano da tutto quello che mi tormenta. Mi preparo velocemente e mi incammino verso la prima lezione della giornata. L'aula è già mezzo piena quando arrivo. Saluto distrattamente qualcuno e prendo posto in fondo, vicino alla finestra, come sempre. Fuori, il cielo grigio promette pioggia, ma qui dentro l'atmosfera è calma, almeno per ora.

Il professore inizia a parlare, ma la mia mente vaga altrove. Ho questa sensazione strana, un peso sul petto, come se stessi aspettando che qualcosa accada, qualcosa di brutto. Scuoto la testa e cerco di concentrarmi sulla lezione, ma è difficile. Mi sforzo di annotare qualcosa, solo per non pensare.

Poi lo sento. Un sussurro. All'inizio lo ignoro, abituata agli occhi indiscreti di chi si diverte a commentare ogni singola cosa. Ma c'è qualcosa di diverso oggi. Gli sguardi. I sussurri. Qualcosa non quadra. La mia mano si ferma, la penna resta sospesa a mezz'aria. Mi giro lentamente e li vedo. I miei compagni, sparsi per l'aula, che mi fissano.

Ridono. Non apertamente, ma c'è quel sorriso storto, quei sussurri che non riesco a capire. Il cuore mi batte più forte. Cosa diavolo sta succedendo? Cerco di convincermi che sia solo una mia paranoia, ma poi sento un'altra risatina sommessa e capisco che c'è dell'altro. Cerco di ignorarli, di focalizzarmi sul professore, ma è impossibile. Ogni secondo che passa è un ago conficcato nella mia pelle.

La lezione sembra non finire mai. Quando il professore finalmente ci concede una pausa, mi alzo e mi affretto a uscire dall'aula. Ho bisogno di aria. O almeno di un po' di silenzio.

Non appena apro la porta e metto piede fuori, mi fermo. Qualcosa attira la mia attenzione. Un piccolo gruppo di studenti è raccolto attorno a una delle bacheche. Ridacchiano, si scambiano occhiate compiaciute, e uno di loro strappa via un volantino per portarlo a un amico.

Il mio stomaco si stringe.

Mi avvicino lentamente, e poi lo vedo. La mia foto. O almeno, qualcosa che un tempo era la mia foto. Il viso è distorto, ritoccato in modo grottesco, quasi irriconoscibile. Gli occhi, freddi e vuoti, sembrano guardarmi dall'immagine come una versione mostruosa di me stessa. Sotto, frasi pesanti come macigni: "Traditrice", "Spia", "infame"

Il sangue mi si gela nelle vene. So esattamente chi c'è dietro tutto questo.

Ciro.

Il suo nome mi esplode nella mente come un colpo di pistola. Lui. Ha trovato il modo di colpirmi anche qui. Anche nell'unico posto che consideravo sicuro. Ogni volta che penso di essere fuori dal suo controllo, ogni volta che credo di poter respirare liberamente, lui trova un modo per trascinarmi di nuovo nel suo incubo.

Respiro a fatica. I volti attorno a me sono sfocati, le risate e i sussurri si mischiano in un ronzio assordante. Non riesco a muovermi, come se fossi incatenata lì, di fronte a quella versione distorta di me stessa, mentre il mondo intorno continua a scorrere, ignorando il mio dolore.

Poi, con un ultimo sforzo, stacco gli occhi dal volantino e mi giro, scappando verso il bagno più vicino. Mi chiudo dentro, le mani tremano mentre cerco di prendere fiato. Ogni respiro è un pugno nel petto, ogni pensiero un urlo che non riesco a fermare.

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