16 "Nun me parlà e strada", Cosang

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5 anni prima
Ciro

Il sole stava calando, tingendo di rosso le strade di Scampia. Il silenzio non era mai completo li, anche a quell'ora si sentiva il ronzio delle Vespe che correvano veloci tra i palazzi e il suono lontano di qualche sirena.

lo ed Edoardo, il mio braccio destro e compagno d'infanzia, stavamo seduti in macchina, l'Alfa Romeo nera dai vetri oscurati, di mio padre.

Il motore spento, ma pronti a partire.

Edoardo tamburellava le dita sul cruscotto, guardando fuori dal finestrino. Dopo un attimo di silenzio, si voltò verso di me con un sorriso divertito.

«A final le purtat a Siria aro tagg itt ij?»

Non potei fare a meno di sorridere. «Comm, c'è piaciut assai.»

Edoardo ridacchiò. «Embe che succies? Raccunt...»

Scossi la testa, ridendo sotto i baffi. «C'amm vasat, ij a man ngopp a zizz, ess ngopp o cazz mij...»

Edoardo annuì, il suo sorriso ancora stampato sul viso. «Ah, le fatt bagná?»

Alzai un sopracciglio «No. Nun agg chiavat.»

Non se lo aspettava.

Edoardo mi guardò sorpreso «Commé nun e chiavat?»

Scrollai le spalle «Eh, nient.»

Edoardo rise «Manc nu bucchin?»

Parlai sconfitto: «Manc nu rit, nient.»

Edoardo scoppiò a ridermi in faccia.
Se non fosse il mio migliore amico gli darei un pugno.

«Ua, ma pecche te fissat cu Siria?»

Assunsi il mio solito sguardo serio «Pecche ten e capill russ.»

«Embè?» disse con sguardo divertito.

«Io prima di morire una rossa m l'aggia chiavà.» dissi in tono serio.

«Uh, tu e stu fatt! Maronna mij, sei fissato.» disse, mandandomi mentalmente a fanculo.

Il silenzio cadde di nuovo tra noi, ma stavolta era più leggero. Poi, però, il pensiero di quello che dovevamo fare riportò immediatamente la tensione. Smisi di sorridere e lo stesso fece Edoardo.

Quel giorno non era come gli altri: c'era un messaggio da portare, e non era uno di quelli che lasciava spazio a interpretazioni.

«Mio padre vuole chiarezza» dissi, rompendo il silenzio tra di noi. «Gli Esposito s stann allargann tropp assaij, e le piazze qua appartengono ai Ricci, non a loro.»

Edoardo annuì, ma i suoi occhi tradivano una certa tensione. «O strunz s vo piglia Scampia. L'amma fa vre chi cumann overament.»

Presi la pistola dalla tasca della giacca, controllandola rapidamente prima di rimetterla al suo posto. Era carica. Lo era sempre.

«Oggi niente avvertimenti» aggiunsi. «Questa è l'ultima volta che mettono piede nelle nostre piazze senza pagare il conto.»

Edoardo si sistemò il cappuccio della felpa sulla testa: «E se sparano prima loro?»

Scossi la testa, gettando la sigaretta dal finestrino «Sparamm primm nuij, Edoá.»

La destinazione era chiara: uno dei "bunker" dove Gennaro Esposito gestiva i suoi traffici. Droghe, armi, soldi sporchi. Era tutto lì, nascosto sotto il cemento e tra le vite rovinate che circolavano nei paraggi.

La macchina si mosse lenta fino a un vicolo, dove parcheggiammo. Il rumore dei passi sui sampietrini risuonava secco mentre ci avvicinavamo al portone di un edificio fatiscente.

Edoardo tirò fuori una chiave, che ci aveva dato una delle nostre talpe, e aprì la porta.
Dentro, l'odore di umidità e sporcizia era opprimente. Scendemmo lungo le scale di cemento che conducevano al sotterraneo.

Arrivati in fondo, vedemmo subito due ragazzi, palesemente tossici, appoggiati al muro. Uno di loro alzò lo sguardo, gli occhi rossi e annebbiati. «Che volete?» bofonchiò, prima di realizzare chi fossimo.

Non gli rispondemmo neanche. Edoardo estrasse la pistola e gli puntò la canna dritta in faccia. «Aro sta Gennaro Esposito?»

Il ragazzo tremava, sudato. «Non... non so di cosa parli..»

Bang!

Il rumore del colpo risuonò forte nelle pareti di cemento. L'altro ragazzo urlò, cercando di scappare, ma lo bloccai prima che potesse fare un passo. Lo sbattei contro il muro, stringendo il suo collo con una mano.

«Rispunn!» dissi, fissandolo negli occhi.
«St... sta giù... nel retro!» balbettò, indicando una porta in fondo al corridoio.

Lo lasciai andare, facendolo cadere a terra.

Edoardo aprì la porta con un calcio. Dentro c'erano quattro uomini seduti intorno a un tavolo, pile di soldi e pacchetti di droga sparsi ovunque. Al centro, Gennaro Esposito, il capo di quel branco di topi.

Il silenzio calò nella stanza mentre tutti si giravano verso di noi. Gennaro sorrise, ma il sorriso era nervoso. «Ecco qua o figl e Don Salvatore e o bracc destr suoij» disse, alzandosi lentamente. «Cosa vi porta qui? Una visita di cortesia?»

Mi avvicinai, fissandolo negli occhi.

«Cortesia? Nun dicr strunzat, Gennà. Te pigliat piazz ca nun song e toij. Hai infranto gli accordi. Ti avevamo avvertito.»

Lui fece un passo avanti, tentando di mantenere la calma. «Gli affari sono affari, Cirù. Non si tratta di mancare di rispetto.
Solo... opportunità.»

Edoardo si mosse in un lampo. Prima che Gennaro potesse finire Edoardo lo prese per il colletto della camicia e lo sbatté contro il muro.

«Opportunità? Opportunità e t fa ammazzà.»

Gli altri uomini si alzarono dalle sedie, ma io tirai fuori la pistola e la puntai verso di loro.

«Seduti. Non fatemi perdere tempo.»

Gennaro respirava affannosamente mentre
Edoardo lo teneva fermo.

«Siendm» disse Gennaro, cercando di mascherare il panico, «possiamo trovare un accordo.»

«Non ci sono accordi,» dissi, avvicinandomi lentamente. «Questo territorio è di noi Ricci. Ogni singola dose che vendi, ogni euro che incassi, appartiene a noi.»

Lo guardai negli occhi per un istante, poi mi voltai verso Edoardo. «Fallo!»

Il rumore sordo di uno sparo riempi la stanza. Il corpo di Edoardo cadde pesantemente sul pavimento.

Gli altri uomini rimasero immobili, paralizzati dalla paura. «Mo tocc a vuij.» dissi, guardandoli uno per uno. «Tornate dai vostri boss e dite loro che Scampia appartiene ai Ricci. E sij coccrun ten dubbij facit a stessa fin e Gennaro Esposito.»

Uno di loro provò a parlare, ma gli tremava la voce. «N... non faremo problemi... Scampia è
vostra.»

Edoardo guardò il corpo di Gennaro a terra, poi si voltò verso di me. «Abbiamo finito qui?»
Feci un cenno con la testa. «Sì. Ma arricurdatv, nun stamm ca a perdr tiemp.»

Uscimmo dal bunker lasciando il cadavere di Gennaro alle sue spalle, il messaggio era stato recapitato.

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