17 "Manicomio", Cosculluela

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Presente
Ciro

Il garage è pieno di rumore. Martelli che battono sulle lamiere, il suono metallico che rimbalza contro le pareti. Il cigolio di qualche vecchio portone arrugginito che si chiude, e i mormorii dei miei uomini, impegnati a concludere l'affare. Io sono fermo accanto a una delle auto, braccia incrociate, sguardo vigile.

È un giorno come tanti, eppure sento un'inquietudine che mi scorre nelle vene. Non devo distrarmi, non oggi.

Poi la vedo.

Siria.

Mi si gela il sangue nelle vene per un istante, poi la rabbia mi investe come un pugno. Che cazzo ci fa qui? Questo non è un posto per lei. Questo è il mio mondo, non il suo. Non dovrebbe essere qui, non dovrebbe vedermi qui.

Dio, perché deve sempre apparire nei posti peggiori?

E come diavolo è vestita? Un vestitino corto di merda. Sta cercando guai, lo so, li attira come una calamita.

Un tizio la vede, la squadra dall'alto in basso. È troppo vicino, troppo sicuro di sé.

Merda.

Si avvicina ancora di più, uno sguardo malizioso negli occhi. Lei si ferma, lo guarda, ma non ha ancora capito che aria tira qui.

«Dai, bella, ramm a bors e nun facimm storij.»
La voce del tizio è melliflua, come se si stesse divertendo.

Siria stringe la borsa al petto, ma lui non le dà il tempo di reagire. Con un movimento rapido, le afferra la borsa e la strappa dalle mani.

Maledetto idiota.

Non posso stare qui a guardare. Faccio un passo avanti, stringo i denti e gli urlo contro.

«Oh piezz e merd, lassà sta!»

La mia voce risuona nel garage come un tuono.

Lui si blocca, si gira verso di me con un'espressione sorpresa. Non mi aspettavo altro.

Anche Siria mi guarda, gli occhi spalancati, ma in lei non c'è sorpresa. No, solo rabbia.

Il tizio mi fissa per un secondo, cercando di capire se può sfidarmi. Non ci provare.

«Non è roba tua...» balbetta, ma io non gli do il tempo di finire. Gli lancio un'occhiata che potrebbe trafiggerlo, e lui arretra di un passo.

«Vattenn. Primm ca t spar ngap.»

La mia voce è bassa, carica di minaccia. Non ha bisogno di altro per capire che è meglio se si toglie dai piedi.

Lascia andare la borsa e si dilegua senza fare storie. Lo seguo con lo sguardo fino a quando non sparisce. Poi mi giro verso di lei.

Siria si aggiusta la borsa sulla spalla, con un gesto nervoso. Lo sguardo che mi lancia è una fiamma viva, carica di odio.

«Nun tagg chiest aiut.»
Le sue parole sono taglienti come vetro. Si ferma, mi fissa come se fossi il problema più grosso della sua vita. Forse lo sono davvero.

«Sij nun t fuss vstut comm e na puttan, nisciun t'ess puntat. Staij cercann uaij, Siria.»
Le parole mi escono prima che io possa fermarmi.

Merda.

Mi rendo conto subito di quanto sono stato duro, ma non mi importa. È come se dovessi punirla per avermi costretto a intervenire.

Lei mi guarda incredula, la bocca leggermente aperta, come se non credesse a ciò che ho appena detto. Ma non ho tempo di riflettere su cosa significhi.

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