48 "Vecchio stampo & West Coast", Frezza

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5 anni prima
Ciro

Il rumore delle biglie che rimbalzavano sul tavolo di Carambola riempiva la sala giochi.

I neon intermittenti proiettavano ombre lunghe sulle pareti tappezzate di locandine sbiadite, mentre il fumo delle sigarette creava una nebbia densa sopra di noi.

Mi aggiustai il ciuffo di capelli, fissando la riga netta sul lato sinistro che il gel manteneva perfettamente in ordine.

La pistola premeva contro i jeans, fredda, rassicurante.

Francesco era davanti a me, poggiato sul bordo del tavolo. Sorrideva con quella smorfia che conoscevo da sempre, la stessa che da ragazzini ci faceva sembrare invincibili, quando scippavamo i turisti per le strade di Napoli.

Ma ora eravamo cresciuti e le cose erano cambiate, erano diventate più grandi, più serie.

«Allora, Cirú» disse, afferrando una biglia tra le dita, «Me chiammat p stu fatt della roba, putimm chiurr o discors o me ricr ati cos?»

Sorrisi, tirando una boccata dalla sigaretta che tenevo dietro l'orecchio. Me la misi tra le labbra, assaporando il gusto amaro del tabacco prima di parlare.

«La roba buona dei Ricci... va piazzata a un prezzo che rispetti la qualità, 'o capisc'?» feci, guardandolo dritto negli occhi. «Niente sconti, niente regali. Voglio vedere i soldi e subito, senza troppi casini.»

Francesco annuì, ma non potevo fare a meno di notare un'ombra che gli attraversava lo sguardo. «Sì, sì, Cirú. Lo so che ti piace tenere il controllo, ma devi pure capire che la gente s puzz e famm. Vogliono spendere di meno. Se teniamo i prezzi alti, rischiamo di farli andare altrove.»

Mi avvicinai, stringendo le mani sui bordi del tavolo, facendo cigolare il legno. «Non è un problema mio sij s puzzn e famm, Francè. Quello che vendiamo noi non lo trovi in giro. Gli altri piazzano merda tagliata, lo sai. E poi...» abbassai la voce, lasciando che il suono si perdesse tra le nostre orecchie e il rumore di fondo della sala, «tu e la tua famiglia avete sempre campato bene grazie a noi, no? Non dimenticartelo.»

Francesco deglutì, sforzando un sorriso che non raggiunse gli occhi. Il suo dito tamburellava sulla stecca, un tic che conoscevo troppo bene. «Stai tranquillo, Ciro. Non mi dimentico niente.»

Intorno a noi, Mimmo e Totò ridevano di qualcosa, ma la tensione era palpabile, come il sudore sulla pelle nelle giornate di luglio.

Edoardo guardava i colpi della carambola con disinteresse, ma sentivo che ascoltava ogni parola. Erano la mia ombra, il mio riflesso.

Nessuno si azzardava a dire una parola contro di me quando c'erano loro.

Una vibrazione scosse la mia tasca. Presi il telefono, notando le notifiche di WhatsApp che continuavano ad arrivare, una dopo l'altra.

Le ignorai per un momento, concentrandomi su Francesco.

«Non mi fai pentire di questa fiducia, vero?»chiesi, fissandolo con la mia voce ridotta a un sussurro tagliente. «Perché se qualcosa va storto, sai che i problemi non arrivano solo a te... ma a tutta la tua famiglia.»

Francesco smise di tamburellare, le sue mani si fermarono di colpo. «Sì, sì, Ciro, tranquillo. Agg capit buon» La sua voce tremava appena, ma tentava di mantenere la maschera di sicurezza.

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