50 "Si cchiu' forte e me", Tony Colombo

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5 anni prima
Siria

Camminavamo verso casa, Ciro e io, il rumore dei nostri passi sui sanpietrini era l'unica cosa che rompeva il silenzio della notte.

Cercavo di riempire quel vuoto con qualche battuta, ma la mia mente continuava a ripensare alle parole di Antonio, a quelle foto che avevano mostrato Ciro in pericolo.

Ogni ombra sembrava nascondere un potenziale pericolo, e io cercavo di non far trasparire la mia preoccupazione.

«Ciro, ossaije ca nun m piac a pizza fritt?» dissi, ridacchiando mentre lo guardavo.

Ciro rise con me, la sua risata profonda che mi faceva vibrare dentro, e per un attimo mi sembrò di sentire quella leggerezza di una volta.

«Ua amò ma comm faij? Chell è accussi buon», mi rispose con un tono canzonatorio, dandomi una spintarella sulla spalla.

Stavo per ribattere quando, con una smorfia, Ciro si fermò all'improvviso e si tastò le tasche.

«Cazzo, agg frnut e sigarett» Sbuffò e si guardò intorno, come cercando un distributore automatico nelle vicinanze. «Accummienc a sagli ngopp, c mett cinc minut alla macchinetta qua dietro.»

La mia pancia si contrasse di colpo. Una fitta di paura, irrazionale e improvvisa, mi fece afferrare il suo braccio.

«Ciro, lascia stare, è tardi. Domani te le compri. Fumi domani ja» Provai a suonare rilassata, come se fosse una questione di poco conto.

Ma dentro, mi sentivo come se stessi camminando su una corda tesa, sospesa sul vuoto.

«E ja piccrè, over facc subbt!» rispose, liberandosi dalla mia presa con un movimento deciso.

Ma io non mollai, e con un gesto rapido gli appoggiai entrambe le mani sul petto, spingendolo verso la porta del palazzo.

Lui mi guardò sorpreso, con un sorriso che si spegneva pian piano mentre mi fissava.

«Ma cre, Siria? Sono giorni ca t vec stran» disse, piegando la testa di lato. «Sei diventata la mia guardia del corpo mò?»

Tentai di ridere, di far sembrare tutto normale, ma il suono che uscì dalle mie labbra era teso. «Ma no, scemo, è solo che non voglio che vai da solo, E poi... se proprio devi, vengo con te, no? Così facciamo prima e torniamo a casa.»

Cercai di alleggerire la tensione, dandogli una spinta leggera e ridendo, ma il mio corpo era rigido, e lui se ne accorse. «Siria, nun t sto capenn eh. Jamm, muovt.»

Lo seguii, cercando di non far trasparire quanto mi sentissi sul filo del rasoio.

Ogni passo verso il distributore mi sembrava più lungo, ogni secondo che passava con lui fuori mi faceva tremare le mani.

Avevo il terrore che da un momento all'altro potesse accadere qualcosa, che da una di quelle stradine laterali sbucasse qualcuno di quei volti che avevo visto nelle foto di Antonio.

Finalmente arrivammo al distributore automatico, e Ciro si avvicinò alla macchina con la sua solita sicurezza, inserendo i soldi e recuperando il pacchetto di sigarette.

«Ecco, te lo avevo detto che subito facevo» mi disse, ridendo e scuotendo la testa mentre si accendeva una sigaretta, il bagliore rosso che illuminava per un attimo i suoi lineamenti.

Stavamo tornando indietro quando una macchina sfrecciò all'improvviso sulla strada deserta, i fari che ci accecarono per un secondo e una voce roca che gridò qualcosa da dentro.

Non capii le parole, ma mi irrigidii, stringendo forte il braccio di Ciro.

Il mio cuore esplose in un battito furioso, e per un attimo fui sicura che fosse qualcuno dei rivali, qualcuno che lo stava cercando.

«Ne pnzá a sti quatt sciem» Lui si fermò e mi guardò negli occhi, le sopracciglia corrugate. «Ma da quanto sei così agitata, eh?»

Non riuscivo a rispondergli, ma le parole uscirono lo stesso, come se il panico le avesse spinte fuori. «Ciro... ma o tien semb o coltellin appriess? A pistol? Qualcos'altro?»

Lui sbuffò, quasi divertito dalla mia preoccupazione. «Oh, ma stiss perdenn a cap? Magg purtà a pistol p piglia e sigaret? E comunque, sij proprij scema... chi vuoi che si metta contr a me? A Napoli, tutt quant sanno ca nun s pazze cu me.»

Tentai di sorridere, di sembrare rassicurata dalle sue parole, ma non riuscivo a ignorare la morsa che mi stringeva lo stomaco.

Sapevo che Ciro era rispettato, forse persino temuto, ma l'idea che potesse succedergli qualcosa mi divorava.

Arrivammo finalmente sotto al nostro palazzo.

Lui si fermò, mi tirò a sé con un braccio e mi diede un bacio sulla fronte, senza smettere di scrutarmi con quello sguardo che sembrava voler scavare nella mia mente. «Fai la brava, piccrè.»

Annuii, cercando di ignorare quel senso di colpa che mi martellava dentro.

«Cì, ma io ultimamente...» ma mi interruppe.

«Non succede niente,» disse, accarezzandomi i fianchi «e soprattutto non succede niente a me, to prumett.»

Quando entrammo nel palazzo, sentii il peso della tensione sciogliersi un poco, ma sapevo che non potevo continuare a comportarmi così.

Se Ciro si fosse accorto che la mia preoccupazione nascondeva qualcosa, avrebbe iniziato a farsi delle domande.

E se avesse scoperto cosa sapevo davvero, cosa avevo visto... non so come avrebbe reagito.

Mentre salivamo le scale, mi ripetei che dovevo essere più forte, che dovevo proteggere lui senza farglielo capire.

Ma una parte di me sapeva che il confine tra amore e paura stava diventando sempre più sottile, e che continuare così significava rischiare di perderlo, un passo alla volta.

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