12 "Dinastia", Cosang

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5 anni prima
Ciro

Ero a casa, rilassato nel salotto in stile borghese che avevo ereditato. Le stanze erano adornate con dettagli in marmo e oro, un chiaro segno del potere e della ricchezza della mia famiglia.

Mi ero sistemato comodamente sul divano in pelle, con i piedi posati sul tavolino di vetro davanti a me.

Tra le dita, stavo rollando una canna, un gesto che mi dava un senso di calma e relax dopo una giornata intensa.

Il ritratto di mio padre, Don Salvatore Ricci, troneggiava davanti a me, con la sua presenza imponente e autoritaria. Accanto al ritratto, una statua d'oro di un leone, simbolo di forza e coraggio, completava l'arredamento.

Quella tranquillità durò poco. La porta del salotto si spalancò con un colpo secco, e lui fece irruzione nella stanza.

Mio padre era un uomo grande e grosso, senza capelli, con uno sguardo cattivo che sapeva incutere timore. Il suo ingresso brusco non lasciava dubbi: era venuto per darmi ordini.

«Cirù, tenimm nu problem. Te occupa e na question important.»

Sapevo che quando parlava in quel tono, non c'era spazio per discussioni. Mi alzai lentamente dal divano, cercando di mantenere un atteggiamento rilassato, anche se il suo sguardo penetrante era tutto fuorché amichevole.

«Agg saput ca nu bastard, o proprietar r'o Lido Sirena a Posillipo, sta facenn affar cu e nemic nuost e sta parlann tropp assaij. Nun c putimm permettr ca coccrun c fa e scarp.»

Mio padre non dava spazio alle interpretazioni. La sua voce era come un comando che non ammetteva repliche. Sapevo bene che questo significava che dovevo agire con precisione e senza esitazioni.

«Và la e facc capi ca nun s po mettr miezz a l'affar re Ricci.»

La sua richiesta era chiara: dovevo dare una lezione a quel barista e farlo in modo che fosse un avvertimento per tutti. La missione era semplice nella sua brutalità: dimostrare la nostra forza e garantire che nessuno osasse sfidarci.

«Chiamm a Edoardo Conte e puortatill cu te. Nun c adda sta nisciun imprevist. Veloce e rapido e nun lascià tracc.»

Presi il telefono e chiamai Edoardo, il mio braccio destro. La sua presenza sarebbe stata fondamentale per completare l'incarico con l'efficacia e la discrezione necessarie. Mentre attendevo la sua risposta, ero già mentalmente preparato per la missione.

«Edoà vien cca subit.»

La sicurezza che provavo era palpabile. Sapevo che mio padre contava su di me per gestire la situazione, e non avevo intenzione di deluderlo.

Ogni incarico che ricevevo era una prova della mia abilità e della mia lealtà. Questa volta non era diverso: ero determinato a mostrare che ero all'altezza delle aspettative e pronto a dimostrare che il nostro potere era innegabile.

«Cirú dimostra loro ca nisciun s' adda mettr contr a nuij.»

Con il telefono in mano e il compito chiaro nella mente, aspettai l'arrivo di Edoardo.

Edoardo ed io eravamo in sella ai nostri motorini, diretti verso il Lido Sirena. Il cielo notturno si stendeva sopra di noi, ma il pensiero dell'incarico che avevo ricevuto da mio padre mi teneva completamente concentrato.

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