25 "I P'ME TU P'TE, Geolier

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Presente
Siria

Non posso più guidare a vuoto.

Vincenzo accasciato sul sedile accanto a me non fa che respirare a fatica, il viso gonfio e insanguinato.

Ciro lo ha ridotto malissimo, e se non faccio qualcosa in fretta, potrebbe peggiorare.

Non posso portarlo né a casa né in ospedale.

«Vuoi venire da me?» chiedo, spostando gli occhi da lui alla strada «C'è mia madre, le spiegherò la situazione o magari entrerai di nascosto.»

Vincenzo scosse la testa «No Siria, Tranquilla. Ti do l'indirizzo, portami a casa di Mario, un mio amico.»

«Sicuro, Vincè?» dico preoccupata.

«Si. Abita in una zona tranquilla di Giugliano, e non farà domande.» risponde, avviando google maps con la via precisa.

Accelero verso casa sua, il cuore in gola.

Quando arriviamo, il buio intorno sembra avvolgere tutto.

Parcheggio l'auto in fretta, ed esco. Apro la portiera del lato di Vincenzo, che si muove appena, emettendo un gemito di dolore.

«Vincè, siamo arrivati. Puoi camminare?» chiedo, cercando di mantenermi calma.

Lui annuisce lentamente, stringendo i denti mentre si sforza di alzarsi.

Lo prendo per un braccio, sento il suo peso su di me, ma non lo lascio cadere.

Insieme ci avviciniamo alla porta. Busso una volta, poi un'altra più forte.

La porta si apre quasi subito.

Mario ci guarda, gli occhi che si allargano quando vede il volto di Vincenzo ridotto così, ma non dice una parola.

Si sposta di lato e ci lascia entrare, in silenzio.

La casa è illuminata solo da una lampada nell'ingresso, e l'atmosfera è cupa, quasi soffocante.

Non posso evitare di sentirmi in colpa per averlo portato qui senza preavviso. Però non ho alternative.

«Puortl ind o bagn» mi dice Mario, indicandomi le scale con un cenno del capo. «Là ci sono dei kit per il pronto soccorso.»

Non faccio domande. Lo ringrazio con un cenno e trascino Vincenzo su per le scale, passo dopo passo.

Sento il suo respiro pesante e il dolore che si riflette in ogni suo movimento.

Quando arriviamo in bagno, lo faccio sedere sul bordo della vasca, mentre io apro l'armadietto per cercare disinfettanti, garze e cerotti.

«Non dovevi affrontarlo così» gli dico sottovoce, ma so che è inutile parlarne adesso.

Lui mi guarda senza dire nulla, gli occhi pieni di dolore, non solo fisico.

Mi tremano le mani mentre prendo il disinfettante e qualche garza.

Lui sospira, il fiato che si spezza per il dolore, ma continua a restare in silenzio.

Mi avvicino a Vincenzo con il disinfettante.

Il sangue ha ormai macchiato la sua camicia, e i lividi sul viso stanno diventando più scuri, più visibili.

Mi abbasso davanti a lui e, con delicatezza, inizio a pulirgli le ferite.

Il contatto della garza sul suo viso gli strappa un gemito.

«Scusa» mormoro, cercando di essere il più delicata possibile.

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