5 anni prima
SiriaIl sole stava tramontando, tingendo il cielo di Napoli con sfumature di arancione e rosa, mentre camminavamo verso lo Stadio Maradona.
L'emozione mi faceva battere il cuore più forte. Non ero mai stata a una partita di calcio dal vivo, e meno che mai a uno stadio così famoso.
Per tutta la settimana, Ciro non aveva parlato d'altro, continuando a ripetere che doveva farmi vedere "la vera magia del calcio".
L'idea mi affascinava, ma ero ancora più emozionata all'idea di vedere il capitano del Napoli. Di Lorenzo, per me, era l'uomo più affascinante d'Italia, e non vedevo l'ora di vederlo giocare dal vivo.
«Mammami, finalmente.» disse Ciro, con un sorriso compiaciuto mentre indossava la sua maglia con il numero di Kvaraskhelia. Sembrava un ragazzino, entusiasta come non l'avevo mai visto.
«Non vedo l'ora di entrare,» risposi, sorridendo a mia volta. «Lo stadio sembra incredibile da fuori... posso solo immaginare com'è dentro.»
Prima di avvicinarci ai tornelli, Ciro si fermò, aprendo lo zaino. «Tagg pigliat na cos.» disse, tirando fuori una maglia azzurra con il numero 22 stampato sopra.
«Di Lorenzo?» sorrisi sorpresa, stringendo la maglia tra le mani. «Ciro, la adoro!»
«P'a piccrella mij chest e altro.» rispose lui, con un sorriso malizioso. Poi mi osservò per un attimo, come se stesse aspettando qualcosa. «O sacc ca tien o debl p Di Lorenzo.»
Risi nervosa, cercando di nascondere il rossore che mi era salito al viso. «Direi, è accussi bell.»
Ciro mi lanciò un'occhiata divertita, ma sotto quel sorriso percepii qualcosa di diverso, un lampo di gelosia che non riuscii a decifrare del tutto. «Si si ok...» disse «ma arricuordt cu chi staij ca.»
Mi infilai la maglia e lo baciai sulla guancia. «Grazie, Cì. Sei il migliore.»
Lo stadio era imponente. Quando varcammo i cancelli e entrammo nell'arena, mi sentii sopraffatta dall'energia della folla. Tutto era così enorme, quasi irreale.
Le luci brillanti illuminavano il campo verde perfettamente curato, mentre le gradinate erano già mezzo piene di tifosi che agitavano bandiere azzurre e bianche. Il rombo della folla creava una specie di ronzio costante che faceva vibrare l'aria intorno a noi.
«È... è incredibile,» dissi, senza riuscire a staccare gli occhi dal campo. «Non posso credere di essere qui.»
Ciro mi strinse più forte a sé. «T l'agg itt ca er tropp bell. Aspiett ca accummenc a partit peró.»
Ci sedemmo nei nostri posti, proprio dietro una delle porte. Le persone attorno a noi erano già immerse nei cori, e io mi sentivo trascinata da quell'entusiasmo contagioso. Continuavo a guardare il campo, sperando di scorgere i giocatori, di vedere entrare Di Lorenzo in persona.
«Guarda, guarda chi c'è lì!» indicai improvvisamente, riconoscendo un volto familiare a pochi posti di distanza. «È Antonio, va alla mia stessa scuola!»
Antonio mi vide e si avvicinò sorridendo. Era un tipo simpatico, e avevamo parlato un paio di volte durante le lezioni. «Uè Siria, pur tu ca?»
«Che coincidenza!» risposi entusiasta, alzandomi per salutarlo. «Sì, prima partita dal vivo, sono così emozionata!»
Antonio si fermò per un momento a chiacchierare con me, raccontando di come fosse già la quinta partita a cui assisteva quella stagione.
Mentre parlavamo, però, notai che Ciro si era irrigidito. All'inizio, non ci feci troppo caso, ma man mano che la conversazione continuava, sentivo il suo sguardo fisso su di noi, e qualcosa cambiò nella sua espressione.
Quando Antonio tornò al suo posto, Ciro si girò verso di me, la mascella serrata. «Nun sapev ca ta faciv cu chill.»
«È solo un compagno di scuola, Ciro,» risposi, cercando di minimizzare. «Nun è nient e che.»
Lui non disse nulla, ma potevo sentire la tensione crescere.
Pensai che la sua gelosia fosse un segno di quanto tenesse a me, di quanto volesse proteggermi. Era affettuoso, premuroso... e, certo, un po' possessivo, ma non mi sembrava un problema.
Poi lui si avvicinò al mio orecchio. «Nun e parla cu l'ati guagliun» sussurrò, in tono calmo ma deciso. «Soprattutt annanz a me.»
Le sue parole mi colpirono come una freccia. Qualcosa nel suo tono mi mise a disagio, ma lo scacciai subito, dicendomi che era solo molto protettivo.
Non volevo rovinare quella giornata, che doveva essere perfetta. Quindi sorrisi, gli presi la mano e la strinsi forte, sperando che bastasse a tranquillizzarlo.
«Nun t preoccupa, Cì» dissi, cercando di mantenermi calma. «Stong ca cu te, no?»
L'atmosfera si intensificò quando lo speaker iniziò ad annunciare i nomi dei giocatori. Ogni volta che un nome usciva dagli altoparlanti, la folla urlava in risposta, come se ogni tifoso fosse parte di un'unica anima collettiva, unita dall'amore per il Napoli.
«Eccoli!» gridò Ciro, indicandomi i giocatori che uscivano dal tunnel e si disponevano sul campo. Io guardavo tutto con occhi spalancati, completamente travolta da quell'energia che non avevo mai provato prima.
Poi arrivò il momento tanto atteso: il calcio d'inizio. Ma non appena il gioco iniziò, tutto diventò un caos per me. I giocatori si muovevano così velocemente che sembravano formiche su quel campo immenso, e io non capivo neanche più da che parte dovevano segnare.
Cercavo di seguire la palla, ma mi perdevo nei movimenti rapidi e nelle grida della folla. Sembrava che tutti sapessero cosa stava succedendo, tranne me.
Ciro, però, era completamente immerso nel gioco, come la maggior parte degli uomini intorno a noi. Non staccava gli occhi dal campo, le mani strette a pugno sulle ginocchia, pronto a scattare in piedi a ogni azione. Era così concentrato che sembrava non sentire nemmeno il rumore assordante che ci circondava.
Poi, all'improvviso, accadde. Il Napoli segnò. Un gol, un boato. Il Maradona esplose in un urlo di gioia che mi fece sobbalzare. Tutti si alzarono in piedi, gridando e abbracciandosi. Non riuscivo a credere alla potenza di quel momento: l'energia, la passione, il rumore che ti faceva vibrare le ossa. Era magico, davvero.
«1-0!» gridò Ciro, saltando in piedi con il pugno alzato. Mi sorrise, gli occhi che brillavano di emozione.
Dopo quel gol, la partita sembrava procedere in una nebbia confusa di azioni veloci e cori interminabili. Non riuscivo ancora a seguire tutto, ma non importava più. Mi ero lasciata trasportare dalla magia del momento, dalle voci dei tifosi che cantavano all'unisono, dalle bandiere che sventolavano, dai battiti incessanti dei tamburi.
Era come se fossi stata risucchiata in un vortice di emozioni che non avevo mai provato prima.
E poi, sul finale, il Napoli segnò di nuovo. Questa volta fu Kvaratskhelia a chiudere la partita con un gol straordinario. Ciro esplose di gioia, saltando e gridando come un pazzo. Le sue urla si perdevano nel frastuono generale, ma i suoi occhi erano fissi su di me.
E per la prima volta da quando ci conosciamo, fece qualcosa di totalmente inaspettato.
Mi attirò a sé, senza dire una parola, e mi baciò. Un bacio intenso, appassionato, che mi lasciò senza fiato.
Non mi ero mai immaginata così il mio primo bacio, nel bel mezzo dello stadio Maradona, con migliaia di persone intorno a noi che urlavano e si abbracciavano per celebrare la vittoria. Ma eccolo lì, quel momento perfetto e assurdo allo stesso tempo.
Quando ci staccammo, il mio viso era completamente rosso. Sentivo il calore salirmi sulle guance, e non sapevo bene cosa dire o fare.
Ciro mi guardò con quel suo solito sorriso sfrontato, ma stavolta c'era qualcosa di più nei suoi occhi, qualcosa che mi fece battere il cuore ancora più forte.
«Sapev ca t sarebb piaciut assaij o Maradona» disse con una calma quasi provocatoria, ancora sorridendo. «Ma scommett ca nun t l'aspttav accussi, eh?»
Non riuscivo a rispondere, ma il mio sorriso gli fece capire che aveva ragione.
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Partenope
ChickLitCiro Ricci, figlio devoto e predestinato erede del clan Ricci, ha sempre avuto un posto chiaro nel mondo: il potere, la violenza e la lealtà verso la sua famiglia. Ma quattro anni fa, qualcosa è andato storto. Siria, la ragazza che credeva di amare...