Capitolo 20

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Hinata pov:

Appena Kageyama uscì di casa, lasciai cadere il cellulare sul divano. Lo schermo rimase acceso, mostrando ancora la conversazione con Yachi, ma non risposi. Non avevo voglia di spiegare nulla. Non avevo nemmeno voglia di pensare.

Mi sdraiai lentamente sul divano, il cuscino freddo contro il viso, mentre i miei occhi iniziavano a bruciare. Perché mi sentivo così? Perché sembrava che ogni volta che mi avvicinavo un po' a Kageyama, qualcosa andasse storto? Cosa avevo sbagliato stavolta?

Senza nemmeno rendermene conto, le lacrime iniziarono a scendere. Cercai di fermarle, ma era impossibile. Il mio petto si strinse, e non riuscivo a controllare il tremito che mi prendeva. Perché Kageyama se ne era andato così, senza nemmeno dirmi niente di più? Cosa gli avevo fatto per meritarmi quella freddezza?

Alla fine, afferrai il cellulare e, senza pensarci troppo, scorsi la rubrica. Le dita tremavano leggermente mentre cercavo un nome. "Kenma".

Esitai per un attimo. Non volevo disturbare nessuno, ma sapevo che Kenma non mi avrebbe giudicato. Cliccai sul suo nome e portai il telefono all'orecchio. Il suono delle chiamate in attesa mi sembrò eterno, ma finalmente rispose.

"Che succede, Hinata?" La sua voce era calma, come sempre, quasi monotona, ma stranamente rassicurante.

"Kenma..." cominciai, la voce spezzata. "Non... non so cosa fare."

"Vuoi parlare?" chiese, senza insistere troppo. Quella sua pazienza infinita era esattamente ciò di cui avevo bisogno in quel momento.

Mi lasciai andare in un respiro profondo, cercando di calmarmi abbastanza da rispondere. "Kageyama... lui se n'è andato. E io non so perché mi sento così... così male."

Kenma rimase in silenzio per qualche secondo, probabilmente raccogliendo le parole giuste. "Ti ha detto qualcosa prima di andarsene?"

"Solo che doveva andare a casa. Ma... sembrava arrabbiato o infastidito, e non capisco perché."

"Magari non ha a che fare con te." rispose Kenma, diretto come sempre. "A volte le persone hanno pensieri che non riescono a esprimere. Non significa che tu abbia fatto qualcosa di sbagliato."

Ascoltai la voce calma di Kenma, cercando di far entrare quelle parole nella mia testa. "Non significa che tu abbia fatto qualcosa di sbagliato." Continuava a ripeterlo, ma non ero sicuro di crederci. Eppure, mentre parlava, mi sentivo un po' più tranquillo. Mi stava aiutando, come sempre, senza essere invadente.

"Hinata." disse alla fine, con quel tono leggermente più deciso che usava raramente, "promettimi che mangerai qualcosa. Non saltare di nuovo il pasto."

Feci un mezzo sorriso, anche se non lo vedeva. "Ci proverò."

"Non solo provarci. Fallo." La sua risposta era diretta, ma con quella sfumatura di preoccupazione che sapevo Kenma esprimeva a modo suo.

Annuii, anche se non ero sicuro di poterne fare a meno. "Okay, lo farò."

"Va bene." disse, con quel solito tono piatto. "Ci sentiamo più tardi, Hinata."

"Grazie, Kenma." Le parole mi uscirono più sincere di quanto mi aspettassi. Poi chiudemmo la chiamata.

Il silenzio tornò a riempire la stanza. Rimasi sdraiato sul divano, con gli occhi fissi sul soffitto. Le lacrime che avevo trattenuto cominciarono di nuovo a scendere lentamente, bagnandomi il viso.

Mi alzai lentamente dal sofà, asciugandomi le lacrime con il dorso della mano. Sapevo esattamente dove andare. Aprii un cassetto vicino alla libreria, cercando con gesti lenti e un po' incerti. Le dita trovarono quello che cercavo: una vecchia foto. Tornai sul divano, avvolgendomi di nuovo tra le coperte.

Osservai la foto con attenzione, trattenendo il respiro. Io e Kageyama, sorridenti, sotto la neve. Era stata scattata solo il mese scorso, durante novembre. La sua espressione rilassata e il nostro sorriso complice sembravano così distanti ora. Con due dita, sfiorai il suo volto nella foto, come se volessi sentire di nuovo quel calore che adesso mi sembrava così lontano.

Raggrinzito tra le coperte, il cuore pesante, mi lasciai andare a un'altra lacrima mentre mi domandavo, sconfitto, cosa avessi fatto di sbagliato.

Con quella foto stretta tra le mani, mi addormentai, le guance ancora bagnate dalle lacrime e una sola domanda nella testa: "Cosa ho sbagliato questa volta?"

Guardavo il soffitto, ma era come se non lo vedessi davvero. Gli occhi erano spenti, la mente vuota. Non avevo fame, nemmeno un po'. Il peso nel petto mi stringeva, rendendo impossibile pensare a qualsiasi altra cosa.

Le lacrime continuarono a scendere, e a un certo punto il sonno mi prese, lasciandomi addormentato tra i singhiozzi.

I need you.  //Kagehina//Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora