45. La condanna e la cura

320 36 9
                                    

«Si va in scena fratello» annunciò Andrea, seduto vicino a Duccio su un divanetto in vimini nel giardino di casa Stagi.
L'aria autunnale si faceva sempre più aspra e fresca, ma quel luogo rimaneva il ritrovo migliore per loro, qualsiasi fosse la stagione o condizione meteorologica.

«Voi due non camperete mai cent'anni per quanto poco vi fate i cazzi vostri» disse Gherardo mentre fumava, guardandoli dietro a un paio di occhiali da sole scuri. Non c'era molto sole a dire la verità, ma quelli rimanevano il suo accessorio preferito anche con la pioggia o col buio.

«E chi vuole vivere cent'anni» rispose il corvino sghignazzando.
«Di sicuro non io» aggiunse il rosso.
Nel frattempo aveva già cliccato sul contatto di Pietro e fatto partire la chiamata, tutto procedeva secondo il loro piano.

«Ehi Pietro, senti ho un problema, solo tu puoi risolvermelo mi sa» esordì non appena udì la voce assonnata del biondo dall'altro capo del telefono.
Iniziò a sfoggiare la sua scusa, inventata ad hoc in modo che nessuno potesse sospettare qualcosa.

«Ti giuro non riesco ad alzarmi dal cesso, ho degli strizzoni alla pancia che non immagini... oggi era un giorno dedicato al regalo di Elisa, non vorrei darle buca così all'ultimo, puoi andare te?»

Pietro rimase di sasso, le interazioni con la riccia erano state pressoché nulle dalla serata di Halloween e non era proprio il suo ideale del momento finire da solo con lei in un centro benessere.

«Ma non può andare Andrea, Allegra, o che ne so, uno dei suoi migliori amici?» propose per svincolarsi da quel guaio. Perché altro non era se non un guaio, in cui non voleva cacciarsi per nulla al mondo.

«Già sentiti, è un po' troppo tardi per trovare un rimpiazzo, è un giorno lavorativo e di università, oggi per l'appunto Andrea sta con Giada poi.. dai Piè che ti costa? Se sei libero vai te, è pure gratis. Non è colpa mia se mi è venuto il cagotto, non l'ho fatto apposta, e lei ci tiene. Non vorrai essere insieme a me la fonte della sua delusione.» insistette il rosso.

Fares si passò una mano sugli occhi col telefono ancora attaccato all'orecchio, sospirando rumorosamente, purtroppo il senso di colpa che l'amico gli stava facendo salire prevaleva sulla voglia di non rivivere o riparlare di quanto accaduto il 31 ottobre. Non sapeva che effetto gli avrebbe fatto stare di nuovo vicino a lei, per di più in costume da bagno immersi in delle piscine o in una sauna.

«Va bene, a che ora passo a prenderla?» sbuffò alla fine.
Piccolo esultò a bassa voce, guardando Faster al suo fianco e sorridendo con un pollice alzato.

«Avevamo fissato per le 14:30, quindi manterrei quell'orario, se riesci» cercò di mantenere un certo aplomb, per non rovinarsi proprio sul finale, quando ormai lo aveva convinto.
«Sì, va bene» si era già pentito di aver accettato e iniziava a montare dentro di lui un senso di ansia che gli faceva bruciare lo stomaco, ma non poteva dirlo a Duccio, perché lui non sapeva nulla - o almeno così pensava.

Si salutarono sbrigativamente, e non appena il rosso ebbe attaccato i due complici iniziarono a saltare per aria, sotto lo sguardo rassegnato del proprietario di casa. Quei due sembravano due vecchie signore pettegole che sparlavano dei vicini di casa e inventavano imbrogli solo per il gusto di ridere degli altri.

«Elisa la chiamiamo più tardi, prima lo sa peggio è, si potrebbe inventare una scusa per dare forfait.»
«Concordo» annuì il moro accendendosi una sigaretta e sorridendo fiero della loro impresa che sembrava procedere come pianificato.




Qualche ora più tardi


«Duccio non ci credo, mi dispiace, vabbè sarà per un'altra volta» rispose dispiaciuta Elisa al telefono.
«No, in realtà ho risolto e trovato un'altra persona che verrebbe volentieri con te, ti passa a prendere tra mezz'ora, allo stesso orario a cui avevamo fissato»
«E chi sarebbe questa persona?» domandò incuriosita.
«Pietro»
Il cuore della corvina perse un battito nel sentire quel nome, rischiò che il cellulare le cadesse per terra, e si portò una mano sul petto.

«Scusa, ripeti?» deglutì il groppo di ansia in gola, sperando di aver sentito male.
«È Pietro, Eli» affermò con tono calmo il ragazzo, cercando di trattenersi dal ridere.
«Duccio, ti ha dato di volta il cervello?» esclamò innervosita, le mani le tremavano dalla sorpresa.
«No, non volevo lasciarti andare sola né rimandare, ho scritto sul nostro gruppo ed era l'unico disponibile, non potevo mica dirgli di no» mentì spudoratamente, ma era a fin di bene, solo questo lo faceva sentire meno colpevole.

«Smetti di prendermi per il culo» sibilò dall'altro capo del telefono «perché mi fai questo?» cambiò di nuovo tono di voce, questa volta era quasi terrorizzata.
«Andrà tutto bene, scricc» disse lui, addolcendosi. La prendeva in giro chiamandola "scricc" a volte, come diminuitivi di scricciolo, e sapeva che lei non resisteva e si faceva sempre intenerire da quel soprannome.

«Quando torno ti pesto di botte» annunciò ormai arresa al suo destino, sospirando, e sorridendo appena, perché sapeva che nulla avrebbe cambiato quel ragazzo a cui voleva così tanto bene.
«Dai che tra poco il principe passa a prenderti» la schernì ridacchiando, e sentendosi più sollevato quando lei rise di rimando.
«Ti voglio bene, scricc»
«Io per nulla, stronzo» rispose fingendosi arrabbiata, cliccando poi sull'icona rossa del telefono per chiudere la chiamata.

Rimase per due minuti a fissare il vuoto, seduta sul suo letto, immaginando gli scenari che sarebbero potuti accadere, e cercando di respirare profondamente perché non poteva farsi venire un attacco di panico mentre lui arrivava a prenderla.
Non sapeva se lui ricordasse, e in cuor suo sperava di no e non voleva saperlo, non poteva rischiare che lui percepisse qualcosa.
Doveva rimanere segreto, ed era sempre più difficile per lei, anche alla luce di quegli avvenimenti, ma la paura di rimanere bruciata prevaleva su tutto.

Sentì suonare il clacson, e fu quello il momento in cui davvero cominciarono a tremarle le gambe.
Percorreva le scale di casa sua come se camminasse su gelatina, la testa quasi ovattata.

Sorrise istintivamente vedendo lui sorriderle dal finestrino della sua auto e salutandola con una mano, posteggiata davanti al vialetto di casa sua con le doppie frecce.

Si salutarono con un bacio sulla guancia, entrambi straniti da quel contatto, e chiedendosi nello stesso esatto momento «come stai?» cadendo in un attimo di imbarazzo.

«Scegli tu playlist per il viaggio?» le propose passandole il suo telefono in mano, aperto su Spotify, con un sorriso sghembo ma dolce disegnato in volto. Si passò poi una mano nel ciuffo, girando la chiave nel quadro di accensione dell'auto.

La riccia sorrise istintivamente annuendo e iniziando a scrollare la pagina iniziale dell'app di musica, quel sorriso dell'amico aveva sollevato quel peso dal suo petto e l'aveva fatta già sentire meglio, eppure era sempre lui l'origine di quell'oppressione.

Era così Pietro, la sua condanna e la cura.





****
N.d.A
Lo so, sono imperdonabile, e so che questo capitolo non è valso l'attesa sicuramente, mi perdonerete forse comunque perché è la prima volta che faccio passare così tanto tempo tra un capitolo e un altro.
È un momento non troppo proficuo per me e la scrittura, ma spero di riprendermi presto.

Mai sonno || Fares Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora