47. Senso di colpa

307 29 9
                                    

Nel tempo in cui Pietro si faceva la doccia, dopo non poche minacce da parte della ragazza, Elisa si vestiva ancora lievemente dolorante. Cercava di convincersi che fosse solo la botta, e che sarebbe passato, anche se le dimensioni di quella caviglia sembravano aumentare a dismisura nonostante il ghiaccio applicato prontamente e tenuto in posa per diverso tempo.

Alla fine aveva convinto sia il personale del centro benessere sia Pietro a non chiamare l'ambulanza, sarebbe tornata ad Empoli e avrebbe valutato con calma nella notte se andare o no al pronto soccorso, ma almeno sarebbe stata a casa sua.

Dopo aver riposto tutto ordinatamente nel borsone, si andò ad asciugare un minimo i capelli, non era proprio un gioco da ragazzi con quei phon come quelli forniti dalle palestre o dagli hotel, che se fossero potenti almeno la metà di quanto sono rumorosi asciugherebbero i capelli di chiunque in un batterio d'occhio.

«Faccio io» il biondo apparve alle sue spalle, prendendole di mano l'elettrodomestico.
«Ho male a un piede, non ad una mano» ridacchiò stranita, ma lui continuò imperterrito, rifiutandosi di restituirle il phon.

Osservò divertita il riflesso concentrato di lui che le passava la mano tra i capelli, tastandoli per capire se si stessero effettivamente asciugando sotto al getto caldo, e quando si scorsero entrambi a guardarsi nello specchio scoppiarono a ridere.

«Direi che vanno bene, poi li laverò con calma a casa, grazie» si alzò barcollante, tentando di fare leva il meno possibile sulla caviglia incidentata, ritrovandosi inavvertitamente ad appoggiarsi al petto di Pietro con le mani.

Si sorrisero timidamente, incapaci di proferire parola, per poi avviarsi verso l'uscita, una dei due dignitosamente claudicante.





***





«Pietro, devi stare tranquillo» ripetè per l'ennesima volta mentre la scortava fino all'entrata di casa con la coda tra le gambe.
Lo vedeva che era giù, e non poteva fare altro se non dirgli di non preoccuparsi, anche se sapeva che al posto suo lei avrebbe agito allo stesso modo. Non era una persona che si perdonava facilmente, Fares, era molto severo con se stesso, su certe cose, a volte fin troppo, anche se cercava di non darlo a vedere.

«Sai dovevo intuirlo dalla prima volta, quando mi hai tamponato, che il tuo scopo era attentare alla mia vita» lo schernì, e il suo cuore sorrise insieme a lei ricordando quel giorno che sembrava così lontano, perché era passato un bel po' di tempo e molte cose erano cambiate. Alla fine però era passato poco più di un anno, che non è nulla in termini di tempo, ma in termini di vita era tanto.

I cambiamenti della sua vita erano stati notevoli, e Pietro, come gli altri ragazzi del bunker, erano sempre stati una costante.

«Diamine pensavo di averlo rimosso e ora mi hai ricordato un altro motivo per sentirmi in colpa» la canzonò a sua volta lui, anche se in realtà era davvero mortificato per ciò che era successo.

Non aveva fatto che pensarci, per tutto il viaggio, avrebbe preferito trovarsi lui al posto suo, senza dubbio.
«Posso fare altro per te?» addolcì il tono di voce, sfiorandole una mano impulsivamente, mentre stavano in piedi l'uno davanti all'altra. Se ne pentì l'istante seguente, quando la sentì allontanarsi.

«Vai a casa, cena, e riposati, ecco il favore che puoi farmi» scansò la sua mano da quella di lui, cercando di non dare troppo nell'occhio, ancora un po' titubante sul contatto fisico e sull'effetto che aveva su di lei «devi stare davvero tranquillo, non ho bisogno di nulla, e non lo hai fatto apposta, non sono arrabbiata.» per la prima volta incrociò il suo sguardo, che bruciava sulla sua pelle.
«Va bene, scusa ancora» le soffiò un bacio sulla guancia lasciandola inchiodata sullo zerbino di casa, allontanandosi poi con le mani in tasca senza più voltarsi a guardarla, nemmeno per salutarla con un gesto della mano.

Sentiva le sue spalle farsi pesanti, come un macigno che incombeva su di lui, mentre se ne andava. Salì nell'abitacolo e mise in moto l'auto in maniera meccanica e partì verso casa come se fosse un automa.
Sentiva di aver sbagliato di nuovo, un'altra cazzata da aggiungere all'elenco infinito che aveva collezionato negli ultimi mesi, strinse le dita così forte intorno allo sterzo tanto da farle diventare bianche.
Poi fece un respiro profondo, e aprì il finestrino, facendosi colpire in faccia dal vento fresco di novembre.

Elisa bussò alla porta, cercando di arrossire il meno possibile per chi le avrebbe aperto l'uscio.

Sentiva ancora la leggera pressione che lui aveva fatto all'angolo della sua bocca.
Era un gesto tanto bello quanto inaspettato, e non sapeva se sentirsi felice oppure ancora più confusa.





***




«Se Dio vuole è solo una distorsione, devo stare a riposo, non farci carico, e tenerla sollevata, e nulla ghiaccio tre volte al giorno» spiegò nella nota audio che stava inviando ad Andrea.
Alla fine, nella notte era andata al pronto soccorso, anche perché sua mamma le metteva ansia per le dimensioni mastodontiche che quella caviglia aveva assunto.
Aveva iniziato ad elencarle tutte le patologie potenzialmente letali che avrebbe potuto avere e le conseguenze catastrofiche sé non si fosse fatta controllare.
Alla fine aveva perso una notte intera al pronto soccorso, ma almeno non c'erano fratture, e nemmeno trombosi - come sua mamma aveva ipotizzato armata delle potenti informazioni offerte dal signor Google.

La mattina seguente era stata dedicato a recuperare il sonno notturno perso, per poi rispondere ai messaggi di preoccupazione da parte di tutti; la voce si era sparsa velocemente solo come succede al bunker.

«Va bene, lo dico al sosia di Cobain allora perché si stava per strappare ogni capello dalla testa per il senso di colpa» rispose in una nota audio a sua volta Faster, ridacchiando in maniera quasi maligna sul finale.

«Pensate a Sanremo che tra qualche giorno avete la cosa lì degli ultimi 50, io non sono importante adesso» inviò di nuovo, davvero preoccupata.

Era davvero in pensiero per loro, si stavano esercitando sì, ma dal punto di vista del mood sembravano aver preso un po' sottogamba questa cosa di Sanremo giovani, continuando a dare per scontato che non sarebbero andati avanti.
Lei invece ripeteva da tempo a Gherardo che doveva trovare un vocal coach, perché era convinta sarebbero andati avanti, tra i nomi dei 50 finalisti erano tra i più promettenti. Il manager del collettivo stava ancora procrastinando, come suo solito, ma lei insieme ad Allegra avevano iniziato a vedere un po' chi potesse fare a caso loro, così da "imboccare" Gherardo quando si sarebbero resi conto del bisogno.

«Senti gamba di legno, apri la porta che stiamo qua sotto» ascoltò l'ennesimo audio di Faster, spalancando la bocca e saltellando su una gamba sola fino alla finestra, davanti al suo cancellò scorse un cesto di capelli ricci castani, due testoline rosse - una più amaranto ed una più ramata - ed un mullet nero corvino. Sorrise mentre le facevano dei versacci per farsi aprire, scuotendo la testa.

Aveva gli amici migliori del mondo.





***
N.d.A
Buonasera e buona domenica, spero abbiate passato una bella giornata.
Eccomi qua, sono stata puntuale nel ritorno, in realtà avevo solo messo le mani avanti ma forse non sarò così ritardataria come pre-annunciato.
Questo messaggino per distogliere un po' l'attenzione da questo annuncio che sto per dropparvi: preparatevi perché questa storia è vicina alla fine, più di quanto pensate mi sa.
E niente, ci vediamo al prossimo, fatemi sapere che ne pensate di queste peripezie infinite di Elisa e Pietro.

Mai sonno || Fares Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora