42. Portami a casa

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Le mani di Pietro si arpionarono alle sue cosce, trasportandola di peso fino alla porta dello studio studio, che era la prima stanza vicina utile, poi camminarono impacciati e con le labbra ancora adese tra loro, fino ad arrivare ad appoggiarsi sul divanetto.

«Buttati, nella vita devi buttarti di più e pensare di meno» gli aveva detto Frank, e lui sembrava averlo preso alla lettera, quel suggerimento.

Percorse con le mani la schiena della riccia, facendola scuotere dai brividi lungo la spina dorsale, le solleticò i punti di allaccio del corsetto, continuando a baciarla e mordicchiarle il labbro inferiore.
Elisa si godeva la sensazione della barbetta incolta sotto alle sue dita, accarezzava quel volto come se fosse qualcosa di prezioso che poteva rompere da un momento all'altro.

Il biondo la aiutò a sdraiarsi sotto di lui, e si sorresse con le braccia, sovrastandola.
Iniziò a lasciarle una scia umida di baci sul collo, facendole girare ancora più la testa di prima, se possibile. Elisa non riusciva ancora a capire se fosse tutto frutto della sua immaginazione, ma non voleva che lui si fermasse, anche se forse se ne sarebbe pentito poi.
Lei no, aspettava quel momento da fin troppo, ed egoisticamente interromperlo avrebbe significato perdere tutto ciò che per lei contava, anche se lui non si sarebbe ricordato di nulla il giorno seguente con molta probabilità.

«Posso?» si staccò da lei, le labbra arrossate e i capelli scompigliati, alludendo al suo corsetto.

Rimase fulminata dalle sue iridi, più verdi e guizzanti di vita del solito, tendenti quasi al dorato nel crepuscolo dello studio, dove non si erano nemmeno interessati di accendere la luce. Solo il fioco bagliore dello schermo del computer in standby emanava un fascio che illuminava un minimo la stanza.
Annuì senza proferire parola, aiutandolo a slacciare i fili stretti ad hoc da Ginevra.

Mentre stava finalmente per terminare quel minuzioso lavoro di scioglimento di nodi, sentirono la porta cigolare.

«No cazzo» imprecò Pietro.
Jack rimase impietrito sulla porta, dileguandosi subito dopo.
«Scusate» balbettò prima di sparire dalla loro vista.

Elisa si sentiva profondamente imbarazzata, il suo seno quasi completamente scoperto, Pietro davanti a lei con un'espressione delusa, forse aveva realizzato quello che stavano davvero facendo, e se ne era pentito?
Se prima leggeva in quelle pietruzze verdastre del desiderio, ora riusciva a vederci solo disappunto, forse pentimento?

Strinse qualche nodo dietro alla schiena alla bell'è meglio, scappando da lui.
Sperò che la fermasse, che le chiedesse di restare, anche solo in sua compagnia, ma ciò non accadde.

Sono cose che accadono nei film, Elisa, questa è la vita reale.

Mentre camminava tra la gente come un'automa, lo sguardo vitreo fisso nel vuoto davanti a sé, fu lì che realizzò la cazzata che aveva realmente fatto.

Quella serata le aveva dato tanto e al tempo stesso tolto tutto, si sentiva talmente stupida, non era quantificabile, Duccio cercò di fermarla, ma fu oltrepassato, la corvina se ne andò fuori e si sedette sul prato, ancora più umido di prima.

«Eli, mi dici che è successo?» era decisamente fatto, pure lui, ma si preoccupava lo stesso per la sua amica. Si era accorto che qualcosa non andava.
Aveva le pupille rosse, l'alito alcolico, ma era comunque inginocchiato vicino a lei cercando di capire cosa l'avesse turbata così tanto.

«Duccio, ti prego portami a casa» sussurrò tra le lacrime, i singhiozzi che le spezzavano il respiro, il più forte dei dolori al petto che aveva mai provato da anni, la trachea chiusa, la totalizzante sensazione di non riuscire a respirare.

Si sentiva morire, e forse avrebbe preferito essere morta, piuttosto che dover affrontare i giorni seguenti le conseguenze di ciò che aveva fatto.






****







Una mano le accarezzava i capelli, il tepore di un piumone le avvolgeva il corpo, le tempie le iniziarono a martellare il cervello non appena aprì gli occhi, mettendo a fuoco la stanza di Giada.

«Come sono arrivata qui?» mormorò senza voce, guardando la rossa seduta sul letto accanto a lei.
«Un principe azzurro su un cavallo bianco» scherzò sorridendole, col suo classico sorriso furbo stampato in faccia.
«Non è divertente, Giada» si schiacciò un cuscino sulla faccia.
«Duccio» sospirò «e Andrea, eri diventata ingestibile» guardò il piumone non incrociando lo sguardo di Elisa.
«Che diamine ho combinato?»
«Non lo so, piangevi disperata come mai ti ho visto fare, farfugliavi frasi sconnesse su come "avessi rovinato la tua vita" e robe simili, singhiozzavi a perdifiato e ti rotolavi su quel prato umido. Io stavo solo passando a salutare e ti ho trovata lì, con Duccio strafatto che non sapeva cosa fare per aiutarti»
«Insomma sei un po' il mio angelo custode» commentò con il cuscino ancora premuto sulla faccia.
«Sempre pronta, e tranquilla, ho minacciato Andrea di non dire a nessuno che ti hanno portata loro di peso in macchina e poi qui su» tornò ad accarezzarle i capelli «ho mandato io un messaggio a tua mamma col tuo telefono, per dirle che rimanevi a dormire e a pranzo da me, anche se ormai è già abbondantemente superata l'ora di merenda anche»

La riccia spostò l'oggetto che le copriva il volto, mettendosi a sedere.

«Quanto ho dormito?» spalancò la bocca, stupita da se stessa.
«Più di 10 ore, forse 12, ma non conta. Mi vuoi raccontare cos'è successo?»
«No, credo di no, voglio dimenticarlo pure io. Ma mi sarà impossibile.» si coprì il volto con le mani.
«Hai un Oki?» la implorò con le sue iridi scure.
«Arriva, principessa» le sorrise sparendo e riapparendo poco dopo con quanto richiesto.

«C'entra per caso Pietro?»
Sentì qualcosa frantumarsi nel suo petto sentendo quel nome, un peso comparirle sullo stomaco.
Bevve l'intruglio al sapore di menta con faccia schifata, per poi massaggiarsi il capo.
«Potrebbe» chiuse gli occhi sperando che avrebbe aiutato il mal di testa «si può chiudere la finestra? La luce mi dà un po' noia»
«Oggi sei sfastidiata da tutto» la prese in giro, mentre si alzava e tirava giù le tapparelle.

«Ho fatto la cazzata più colossale della mia vita, Giada» esclamò con tono quasi tombale.
«E si può sapere si cosa si tratta?» la incalzò ormai con la pazienza sotto i piedi, chinandosi in avanti e affinando le orecchie.
«Ho baciato Pietro, o meglio ci siamo baciati, non so più chi ha baciato chi»

Giada battè le palpebre incredula, più e più volte, le sue iridi mostravano shock e al tempo stesso sorpresa «e dove arriva la parte della cazzata?» la fece sorridere, anche se solo per un secondo.
«Qualcuno è entrato nella stanza ed io sono scappata, ho percepito in lui un velo di delusione, forse se ne è pentito subito, ho avuto una paura fottuta, e sono scappata. Solo questo mi riesce fare, scappare dai guai» una lacrima solitaria le rigò il volto, la raccolse prontamente con il pollice della mano destra, sperando di non dare il via alle danze per un altro pianto.

«Eravate ubriachi?»
«Credo di sì, però ricordo tutto, in maniera un po' confusa ma lo ricordo, non scorderò mai la sensazione delle sue mani su di me, e soprattutto delle sue labbra sulle mie» se le toccò mentre pronunciava quella parole, mentre iniziava a piangere, nonostante tutto l'impegno impiegato per evitarlo.
«Mhmmh mh» riflettè per un attimo la rossa «bisogna vedere se lui ricorda»
«Ma io non voglio che lui ricordi» replicò Elisa con la voce spezzata dal pianto.






***
N.d.A
Lo so, non dite nulla, tutta questa attesa per poi finire così.. l'ho già citata la canzone che fa "tu mi porti su e poi mi lasci cadere"? Forse mi merito un po' di insulti, sì, quindi non dirò nulla per difendermi.
Fatemi solo sapere che cosa ne pensate di tutto, anche alla luce dello scorso capitolo ovviamente, sempre se vi va.

Mai sonno || Fares Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora