47.Gabriel

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Strinsi la mascella, il nervoso mi attanagliava. Quel tipo non aveva niente di meglio da fare che rompere le palle persino alla festa della bambina? Lo vidi di sfuggita, nascosto dietro la recinzione. Maledetto. Mi avvicinai a Theo e Jason, che chiacchieravano sorseggiando spumante.
"Dobbiamo agire subito. Lui è qui," dissi a bassa voce, cercando di mantenere la calma.
Theo posò il bicchiere, la sua espressione si fece seria. "Non possiamo intervenire ora, ma posso seguirlo con l'auto. Magari con un agente dietro di me. Così scopriamo dove si nasconde quel bastardo."
Annuii. "Ok, fallo. Lo vedo chiaramente laggiù, dietro la recinzione."
Theo si mosse rapidamente, parlando con un agente per mettere a punto il piano. Non lo avremmo perso, non questa volta. Decisi di unirmi a lui, ma prima dovevo inventarmi una scusa per andarmene.
Tornai da lei. "Amore, dobbiamo andare indagare dove si nasconde Alex. Torniamo subito." Le diedi un bacio rapido.
"Ti prego stai attento." Stavo per andarmene, ma quel viso preoccupato mi faceva impazzire. Mi fermai un istante, tornando indietro per darle un altro bacio. Poi uscii di casa in fretta e mi infilai in macchina con Theo.
"Un agente mi ha spiegato il piano," disse mentre avviava il motore. "Abbiamo un GPS sulla nostra auto. Quando troviamo un punto dove possiamo nasconderci, loro arriveranno. Non potevamo metterlo nella sua macchina, se ne sarebbe accorto subito."
Annuii, accendendomi una sigaretta per calmare i nervi. Abbassai il finestrino, ma Theo mi colpì leggermente sul braccio.
"Sei scemo? Spegni quella cosa, gli arriva addosso il fumo."
Sbuffai. "Deficiente, il vento va verso di noi. Lui è davanti, come diavolo gli arriva il fumo se siamo dietro?"
Theo rovistò nel suo borsello, tirando fuori un dispositivo nero. "Fumati questa, allora." Era un IQOS.
La osservai un attimo, valutando se fosse il caso di comprarne una. Sembrava più gestibile. Scossi la testa, concentrandomi di nuovo sulla "missione." L'auto avanzò lentamente, mantenendo una distanza di sicurezza.
"E se ci becca?" domandai. "Se poi i si infila in qualche stradina sperduta e capisce che lo seguiamo? Vedrà solo la nostra auto dietro di lui." L'ansia mi stava divorando.
Theo sbuffò. "Semplice, prendiamo un'altra strada. Di solito ce ne sono diverse, no?"
"Non lo so, mi sembra comunque rischioso," dissi, scettico.
"Madonna, Gabriel, non essere pessimista! Se parti già così, tanto vale tornare indietro."
Non risposi subito. Forse aveva ragione, ero troppo teso. "Hai una pistola, almeno?" chiesi, cercando di pensare a ogni evenienza.
Theo fece un mezzo sorriso, tirando fuori due pistole dal vano portaoggetti. "Certo, una si chiama Tom e l'altra Jerry." Me ne porse una.
Lo fissai, incredulo. "Ma perché devi fare il cretino pure adesso?" Scoppiammo a ridere entrambi, quella risata che ti toglie un po' di peso dal petto. Ed era proprio per questo che volevo bene a Theo. Sapeva strapparti un sorriso anche nei momenti peggiori.

Improvvisamente vedemmo l'auto svoltare, imboccando una strada laterale che si divideva dal percorso principale. Era esattamente come aveva previsto Theo: quella stradina era nascosta da una fila di alti pini che formavano una sorta di barriera naturale. Perfetto per evitare di essere seguiti, pensai, ma non stavolta.
"Che ti avevo detto? C'era un'altra strada," disse Theo con il suo solito sorrisetto di soddisfazione.
Non gli risposi, troppo concentrato a controllare il GPS che tracciava il percorso del bastardo. Il segnale indicava che si stava dirigendo in una zona più isolata. Senza fare rumore, Theo accostò l'auto e spegnemmo i fari. Il nostro nascondiglio era ideale: la strada sterrata e i pini ci coprivano alla perfezione.
Dopo un istante di silenzio, Theo prese la radio. "Mandiamo la posizione agli agenti. Così sapranno dove trovarlo."
Gli indicai il display del GPS. "Fatto, l'ho appena inviato."
Theo annuì, ma non fece alcun movimento per tornare indietro. Guardava dritto davanti a sé, le mani strette sul volante, il viso teso.
"Forse possiamo lasciare che se ne occupino loro," dissi, cercando di tenere la voce calma. "Ormai sanno dove si nasconde."
Theo scosse la testa, senza nemmeno guardarmi. "Col cazzo. Dobbiamo essere certi che lo prendano. Rimaniamo qui e aspettiamo."
Un sospiro mi sfuggì. Sapevo che aveva ragione, ma l'attesa mi stava logorando. Ogni minuto che passava sembrava allungarsi all'infinito, e il silenzio della foresta intorno a noi amplificava la tensione.

Il rombo di un'altra auto interruppe il nostro silenzio. Theo e io ci scambiammo uno sguardo rapido. Dovevano essere gli agenti, e come previsto, procedevano senza sirene per evitare di allertare Alex. Le luci del loro veicolo si intravedevano appena tra le ombre dei pini. Seguirono il GPS e si addentrarono nel magazzino abbandonato.
Il nervosismo mi divorava. Continuavo a mordermi le unghie, una vecchia abitudine che tornava nei momenti peggiori. Theo, al contrario, sembrava calmo, ma sapevo che anche lui era teso. Decise di avvicinarsi, facendo il giro per parcheggiare proprio davanti all'ingresso del magazzino.
Da lì avevamo una visuale perfetta. Poco dopo, finalmente, li vedemmo: un agente uscì trascinando Alex, ammanettato, con un'espressione di sfida. Accanto a lui, Travor subiva lo stesso trattamento. Avevano preso entrambi. Un sorriso soddisfatto mi si disegnò sul volto, ma durò poco.
Non c'era traccia dei genitori di Sofia. Cazzo!
Scesi dall'auto, il cuore che batteva furiosamente. Alex mi vide e il suo sguardo cambiò. Gli occhi si ridussero a due fessure di puro odio.
"Me la pagherai, tu e quella puttana," sputò con rabbia, lasciando cadere la saliva a terra con disprezzo.
Gli agenti lo trattennero, ma uno di loro sembrava scosso. Aveva il volto tirato e lo sguardo cupo. Mi avvicinai di qualche passo. "Cosa succede?" chiesi, temendo già la risposta.
L'agente esitò un attimo, poi si decise. "Abbiamo trovato due corpi. Sono nel retro del magazzino. Un uomo e una donna."
Sentii il sangue gelarsi nelle vene. No. Imprecai mentalmente, cercando di mantenere la calma, ma la testa mi girava. "Da quanto tempo?" riuscii a chiedere, la voce ridotta a un sussurro.

"Da come erano ridotti, una settimana, forse più." Rispose l'agente, scuotendo la testa con amarezza.
Feci un respiro profondo, cercando di processare l'informazione. Non erano stati uccisi oggi. Non era colpa mia, non stavolta. Ma quel sollievo fu subito sopraffatto dalla rabbia. Alex ci aveva mentito, ci aveva manipolato fino all'ultimo.
Theo mi afferrò per il braccio, riportandomi alla realtà. "Gabriel, non perdere il controllo adesso," disse sottovoce. Annuii, ma dentro di me sapevo che questa storia non era finita.

Mentre gli agenti caricavano Alex e Travor sulle auto della polizia, il peso di ciò che avevamo appena scoperto mi schiacciava. I genitori di Sofia erano morti da un bel po' . Tutto quel tempo, tutte quelle speranze, erano state inutili. Li avevamo cercati invano, e ora non restava più nulla da fare per loro.
Mi voltai verso Theo, che osservava la scena con le braccia incrociate. Il suo sguardo tradiva un misto di rabbia e frustrazione, ma come sempre cercava di mantenere il controllo. Lui era la mia ancora, quello che mi teneva a terra quando sentivo di stare per perdere la testa.

"Che facciamo ora?" gli chiesi, la voce bassa, quasi un sussurro.

Theo si passò una mano tra i capelli, il viso teso. "Torniamo indietro. Dobbiamo dirlo a Sofia."

Quelle parole colpirono come un pugno. Come glielo avremmo detto? Come avrei potuto guardarla negli occhi e dirle che i suoi genitori non c'erano più?

"Sarà devastante," mormorai, cercando di immaginare la sua reazione.

"Lo so," rispose Theo. "Ma dobbiamo farlo. Non possiamo lasciarla all'oscuro."

Salii in auto con un nodo in gola. Durante il tragitto, il silenzio tra noi era pesante. Nessuno dei due aveva voglia di parlare, entrambi consapevoli di quello che ci aspettava al nostro ritorno.

Quando arrivammo davanti alla casa, mi presi un attimo per respirare a fondo. Theo mi guardò, annuendo appena. "Prenditi il tuo tempo," disse. "Io ci sono."
Entrammo insieme. La festa era ancora in corso, ma l'atmosfera era cambiata. Non c'era più quell'allegria iniziale. Sofia era seduta a un tavolo, il viso pallido e lo sguardo perso nel vuoto. Quando mi vide, si alzò subito e venne verso di noi.
"Avete trovato qualcosa?" chiese, la speranza tremolante nella sua voce.
Guardarla in quel momento fu uno dei momenti più difficili della mia vita. Presi un respiro profondo, cercando le parole giuste. "Sofia... dobbiamo parlare," dissi, la mia voce un misto di gentilezza e gravità.
Lei mi fissò, il sorriso sparì dal suo volto. Sapeva già che non era una buona notizia.

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