48.Sofia

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Guardai Gabriel, cercando di capire cosa fosse successo. La sua espressione era cupa, come se qualcosa di grave fosse appena accaduto. Mi alzai dal divano e mi avvicinai, ansiosa di sapere.
"Allora? Lo hanno preso?" Chiesi, cercando di mantenere la calma mentre mi sedevo al tavolo in cucina. Il cuore mi batteva forte, ma un barlume di speranza si accese quando Gabriel rispose.
"Sì, lo hanno preso. Lui e Travor," disse, lasciando sfuggire un sospiro di sollievo.
Mi rilassai per un momento, ma poi notai il suo volto teso. I suoi occhi non sembravano tranquilli. Il senso di preoccupazione mi colpì all'improvviso. "Allora perché queste facce? Dove sono i miei genitori?" Chiesi, la voce tremante di paura. Non capivo cosa stesse succedendo.
Gabriel guardò Theo come se stesse cercando il momento giusto per parlare, poi si voltò verso di me. "Come glielo dico?" chiese, quasi sussurrando.
"Dirmi cosa? Ragazzi, che sta succedendo?" Mi alzai, sentendo un nodo alla gola crescere. L'ansia mi attanagliava.
"Li ha uccisi," disse Theo, le parole fredde come il ghiaccio. Non riuscivo a respirare. Il mondo sembrò fermarsi.
Mi paralizzai, i miei pensieri si scontrarono senza senso. La consapevolezza mi colpì come un pugno allo stomaco. Era tutta colpa mia.
Le lacrime cominciarono a scendere, incontrollabili. "È colpa mia," sussurrai, cercando di soffocare i singhiozzi con le mani.
Gabriel si avvicinò immediatamente, avvolgendomi tra le sue braccia. "No, amore mio, non è colpa tua. Non pensarlo nemmeno," disse, la sua voce rassicurante. "Lui l'ha fatto molto tempo fa, non oggi. Ti hanno manipolata, ti hanno fatto sentire intrappolata mentre loro erano già morti. Tu non c'entri nulla."
Mi strinsi a lui, il viso nascosto nel suo petto mentre cercavo di calmarmi. "Dovevo fare qualcosa. Dovevo fermarlo. Ma non ho fatto nulla..." singhiozzai, sentendo il peso della mia impotenza crescere.
Gabriel mi tenne più stretto, le sue braccia mi avvolgevano con una forza protettiva. "Calma, amore, ti prego," disse, prendendomi il viso tra le mani. "Saranno sempre con te. Hai fatto tutto il possibile, ma le persone cattive esistono. Adesso dobbiamo restare tranquilli, perché finalmente è al suo posto, dove merita di stare." Annuii, cercando di respirare più profondamente, mentre asciugavo le lacrime. Le sue parole mi calmavano, lentamente. Il senso di colpa, pur non svanendo del tutto, si alleggeriva. Sapevo che non avevo colpe, che avevo fatto tutto ciò che potevo, ma il dolore restava. Tuttavia, ero consapevole che dovevo andare avanti. Per me, per loro.
"Vado un po' a riposare," dissi, sforzando un sorriso, anche se dentro sentivo il vuoto. Non aspettai una risposta e uscii dalla cucina, dirigendomi verso le scale. Ogni passo sembrava pesare più del precedente, come se il dolore si intensificasse ad ogni gradino. Arrivata in camera, chiusi la porta dietro di me, isolandomi dal mondo.
Mi infilai sotto le coperte, cercando un rifugio che però non trovai. Il cuscino sotto la testa non offriva alcun conforto; anzi, sembrava amplificare il mio dolore. Non riuscivo a trattenere le lacrime. Silenziose e incessanti, scivolavano giù, bagnando la fodera finché non sentii la stoffa inumidita sotto il viso.
Non era solo il dolore della perdita a soffocarmi, ma anche la rabbia. Rabbia per tutto ciò che mi era stato strappato, per ciò che non avrei mai più avuto. Una famiglia, una casa piena di risate e calore. Mi ero illusa ancora una volta.
Stringevo le coperte tra le mani, come se potessero darmi la forza di non crollare completamente. Ma era inutile. La realtà mi schiacciava, implacabile. Ogni respiro sembrava farsi più pesante, ogni pensiero un coltello affilato che mi tormentava.
Non volevo sentirmi così debole, così spezzata. Dovevo rialzarmi, combattere per quello che mi era stato tolto. Ma in quel momento, rannicchiata sotto le coperte, riuscivo solo a lasciarmi andare.
Restai lì per un tempo indefinito, il silenzio della stanza interrotto solo dai miei singhiozzi. Ogni tanto tiravo su col naso, cercando di calmarmi, ma il nodo in gola non accennava a sciogliersi. Mi sentivo intrappolata in un vortice di dolore e rimpianto.
Ad un certo punto, sentii un lieve bussare alla porta. Mi irrigidii, non volevo vedere nessuno, non volevo parlare. Ma la porta si aprì lentamente, e Gabriel entrò senza fare rumore. Non disse nulla, si avvicinò e si sedette sul bordo del letto. Il suo sguardo era pieno di preoccupazione, ma anche di quella calma che solo lui riusciva a trasmettermi.
"Non devi affrontare tutto da sola," disse a bassa voce, prendendomi una mano. Il suo tocco era caldo, rassicurante, e per un momento mi sentii meno sola.
"Mi sono illusa ancora una volta. Non ho più una famiglia, per davvero adesso." risposi con un filo di voce.
Gabriel scosse la testa. "Tu hai una famiglia, la nostra. Siamo noi una famiglia. Io , te e la bambina. Noi siamo la tua famiglia e tu la nostra."
Quelle parole, così piene d'amore mi fecero stringere il cuore. Mi alzai lentamente e lo strinsi, avvolgendo le mie braccia al suo collo.
"Ti amo tanto." Dissi prendendogli il viso per baciarlo.
"Anche io amore mio , tantissimo."
Gabriel si sdraiò accanto a me, tenendomi stretta. Sentii il suo respiro regolare, il battito del suo cuore sotto il mio orecchio. Non cambiava nulla, il dolore era ancora lì, ma almeno per un momento mi sentii al sicuro. E forse, solo forse, un giorno sarei riuscita a sentirmi intera di nuovo.
Rimanemmo così, in silenzio, avvolti l'uno nell'altro. Gabriel mi accarezzava i capelli con gesti lenti, quasi ipnotici, mentre io cercavo di concentrarmi solo su quel momento, lasciando che il peso del dolore si alleggerisse, anche se solo di poco.
"Ce la faremo." Sussurrò dopo qualche minuto. "Non importa quanto sia difficile,noi avremo il nostro lieto fine. Per noi, per la bambina."
Annuii contro il suo petto, lasciandomi trasportare dalle sue parole. Era sempre stato il mio punto fermo, la mia roccia, e in quel momento mi resi conto di quanto fossi grata di averlo accanto.
"Non posso averlo senza di te." Dissi con un filo di voce.
"Io sarò sempre qui ad amarti. Qualsiasi cosa accada." rispose deciso. "Siamo una squadra, e lo saremo sempre."
Chiusi gli occhi, cercando di assorbire il calore del suo corpo e la sicurezza delle sue parole. Per la prima volta da quando avevo saputo la verità, una piccola scintilla di speranza si accese dentro di me. Non sapevo cosa ci avrebbe riservato il futuro, ma sapevo che, con Gabriel al mio fianco, sarei riuscita a trovare la forza per andare avanti.
Il tempo sembrava fermarsi mentre rimanemmo sdraiati lì, avvolti nel silenzio della stanza. Ogni tanto, sentivo Gabriel posarmi un bacio leggero sulla fronte, come a voler scacciare via le ombre che mi tormentavano.
Dopo un po', lui ruppe il silenzio. "Dobbiamo pensare anche a lei, sai? Alla bambina. Deve crescere sapendo che è amata, che ha una famiglia solida. Non voglio che senta mai il peso di tutto questo."
Quelle parole mi colpirono dritto al cuore. "Hai ragione," sussurrai. "Non voglio che il suo sorriso venga mai oscurato da quello che è successo."
Gabriel annuì, il suo sguardo determinato. "E faremo in modo che non succeda. Inizieremo una nuova vita, lontano da tutto questo. Nessuno ci toccherà mai più."
Lo guardai, cercando di capire quanto fosse serio, e trovai nei suoi occhi una determinazione incrollabile. "Dove andremo?" chiesi.
"Los Angeles ?" Mi domandò , con un lieve sorriso che riuscì a scaldarmi l'anima. "Ma prima dobbiamo sistemare le cose qui. Poi torneremo a casa. Vorrei prima laurearmi."
Gabriel mi guardò con un sorriso rassicurante, come se volesse farmi capire che, nonostante tutto, c'era ancora spazio per costruire un futuro insieme. "Esatto. La laurea, il futuro, e poi... tutto il resto. Ma voglio che tu sappia che, qualunque cosa accada, non cambierà mai il fatto che siamo una famiglia. Tu, io, e lei."
Annuii, sentendo un calore crescere dentro di me. Anche se la strada era incerta e il passato ci aveva segnato, avevamo ancora il potere di costruire qualcosa di nuovo. Un sorriso si fece strada sulle mie labbra, più per me stessa che per lui. "Un passo alla volta," dissi, poggiando la testa sul suo petto.
Gabriel accarezzò i miei capelli, il suo tocco dolce e rassicurante. "Un passo alla volta," ripeté, chiudendo gli occhi per qualche secondo. "E quando arriverà il momento giusto, vedrai, tutto andrà per il meglio."
Sentivo il battito del suo cuore sotto le dita, e in quel momento, tra le sue braccia, mi sembrava che tutto potesse davvero andare bene. Lontano da tutto ciò che ci aveva ferito, lontano dalla paura, lontano da chiunque avesse cercato di distruggerci. Un nuovo inizio, un futuro da costruire insieme.
"Non voglio più paura nella nostra vita." sussurrai. "Solo te, la nostra famiglia, e un futuro che possiamo finalmente chiamare nostro."
"E lo avremo." Rispose Gabriel, la sua voce sicura. "Ti prometto che lo avremo. Insieme."

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