Capitolo 28 - Luna

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Quando arrivammo in piazza, trovammo la moto ad aspettarci. Appena la vidi, provai una grande tristezza. Era riversa a terra, con la carrozzeria ammaccata. Era messa male.

Dan si inginocchiò al suo capezzale e passò una mano su ogni singola ammaccatura.

«Mi spiace Dan» esclamai.

Mi dispiaceva molto, perché a quanto avevo visto, era molto affezionato a quella moto, forse perché era l'unico regalo fatto con il cuore, da parte di Giorgio.

La tirò su e l'accese. Il rombo del motore risuonò nella piazza deserta. Dan mi guardò e mi sorrise.

«Andiamo a casa!» esclamò.

A cavallo della moto, attraversammo la città silenziosa.

La leggera brezza della notte si infrangeva delicata sui nostri corpi. Mi sentivo felice, entusiasta, emozionata, allegra, libera.

Arrivati a casa cercammo di fare meno rumore possibile. Erano le quattro e mamma e Giorgio di certo erano già tornati e stavano dormendo.

Dan mi aiutò a scendere dalla moto, poi la portò in garage e io entrai in casa.

Accesi la luce e rimasi sconvolta dall'assordante suono del tick dell'interruttore. In quel silenzio, si sentiva il minimo rumore

Mi avvicinai alle scale e inizia a salire, con calma, in punta di piedi.

Poi sentii qualcuno alle mie spalle ridere. Mi girai. Era Dan che al contrario di me, se ne fregava dei rumori.

«Dai muoviti! Mi sembri una ladra!»

Avevo detto che l'amavo e mi trattava ancora come la sua sorellastra.

Gli feci una smorfia e arrivati al piano di sopra, mi fiondai in camera mia, chiudendo la porta.

Non ne ero sicura, ma credo che ci fosse rimasto di merda. Si aspettava che avrei passato la notte con lui, ovvio.

Mi spogliai, poi misi il pigiama e sentii bussare.

La porta si aprì e Dan entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Anche lui si era cambiato.

«Non ho detto avanti!» esclamai seria.

Mi si avvicinò con le mani in alto.

«Ok! Vengo in pace... firmiamo un armistizio! Almeno per stanotte o quello che ne rimane.»

Mi guardò teneramente.

Mi sedetti sul letto e lui si avvicinò. Si sedette davanti a me a gambe incrociate.

Lo guardai attenta. Cercai di capire cosa avesse intenzione di fare. Poi gattonai sulle ginocchia e allargai le gambe. Mi sedetti su di lui. Precisamente tra le sue gambe incrociate. Mi tirò a se, stringendomi. Lo guardai e gli accarezzai i capelli. Passai le mani tra ogni ciuffo, erano così morbidi.

«Cosa hai intenzione di fare?» mi domandò.

Di cosine ce ne sarebbero, ma me le sarei voluta godere per bene, non di certo con l'angoscia di sapere che dall'altra parte della parete, dormivano i nostri genitori.

«Voglio baciarti all'infinito» sussurrai.

Mi guardò serio. Non gli era piaciuta la mia risposta?

«Solo baciarmi?» mi domandò schietto.

«Perché vorresti fare altro?»

Mi guardò pensieroso.

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