Capitolo 53 - Luna

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Ero nel bagno della scuola. Mi stavo lavando le mani, dopo aver fatto la pipì, per la terza volta in un'ora.

Abbassai lo sguardo, cercando disperatamente di vedere i miei piedi, ma ormai erano scomparse perfino le punte, per fare spazio al mega pancione che mi ritrovavo.

Era tondo come una palla. Sentii la pancia tirare.

«Ohi!» esclamai a lei.

Accarezzai il pancione, per farla calmare.

Avevo deciso di sapere il sesso del bambino, ovviamente. La curiosità era sempre stata il mio tallone d'Achille. Quando la ginecologa mi disse che era una bimba, scoppiai a piangere e risi di gioia. Saremmo state complici in tutto, per sempre. L'avrei chiamata Francesca. Era un nome che amavo sin da bambina, dolce e sincero, mi trasmetteva allegria. Papà invece si sciolse come un budino sulla poltrona del medico, vero piccola?

Un'altra botta. La mia pelle prese la forma di alcune minuscole dita. Si era impuntata con il piedino nel mio stomaco.

Cavolo che dolore! Strinsi gli occhi.

«Tutto ok?» mi domandò la bidella Stefania, incaricata dai miei professori di darmi un'occhiata tra una pausa bagno e l'altra. Era sbucata dalla porta, senza che io la sentissi.

«Si, Francy oggi ha deciso di fare ginnastica!» esclamai allegra.

Ero felice. Dopo tutto, ero felice. Ero felice di portare in grembo la mia bambina. Ero orgogliosa di me stessa e delle scelte che avevo fatto. Ora più che mai, non vedevo l'ora di vedere questo piccolo scricciolo che mi sarei ritrovata nella vita. L'amai dal primo istante in cui seppi di essere incinta. L'unica cosa certa in quella giornata era che avrei tenuto il bambino, punto. A stenti ricordo quel giorno, forse il più brutto della mia vita, ma il bello di toccare il fondo è che dopo si può solo risalire.

Stefania mi accompagnò in classe, ma proprio quando aprii la porta, mi sentì stranamente a disagio. Ero bagnata. Impossibile, avevo appena fatto pipì.

«Oddio, ti si sono rotte le acque!» urlò Stefania.

Le acque? Guardai il cerchio di liquido che mi circondava. Era arrivato il momento. Stavo per partorire!

Quando arrivai in ospedale, i dolori erano più forti. Le contrazioni si presentavano puntuali, ogni dieci minuti. Erano peggio di un orologio svizzero. Arrivavano, mi facevano penare e se ne andavano, come se non ci fossero mai state.

Guardai Angelica, che mi stringeva la mano per darmi conforto e chiesi di lui. Non aprii bocca, ma lei mi capì.

«L'ho chiamato mentre venivamo, mi ha detto che sta arrivando!»

Ok. Avevo bisogno di lui, disperatamente! In questi otto mesi, non avevo fatto altro che pensare a lui e alla sua decisione, tanto sofferta. Io non so, se ce l'avrei fatta da sola, ma insieme a lui tutta questa dolce follia è stata semplicemente meravigliosa. Non avrei mai immaginato, fino a dove si sarebbe potuto spingere il nostro amore. E' lui l'unico padre di Francesca. Ora lo voglio qui!

«Cazzarola, proprio oggi doveva andare a fare quella gara?» mi domandò Ania dall'altra parte della stanza, poggiata sul pilastro portante. Era pallida, spaventata a morte da ciò che mi sarebbe successo.

«La scadenza è prevista tra dieci giorni, ma Francy vuole uscire ora!» finii la frase con un urlo strozzato.

Dio che dolore! Mi sentii così male, da non riuscire a descriverlo.

Le infermiere arrivarono di corsa in camera mia. Mi avevano sentita urlare.

«E' ora di andare in sala travaglio!» esclamarono, sganciando i freni del letto.

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