12 (Diana)

58 10 0
                                    

Non riesco a rispondere nulla e sono obbligata a posare il cellulare per non farlo cadere a causa delle mie mani tremanti. Ho gli occhi lucidi e la bocca spalancata. 

Mi butto indietro sulla poltrona e sento squillare il telefono di casa. Anche se non è la mia, questa casa, vado a rispondere con una corsa velocissima per evitare che cessi di suonare: <<Pronto?>>

<<Mi ero preoccupato: pensavo fossi svenuta.>> Guardandomi allo specchio di fronte vedo la mia pelle diventare sempre più paonazza e inizio ad arricciarmi con le dita ciocche di capelli. 

<<No, no. Sto... bene.>> Più che un'affermazione mi sembra tanto una domanda, la mia.       

<<Ho... detto qualcosa di... sbagliato?>> Me lo immagino mentre si mette una mano dietro la schiena, mentre si scompiglia i capelli e si tocca quel filo di  barba che ha in viso.                                                              

<<No, tranquillo. Sono io che sono una deficiente, non tu!>> 

<<Perchè sei una deficiente?>>

<<Perchè mi hai appena detto delle cose che non merito di sentirmi dire, Lorenzo...>>

<<Hai ragione, scusa.>> Non so se ridere o piangere, ma poi opto per la prima quando lui fa: <<Te ti meriti molto di più, piccola. E stai certa che quel di più lo avrai da me.>>

Ci salutiamo di lì a poco e lui promette che verrà da me dopo aver finito di studiare. Ho tutto il tempo per uscire e fare spesa e il bus che porta nella zona del supermercato passerà tra più o meno dieci minuti, quindi do un'ultima occhiata al salone e chiudo la porta. 

Subito un vento freddo mi arriva contro e io mi tiro su il cappuccio. Casa di Lorenzo ha le tende aperte e la sua moto è parcheggiata proprio accanto alla fermata: in attesa del mezzo mi fermo a guardarla, rivivendo mentalmente la passeggiata al lago e mi sembra di sentire ancora le sue braccia intorno alle mie spalle ghiacciate.


Il campanello suona ed io, con ancora in dosso il grembiule per cucinare, vado ad aprire: ha i capelli tirati su in un ciuffo, il giacchetto di pelle tutto allacciato e un paio di skinny jeans, accompagnati da degli stivaletti con le borchie. Tra le mani tiene un mazzo di rose azzurre: è pazzesco che si sia ricordato il mio colore preferito, detto rapidamente mentre stavamo seduti tavolino, l'altro giorno. Lo guardo negli occhi e pone la lingua tra i denti, ricambiando l'occhiata. Sto facendo progressi e ne sono felice: ora posso resistere anche dieci secondi senza arrossire!

<<A lei, signorina!>> Fa un inchino e mi porge i fiori. In mezzo c'è una bustina con il mio nome. La apro: "Promesso...", seguito da un cuore con i contorni molto marcati. 

<<Lorenzo sono>> Mi metto una mano sulla bocca <<bellissime!>>. Fa un passo verso di me e mi prende in braccio. Rimango di nuovo senza fiato: è una cosa così dolce e qui, tra le sue braccia, mi sento una piuma, una piuma che però non vola via, perchè è troppo forte per farsi spazzare via dalla prima folata di passaggio. Lo faccio entrare in casa e metto subito il tutto in un vaso, eccetto fogliettino: quello lo appoggio in camera, sul comodino.

<<Grazie ancora, davvero!>>, gli ripeto per l'ennesima volta entrando in cucina. Lui si siede accanto al microonde, sul bancone e mi guarda attentamente mentre giro l'insalata. 

<<Te lo meriti, piccola.>>

<<Non chiamarmi piccola! Mi fa sentire una bambina e mi imbarazza!>>, rido.

<<Va bene, PICCOLA.>> Lo fulmino e lui scoppia a ridere.

<<LORENZO!>>, lo rimprovero.

<<Mi dispiace, ma questa concedimela, piccola!>>

<<Smettila!>> Gli do un colpo sulla gamba e lui mi prende per i fianchi.


FrameDove le storie prendono vita. Scoprilo ora