preludio

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Immagina di poter scegliere un sogno. E di poterlo realizzare.

Durante quel viaggio mi scordai della mia vita. Volevo assaporare ogni singolo istante del sogno che stavo vivendo.

Atterrammo al Charles de Gaulle intorno all'una. Un'auto ci attendeva appena oltre le piste e non dovemmo nemmeno passare all'interno dell'aeroporto.

Durante il tragitto in macchina restammo un po' in silenzio. Lui probabilmente assorto nei suoi pensieri; io inghiottita dalla meraviglia.

L'auto ci lasciò davanti alla torre Eiffel.

Rimasi per un attimo ferma, ad ammirare l'imponenza di tutto quel ferro battuto, incrociato, che si ergeva nel cielo come a volerlo dominare. I grandi archi alla base a sorreggere la parte verticale come l'unione degli opposti.

C'erano due lunghe code di persone che aspettavano di poter salire a piedi fino al primo livello. Sullo sfondo, la magnificenza dei giardini dello Champ de Mars.

Provai un emozione impagabile.

Sorrisi.

Oltrepassammo la coda, prendemmo l'ascensore e, in un attimo, fummo sul tetto del mondo.

Un cameriere lo accolse come se lo conoscesse da tempo. Immaginai che andasse spesso a mangiare lì.

Chissà quante donne aveva sedotto, esattamente nel modo in cui stava seducendo anche me. Ma in fondo, forse, era meglio così.

«Vieni» disse, distogliendomi dai pensieri.

Il ristorante era circondato da grandi vetrate dal quale si vedeva tutta Parigi. Era magnifico. Il locale non era molto grande e i tavoli, disposti uno accanto all'altro, erano tutti occupati, tranne uno.

Mi tolsi la giacca e sentii il morso dei suoi occhi.

Fu una sensazione piacevole.

Il cameriere ci accompagnò a quell'unico tavolo libero. Era uno di quelli perimetrali, proprio accanto alla vetrata.

Una musica dolce, che non conoscevo, copriva il ticchettio delle posate e il vociare degli ospiti.

Dalle cucine si diffondeva un profumo meraviglioso.

Una volta seduta, mi sembrò quasi di cadere: c'era solo una lastra di vetro a separarmi dal vuoto. Da un lato avevo tutta la città mentre, dalla parte opposta, il resto della sala.

Di fronte avevo lui, che mi guardava scavandomi nell'anima.

Rimasi a lungo a guardare oltre la vetrata, inebriata dalla bellezza di Parigi.

«E' fantastico qui» dissi.

«Sono contento che ti piaccia». Mi guardò con occhi di ghiaccio.

In quel momento avrei voluto baciarlo e ringraziai il cielo che fossimo in un locale pubblico. Al contrario, non so se sarei stata in grado di resistere.

«Ordino io per te. Non preoccuparti. Fidati. Ti piacerà tutto».

«Va... va benissimo».

Si mise a parlare in francese con il cameriere. Aveva un fascino irresistibile.

Io ero abituata a un uomo che continuava a chiedermi se mi andava bene questo o quell'altro, se preferivo una cosa oppure l'altra e che dava a me la responsabilità di scegliere il vino da bere.

Ora mi trovavo con un uomo che prendeva tutte le decisioni senza chiedere. Sicuro che ne sarei stata entusiasta. Mi sentivo bene. Mi piaceva quella sensazione di avere a fianco qualcuno che pensa a tutto. Che ti fa sentire protetta.

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