trenta

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Un giorno, mentre raggiungevo il mio studio camminando per le vie del centro di Como, mi squillò il cellulare.

Presi il telefono dalla borsetta. Chiunque stesse chiamando, lo faceva con un numero sconosciuto.

Titubai per qualche secondo. Poi risposi: «Pronto».

«Ciao». Sentire la sua voce fu come ricevere una secchiata d'acqua fresca nel deserto bollente. Era V.

«Ciao». Risposi col cuore in gola, senza sapere più cosa dire.

«Dimmi cosa indossi». Disse, senza nemmeno curarsi di come stavo, di cosa stavo facendo e senza nemmeno essere un po' carino.

Io rimasi in silenzio. Da una parte ero delusa dal suo modo di fare, dall'altra ero contenta perché finalmente sentivo la sua voce.

«Allora hai deciso di ritirarti dal gioco?» Chiese.

Quelle parole, in un solo attimo, riaccesero il fuoco mai sopito che riprese a bruciare la mia anima.

Mi guardai intorno, come se qualcuno potesse sorprendermi.

«Io...ma tu..., non riesci ad essere un po' gentile? Non ti interessa sapere come sto?»

«Voglio che mi dici come sei vestita» fu l'unica cosa che disse.

Quel suo modo di fare autoritario e cafone m'innervosiva ma allo stesso tempo alimentava il fuoco dentro di me.

Rimasi per un altro attimo in silenzio, titubante, finché V riattaccò il telefono.

In quel momento mi sentii sprofondare. Mi maledissi.

Ma non appena ricacciai il telefono in borsa, riprese a squillare. Mi affannai per ritrovarlo e risposi, sperando che fosse di nuovo lui.

«Il gioco continua». Annunciò serafico.

Nonostante l'imbarazzo, con la voce tremula, iniziai a descrivere quello che indossavo: «Ho un paio di pantaloni di lino e...»

«La tua possibilità di parlare con me è finita per colpa dei tuoi tentennamenti. Ora, se vuoi continuare a giocare, devi subire a una penitenza. Altrimenti non ci sentiremo più».

Quelle parole mi sconvolsero. Non riuscivo più a capacitarmi di quello che stava accadendo. Rimasi di nuovo in silenzio e fu di nuovo lui a parlare: «Raggiungimi subito in piazza Cavour. Sono qui in macchina ad aspettarti».

Mi vennero i brividi.

«Ma io veramente...» accennai.

«Tu non hai più scuse, Giada. Sarà stupendo, non preoccuparti. Ma devi raggiungermi subito. Ti dò mezz'ora. Non abbiamo molto tempo».

Avrei voluto rifiutare. Inventarmi una scusa. Ma furono pensieri che durarono pochi istanti.

V era in piazza. A non più di cinquecento metri da me. E mi stava aspettando.

«Va bene» dissi alla fine.

Subito dopo lui riattaccò.

Come di consueto, quando si trattava di avere a che fare con V, ero sconvolta. Nella mia mente c'era solo un pensiero: Il gioco continua.

Possibile che fossi disposta a farmi trattare in quel modo? Che un'unica frase fosse in grado di scatenare le mie voglie più represse?

Di colpo ero di nuovo travolta da emozioni contrastanti. Mi sentivo eccitata e, allo stesso tempo, preoccupata. Morivo dalla voglia di incontrarlo ma avevo paura.

V.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora