quarantasei

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Quando vidi Giulio la prima volta provai vergogna e dovetti far forza su me stessa per non abbandonarmi alle lacrime. Dovetti fingere di aver partecipato a un meeting entusiasmante. I sensi di colpa mi divoravano da dentro, proprio come mi aveva divorato il desiderio nel castello di V.

Ero decisa a dimenticarmi di quell'esperienza e di quell'uomo, tenendo Giulio all'scuro di tutto.

Per un periodo feci addirittura fatica a passare del tempo con mio figlio Michele. Mi sentivo in imbarazzo. Sporca. Inadeguata. Come potevo comportarmi da madre ora che sapevo che razza di donna ero in grado di essere?

Quando incontrai Sara, allo stesso modo, non le raccontai niente.

«Tu non me la racconti giusta Dada» mi disse, mentre sorseggiavamo un aperitivo al Mody's.

«E per quale motivo dovrei mentirti?» Chiesi guardandola dritta negli occhi.

«Non insisto» disse Sara in quell'occasione. «Sono sicura però che un giorno, quando ti sentirai pronta ad affrontarmi, mi racconterai le cose come sono andate veramente».

«Ti voglio bene» riuscii solo a dire prima di scoppiare a piangere.

Mi vergognavo troppo di quello che avevo fatto e non avevo la minima intenzione di raccontarlo a nessuno. Mai. Sarebbe rimasto un mio segreto. Per sempre.

Spesso, la notte, sognavo quei momenti passati nella villa di V e faticavo a prendere sonno. Mi rigiravo nel letto senza riuscire a liberarmi dalle immagini che proiettava la mia mente, mischiando la realtà con la fantasia, sognando situazioni estreme, irraccontabili e irrealizzabili.

Ogni volta che la mia mente cadeva nel vortice della perversione, una parte di me cercava di resistere con tutte le forze; ma quella parte di me era sempre più debole e stanca, e sempre più disposta a farsi sopraffare dalla parte più oscura.

Non potevo solo resistere. Dovevo trovare il modo di sfogare quella voglia indissolubile di perversione sessuale, che scavava e scavava, sempre più in profondità.

Avevo oltrepassato un limite molto lontano e non ero più capace di tornare indietro. L'unica soluzione, per dissetarmi ancora di quel veleno che non smettevo di desiderare, era condurre Giulio vicino a quel limite, spronandolo a inseguirmi nelle stanze buie, dentro i corridoi torbidi e infiniti del sesso.

Ma quello rimase solo un pensiero che non riuscii mai a realizzare.

Cercai di spingermi un po' oltre insieme a mio marito ma tutti i miei tentativi furono vani, poco divertenti, quasi per nulla appaganti.

Andava sempre a finire che mi innervosivo di fronte ai sorrisetti ebeti di mio marito, perdendo ogni volta un pezzetto di energia e uno di entusiasmo. Non ero capace di trascinare il mio uomo dove non voleva essere portato. Ormai Giulio era così assuefatto dalla solita routine che non sembrava possibile cambiare le cose. Non era disposto a percorrere una nuova strada o a fare nuove esperienze. Rideva ogni qualvolta gli accennavo un gioco sessuale di dominazione. Non si sforzava nemmeno. Non ne aveva voglia. Non sapeva quello che si perdeva e io non ero capace di insinuargli un tarlo che stuzzicasse la sua fantasia. Mi rassegnai.

I giorni passavano e, a furia di reprimerli, i ricordi legati a quelle perversioni, lentamente, uscirono sempre più dalla mia testa, fin quasi a scomparire.



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