ventuno

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Su un'altra auto di V, insieme ai Marcato e all'autista, procedevamo in direzione del lago. Diedi un'occhiata all'ora: erano già quasi le cinque di pomeriggio e il sole era ancora alto. A un certo punto iniziammo a percorrere una stradina sterrata e, alla fine, comparve la villa.

Dall'esterno sembrava quasi di vedere una fortezza. Una grande costruzione asimmetrica, tutta di pietra. Aveva tetti e tettucci e grandi vetrate proprio come un vecchio castello modernizzato

Una volta scesi dalla macchina ci vennero incontro due uomini vestiti di nero, con un cravattino rosso al collo.

«Bene arrivati» ci accolsero.

Io, Sara e i Marcato ringraziammo cordialmente.

Uno dei due vestiti di nero con cravattino rosso scomparve dentro la villa insieme ai Marcato.

L'altro, invece, si diresse insieme a me e Sara a un ingresso differente. «Prego» disse facendo strada.

Una volta all'interno della villa ci trovammo in un grande atrio col pavimento di marmo scuro. Di fronte avevamo una ragazza in tailleur nero, sorridente.

«Buongiorno». Salutò. «Siete pregate di consegnare i vostri telefonini e, se le avete, anche le macchine fotografiche».

Sembrava tutto così strano. Esagerato. Era evidente che V fosse un tipo attento ai particolari e alla privacy.

I nostri telefonini vennero chiusi a chiave in una cassetta di sicurezza.

«Potete prenderli quando volete» disse la ragazza in tailleur consegnandomi la chiave «ma non è possibile portarli all'interno della villa».

«Accompagna le signore nell'ala ovest». Disse rivolta all'uomo in nero con cravattino rosso.


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