ventisei

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Il giorno dopo, mentre stavo lavorando a un progetto in studio, squillò il cellulare.

«Pronto» risposi.

«Ciao» la sua voce era profonda, impossibile confonderla. Era V.

«Ciao» lo salutai col cuore che iniziava a galoppare.

«Volevo chiederti scusa per l'altra sera. Mi sono reso conto di aver esagerato. La tua bellezza, però, è stata più forte di me».

Rimasi senza parole. Non volevo essere banale e senza sapere cosa dire, rimasi in silenzio.

«Ci sei?» Chiese lui.

«Si si, ci sono, ti sto ascoltando».

«Speravo di potermi far perdonare in qualche modo...sempre che ti vada di rivedermi».

«Dipende» dissi, rimanendo sulle difensive.

«Volevo semplicemente invitarti a pranzo».

«Ma io...».

«Prometto di non baciarti. Non puoi rifiutare e lasciarmi con questa brutta sensazione di aver rovinato tutto. Ci conosciamo da anni, ricordi? Non mi perdonerei mai di aver rovinato la cose tra noi. Anche solo dal lato professionale. E poi il tuo gioiello ha fatto un grande successo e volevo raccontarti di come è proseguita la serata dopo che ti ho fatta scappare via».

Le sue parole erano confortanti. Da una parte mi sarebbe dispiaciuto se non mi avesse baciata ma reputavo che quella fosse una premessa essenziale per poter accettare un altro invito a pranzo.

«E se decidessi di accettare... a quando stavi pensando?» Chiesi.

«Se ci sei...per me andrebbe bene domani, a pranzo. Diciamo...intorno alle undici al solito posto in piazza Cavour?».

Avrei voluto fare la preziosa. Una parte di me avrebbe voluto rifiutare solo per non dargliela vinta. Ma evitai di tirarla per le lunghe.

«Diciamo che può andare...se prometti di comportarti bene. Altrimenti ti giuro che non ci vediamo più.» Alla fine furono quelle le parole che mi uscirono di bocca. In qualche modo ritenevo di dovergli far capire che non mi aveva in pugno e che ero una donna sposata. Che sapevo il fatto mio. Anche se ora mi rendo conto che probabilmente quelle parole sortirono l'effetto contrario.

«Okay, come vuoi. Allora promesso. In fondo è solo un pranzo riparatore. A domani Giada».

«Ciao».

Mi pentii un attimo dopo aver chiuso la telefonata. Chissà che razza di idea si stava facendo di me quell'uomo. Mi sentivo la testa scoppiare in mille paure e pensieri sconnessi. Sembrava che ce le avessi addosso tutte.

Chiamai Sara.

Le dissi della telefonata di V e lei, tutta contenta, mi suggerì di non dire niente a Giulio. In fondo, saremmo solo andati a pranzo e non ci sarebbe stato niente di diverso dai miei soliti spostamenti. Quindi perché rischiare?

Sara aveva ragione. Era inutile far accendere un campanello d'allarme nella testa di mio marito.

Prima di sera avevo trovato un buco disponibile da Flavia e andai a farmi dare una sistemata.


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