quarantaquattro

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Quando mi ripresi non vedevo l'ora di andarmene. Mi sentivo profondamente scossa e ancora più sporca di prima. La serata era volta al termine.

Mi liberai della benda agli occhi e potei vedere gli ospiti che iniziavano a uscire dalla sala.

«Spero che la prossima volta tu voglia di osare di più» disse V, prima di allontanarsi.

Ero sconcertata. Mi sentivo umiliata. Ero arrabbiata.

Me ne andai in camera.

Mi sentivo sconfitta. Ero furente. V era riuscito, ancora una volta, a farmi oltrepassare un limite che non ero sicura di voler oltrepassare.

Mi feci una doccia e mi sdraiai a letto. Non riuscivo a smettere di sentire le grida di piacere e dolore dei tre schiavi. Si confondevano con le mie, di quel pomeriggio. Non riuscivo a togliermi dalla testa l'odore del sesso. Il piacere intenso. Immenso. Quel piacere che continuavo a bramare.

Mi odiai. Non potevo essermi spinta cosi oltre. Allo stesso tempo continuavo a desiderare di essere sottomessa. Volevo provare ancora una volta quel piacere che mi aveva sconvolto il corpo e la mente. Quel maledetto piacere. Quella sensazione di essere graffiata nell'anima.

Avevo oltrepassato un limite così distante che probabilmente non sarei più riuscita a tornare indietro. Non sarei più riuscita a togliermi quelle immagini dalla testa; quelle sensazioni dall'anima.

Quella notte ci vollero ore prima di addormentarmi. Caddi nel sonno al mattino presto, quando il sole stava ormai per sorgere.



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