undici

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Finalmente arrivò il tanto agognato venerdì 15.

Per l'occasione mi ero vestita in modo impeccabile e avevo un'acconciatura fresca di parrucchiere.

Vincenzo, tenuto sotto pressione a dovere, era riuscito a realizzare l'oracolo per metà settimana ed ero molto tranquilla e su di giri.

Per quanto mi riguardava era un gioiello pacchiano. Anche se, a guardarlo bene, aveva tutto un suo fascino particolare. Era davvero pesante ed era anche parecchio grande. In tutto, compresa la vite rivettata in platino, era lungo venticinque centimetri. Sembrava quasi una grossa banana deforme. Ma non è corretto criticare gli oggetti di culto, anche se appartengono a culti sconosciuti, anche se appaiono bizzarri.

Il manufatto era stato realizzato esattamente com'era stato disegnato. Era d'oro, luccicante, massiccio. A guardarlo veniva quasi voglia di dargli un morso.

Durante la giornata il tempo passava lentamente, senza che nessuno si facesse vivo. Iniziavo a sentire la stanchezza. Forse era semplicemente noia. Oppure preoccupazione. Da una parte temevo che non sarebbe arrivato nessuno, mentre dall'altra, ero stressata al pensiero di incontrare mister V.

Finalmente, verso sera, qualcuno suonò alla porta del mio studio. Ma quello che vidi mi fece rimanere male. Ancora una volta si presentò Cadina e ancora una volta, non appena varcò la soglia del mio negozio, si accese una sigaretta. Sembrava lo facesse apposta.

«Salve Giada» mi salutò.

«Buonasera» risposi senza riuscire a mascherare la delusione.

Lei mi osservò come se mi stesse analizzando. Io mi sentii di colpo in imbarazzo. Non avevo nemmeno preso in considerazione l'ipotesi di rivedere Cadina e sentivo di aver esagerato nel prepararmi a quell'appuntamento.

«Mi spiace molto che si sia preparata per incontrare mister V, Giada» fece lei, senza un minimo di peli sulla lingua.

Puoi immaginare quanto quelle parole mi precipitarono sempre più a fondo nell'imbarazzo. Maledetta stronza di una gatta morta.

«Beh, io... in effetti» riuscii solo ad abbozzare, andando immancabilmente a peggiorare la mia posizione. Fu come se qualcuno mi avesse sorpresa a rubare la merendina a un bambino. Anzi, ti giuro che fu molto peggio.

«Non si preoccupi Giada». Disse Cadina. «Mister V fa a tutti lo stesso effetto. Mi dispiace molto che non sia potuto venire di persona ma, come avrà capito, è un uomo molto impegnato».

«Certo» dissi mentre, riluttante, andai a prendere il manufatto.

Ogni volta che lo prendevo in mano mi stupivo dalla sua pesantezza. L'avevo sistemato all'interno di una scatola blu, riempendola di sfere di polistirolo, in modo che non subisse colpi.

«Ecco l'opera d'arte» annunciai, prima di mostrarglielo.

Cadina, nel prenderlo in mano, rimase per un attimo sorpresa. Forse nemmeno lei pensava a un oggetto tanto pesante.

«E' magnifico» disse con un filo di voce. «Mister V sarà certamente soddisfatto di questo lavoro. Mi permetta di farle i complimenti». E per la prima volta, credo che mi rivolse un sorriso sincero.

Si sedette al solito posto, utilizzando il solito portacandela al posto del posacenere. Teneva l'oracolo in mano, come fosse stato davvero l'oggetto del desiderio, sforzandosi per reggerne il peso con una sola mano. Valle tu a capire certe persone. Poi lo appoggiò sul tavolo e tirò fuori dalla borsa (questa volta una Vuitton Galliera classica) un'altra mazzetta di euro.

«Questi sono per lei» annunciò sorridente, anche se il suo sorriso era quello arrogante di sempre. «In questo modo abbiamo saldato il conto per l'Yraho, così si chiama questo gioiello di origine indiana».

«Certo, possiamo reputarci a posto così» dissi.

«Mister V è rammaricato per non essere potuto venire di persona. Ci tiene a conoscerla. Così mi ha chiesto di invitarla alla serata di presentazione dell'Yraho. E' stata lei a crearlo ed è giusto che le venga attribuito il merito».

«Io...».

«Non deve darmi una risposta adesso. Non abbiamo ancora organizzato l'evento. Quando saremo pronti, le manderò una mail di invito».

Rimasi basita, in silenzio, a guardarla. Ci mancava solo che avessi la bocca aperta come un merluzzo.

«Naturalmente» riprese Cadina, «è libera di portare suo marito o, se non fosse sposata, il suo compagno o chiunque desideri. Diciamo che mister V le riserva un invito per due persone».

«Beh, che vuole che le dica, ringrazi mister V e gli dica che farò di tutto per esserci».

«Non ho dubbi» fece lei. Si alzò in piedi. «Ora dovrei andare, scusi ma sono di fretta».

«Certo. Ecco» e sistemai il pezzo d'oro dentro la scatola, richiudendola.

«A lei» dissi.

«Grazie e a presto» fece la stronza, uscendo dallo studio senza mostrare sforzi nel portare un oggetto così pesante.

Non appena Cadina se ne andò, telefonai a Sara.


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