trentanove

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La benda che avevo sugli occhi non mi permetteva di vedere nulla, nemmeno le ombre.

Il silenzio dentro quella stanza era assordante. Sentivo solo i battiti del mio cuore, intervallati dal ticchettio dei nostri passi.

V mi accompagnò, tenendomi a braccetto, muovendosi lentamente passo dopo passo. Credo di averne fatti più di dieci stringendomi a lui.

Poi, finalmente, ci fermammo.

V si staccò da me, si allontanò.

Il silenzio divenne pesante.

Improvvisamente venni invasa da un profumo gradevole di un essenza che non riconobbi ma che mi diede la certezza di trovarmi vicina a una donna.

Tremavo dalla tensione.

Il fuoco che mi bruciava dentro si era tramutato in un esile fiamma che percepivo appena. Rimasi così per qualche attimo, che mi parve un'eternità.

Un supplizio; imbarazzante; infinito.

«Si» fece una voce di donna che non avevo mai sentito prima, rompendo il silenzio.

Un soffio di gioia mi accarezzò il cuore, dolcemente. In quel momento seppi di essere stata accettata ma non avevo idea del perché mi sentissi felice di una cosa così ridicola.

Fu come ricevere la certificazione della mia bellezza.

Fu come essere accettata da un gruppo esclusivo.

Fu come se, finalmente, avessi ricevuto il permesso di farmi fottere da V.

Le sue mani non tardarono a toccare i miei fianchi. Il pensiero di essere senza biancheria intima mi sferzò un brivido.

Le mani di V mi guidarono. Mi spinse delicatamente in avanti. «Attenta, ci sono tre gradini» disse, mentre mi spostava.

Titubai. Colpii il primo gradino con un sandalo e iniziai a salire. Uno, due, tre e mi ritrovai su quello che presumevo fosse un palco.

Mi travolse la paura. Se avessi dovuto fare l'amore con V davanti a quella donna sarebbe stato un grosso problema. Non ce l'avrei fatta. In più, mentre percorrevo quei maledetti gradini, mi venne il dubbio che a guardare ci fosse un pubblico.

Impossibile, pensai. In quella stanza c'era un silenzio innaturale. Non ci potevano essere altre persone.

Mi feci guidare dalle sue mani fino a sfiorare con un fianco qualcosa di duro. Lo toccai per capire cosa fosse e mi resi conto di trovarmi davanti un tavolo.

V lasciò la presa ai fianchi.

Dopo un istante mi afferrò per le mani.

Presunsi che fosse passato al di là del tavolo che ci divideva. Mi tirò a sé, senza forzare ma con decisione. «Lasciati andare» sussurrò.

E così mi lasciai tirare e fui costretta ad allungarmi sul tavolo. Quando mi trovai sul punto di perdere l'equilibrio ebbi una reazione inconscia e cercai di fare forza, tirando dalla mia parte.

«Non opporre resistenza» disse autoritario V.

Mi lasciai andare di nuovo, appoggiando il ventre e i seni sulla superficie gelida del tavolo. Mi allungai inarcando la schiena e sporgendo il sedere, fino a raggiungere con le mani l'altra estremità. Subito sentii la superficie gelida del metallo a contatto con i miei polsi e sentii un clic rumoreggiare nell'aria.

Ora non c'erano più le mani di V a trattenermi. Ora avevo i polsi imprigionati in un paio di manette.

Provai a tirare dalla mia parte ma ero bloccata in quella posizione.

V.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora