venti

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Trascorsi il tempo fino a giovedì immaginando quella serata. Non avevo pensieri che per quello. Non sapevo come mi sarei vestita e non sapevo come sarebbe stato. E poi non smettevo di sentirmi in colpa per quello che stavo facendo. Anche se, in realtà, non stavo facendo proprio niente. Semmai qualcosa l'avevo già fatto, anche se avrei fatto a meno di ricordarlo.

Finalmente arrivò giovedì. Per l'occasione trascorsi un'ora in bagno a truccarmi, utilizzando tutti i prodotti acquistati da Flavia. Alla fine temevo di avere il volto un po' troppo aggressivo, forse avevo esagerato ma...

Mi piacevo da morire.

So che mi capisci perfettamente quando ti dico che mi piacevo da morire.

Il mascara allungante, e il viola tenue dell'ombretto, oltre a risaltare il verde chiaro degli occhi e a rendere intenso il mio sguardo, s'intonavano alla perfezione col vestito di Armani. Un abito nero, lungo alle caviglie, con una scollatura profonda sulla schiena, che scendeva fin quasi a ridosso del sedere, scoprendo la nudità delle spalle e sottolineando la linea dei glutei.

Mi sentivo sexy; mi sentivo bene. Mi infilai un paio di Caovilla nere col cinturino d'oro e il tacco da tredici centimetri. Ero quasi perfetta, mancava solo l'ultimo tocco. Indossai un girocollo in oro bianco, che scendeva sulla scollatura appena pronunciata del vestito e il bracciale che mi aveva regalato Riva-V. In una parola, ero perfetta.

Mi sentivo perfetta.

Olga, la mia donna delle pulizie, rimase stupita nel vedermi uscire in quel modo e non desistette dal farmi i complimenti, accarezzandomi di gioia il cuore.

Era insolito uscire al mattino già vestita per la sera ma non avevo scelta. Misi una giacca, che mi avrebbe coperto le spalle, almeno fino quando non sarebbe stato opportuno toglierla.

Sara aspettava davanti al mio studio.

Anche lei era stupenda. Indossava un abito succinto, con gonna sopra il ginocchio. Aveva un fisico stupendo anche se le sue forme erano meno generose delle mie, la trovavo molto sexy.

«Cavoli. Che strafiga sei oggi?» esordì.

Io non dissi niente. Ero tesa. Temevo di essere vista da qualche pettegola di Como.

Non vedevo l'ora di salire in macchina e partire.

Alla fine aspettammo una bella mezzora in studio da me, guardandoci allo specchio e fantasticando sulla festa.

A mezzogiorno uscimmo. Un'auto nera, credo che fosse uguale a quella su cui ero salita la settimana prima, era già ferma con le quattro frecce lampeggianti ad aspettarci. Il tratto di strada dal mio studio fino alla macchina sembrò interminabile.

Non appena ci avvicinammo, l'autista scese e aprì le porte per farci salire. Mi sembrava che tutte le persone che si trovavano in piazza a quell'ora si girassero per guardarci. Ma fu una sensazione sgradevole che svanì non appena salimmo in auto. I vetri erano scuri e nessuno avrebbe più potuto vederci.

Viaggiammo in autostrada fino a Lugano, in silenzio. Anche Sara era immersa nello stupore. Poi l'auto prese una strada che non avevo mai fatto. Iniziai ad agitarmi. E dove ci stava portando? Io e Sara ci guardammo con fare interrogativo.

«Ma non saremo dovute andare a Ginevra?» Chiesi rivolta all'autista.

«Certo signora, ma non sarò io a portarvi fino a Ginevra. Ora siamo diretti in aeroporto, lì ci sarà ad aspettarvi l'aereo di mister V».

Al sentire quelle parole sia io che Sara restammo di sasso. Lei mi diede una gomitata, sorridendo. Io cercai di comportarmi come se la cosa non mi stupisse anche se, in realtà, scoppiavo di stupore. Non ero mai salita su un aereo privato. E mi sentivo di nuovo lusingata da tante attenzioni.

Viaggiammo sul jet insieme a un'altra coppia. In tutto, oltre al personale di volo, eravamo in sette. Facemmo conoscenza con i signori Marcato. Anna e Pietro. Una coppia di probabili trentenni. Lei molto carina e curata, con un abito lungo, bianco, che mi pareva alquanto fuori posto. Lui con un completo grigio. Giacca e cravatta classico molto elegante. Durante il viaggio, che durò su per giù mezz'ora, scambiammo quattro parole e venne fuori che loro erano sposati da cinque anni ed erano già stati una volta alla feste di V. Lei mi guardava con occhi luccicanti, quasi non vedesse l'ora di arrivare alla villa. Lui disse che le feste di V erano qualcosa di imperdibile.

«Una volta che ci vai vorresti sempre essere invitato. Anche se non puoi pretendere che V ti inviti tutte le volte. Non ho idea di quanto possa costare organizzare feste del genere. Preoccuparsi anche del viaggio e del pernottamento degli ospiti...» Mentre Pietro diceva quelle parole vidi Anna dargli una gomitata e, nello stesso tempo, mi prese un colpo: «Pernottamento? A noi nessuno ci ha avvisate del pernottamento».

«Ma V non obbliga mai nessuno a fare niente». Riprese Pietro. «La villa è enorme e credo che chi voglia possa restare a dormire. Tutto lì. Comunque non mi chieda niente, la prego. Mister V è geloso delle sue feste e ci tiene a stupire gli invitati. Anche per noi è stata una scoperta. Questa sera sarà una serata molto speciale, ci sarà la presentazione dell'Yraho e sarà un grande evento».

I due si baciarono. Sembravano davvero molto affiatati.

Io e Sara ci guardammo stupite. Per fortuna non avevo deciso di rinunciare a quell'invito.


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