diciannove

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Lunedi mattina ricevetti una telefonata da un numero sconosciuto. Ero convinta che fosse V e risposi immediatamente.

«Buongiorno Giada».

Mi sgonfiai come un palloncino che perde il nodo nel riconoscere la voce di Cadina.

Sembrava più strafottente e su di giri del solito. «Mister V mi ha detto di farle sapere che giovedì a mezzogiorno passerà un'auto a prenderla... Sarebbe bene che mi facesse sapere se intende venire da sola o accompagnata».

Presa alla sprovvista rimasi ammutolita. Cercai di mandare giù l'amarezza di dover parlare ancora con lei.

«Siamo in due» dissi alla fine.

«Bene. Ha deciso di portare suo marito?»

«In realtà avrei deciso di portare la mia reporter».

«Va bene, non ci sono problemi. Si ricordi però che non è permesso scattare foto durante le feste di mister V».

«Va bene Cadina, nient'altro?» Chiesi stizzita.

«Per ora nient'altro. Si faccia trovare puntuale in piazza Cavour, dove vi siete visi per andare a pranzo settimana scorsa. Al termine della serata verrete riportate a Como... credo che non sarete a casa prima del mattino seguente».

Quella stronza sapeva del mio incontro con V e la cosa mi dava molto fastidio. Ma non potevo farci niente. In fondo era solo la sua segretaria, mentre io sarei stata un'invitata esclusiva.

«A presto» disse, riattaccando il telefono senza neanche aspettare che la salutassi.

Avvisai Sara di tenersi pronta per quel giovedì e avvisai anche mio marito, soprattutto del fatto che saremmo ritornate tardi. O addirittura il giorno dopo.

Giulio si sentiva tranquillo a sapermi in giro con Sara. Sapeva che lei era molto scaltra e sapeva anche che mi avrebbe protetta. Quello che Giulio non sapeva però, era che di fronte a una cosa come quella che mi aspettava, nemmeno lui sarebbe stato in grado di proteggermi.


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