cinque

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Domenica Michele venne a pranzo da noi. Come capitava sempre, in ogni giorno del Signore, da quando si era trasferito a Milano.

Mio figlio, purtroppo, fece in modo di sbrigare la pratica genitori il più velocemente possibile: alle due era già fuori di casa.

Non so tu come ti rapporti con questa cosa dei figli che a un certo punto non ne possono più dei genitori, ma, per quanto mi riguarda, la questione aveva già smesso di farmi soffrire. Me n'ero fatta una ragione. Mi ero convinta che fosse una cosa normale. I figli, a vent'anni, non hanno la minima voglia di passare il loro tempo insieme ai genitori. E da un certo punto di vista... è giusto così.

Non credi?

Il pomeriggio trascorse via in un mare di noia.

Giulio non voleva sentir parlare di uscire. Ormai mi ero abituata a trascorrere le domeniche in parte dedicandomi alla casa e in parte davanti a un libro o, peggio, al televisore. Giulio, oltre a fare la solita dormita sul divano, aveva sempre qualche evento sportivo che gli interessava.

Dopotutto lo capivo. Passava tutta la settimana in ufficio fin tardi la sera e, da buon maschio, era giusto che si godesse il divano almeno una volta alla settimana. Certo, chiudevo un occhio durante il sabato, perché alla fine, per mio marito, non era poi tanto diverso dalla domenica. Ma per contro, Giulio non aveva di che obiettare se decidevo di uscire con le amiche. Credo anzi che apprezzasse rimanere solo in casa per poter fare liberamente l'orso.

Il piacere più grande della domenica era cucinare il pranzo ma solo perché sapevo che veniva mio figlio. Per il resto, sinceramente, era una giornata che spesso passavo in attesa del lunedì.

Quella domenica tornai di frequente col pensiero alla sera precedente. Sorridevo tra me e me nel ricordare come avevamo fatto l'amore. Ci eravamo spinti più in là rispetto al solito ed era stato bello. Il modo giusto di festeggiare un anniversario di matrimonio.

Durante il pomeriggio raccontai a Giulio di Cadina e della richiesta del suo capo. Lui reagì facendosi una risata.

«Che razza di nome. Vorrei proprio conoscerlo un tipo del genere» disse riferendosi a mister V. «Di solito, quel tipo di persona, si circonda di una flotta di avvocati interdetti».

«In che senso?» domandai.

«Nel senso che sono persone eccentriche, convinte di aver scoperto il segreto della vita, che non lasciano spazio agli altri. O fai come dicono loro o te ne vai. E' gente che si circonda di "yes men" che pensano solo a sfruttare occasione dopo occasione. Gente con poco sale in testa».

«Certo che tu non hai proprio nessun pregiudizio» dissi. «Non lo conosci nemmeno questo mister V».

«Invece ti dico che lo conosco. Ne è pieno il mondo di gente come il tuo mister X, e non sai quanti mi capita di vederne in studio». Disse Giulio.

«Ti confesso che il tuo pensiero un po' mi ammoscia. Credevo di aver trovato una mosca bianca e invece tu la stai facendo diventare una schifezza, come tutte le altre».

«Stai tranquilla amore. Sicuramente il tuo mister V è una mosca bianca. Ma la cosa non mi fa molto effetto perché ne ho viste parecchie di mosce bianche durante la mia carriera. E un po' ti confido che mi hanno fatto venire il voltastomaco».

Poi Giulio mi fece cenno con una mano di aspettare. Prese il telecomando e alzò il volume. C'era la partenza del gran premio di non ho idea di dove e voleva godersela tutta.

Io mi allontanai silenziosa e mi distesi sul lettino in terrazza, a leggere. Certe storie d'amore non iniziano mai per caso.


V.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora