quarantuno

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Mezz'ora più tardi ero pronta. Avevo scelto di indossare un abito di seta rosso appena sopra al ginocchio. Era un poncho in cady a girocollo, di Valentino. Era una sensazione stupenda sentirselo sulla pelle. Ai piedi sandali in vernice dello stesso colore dell'abito e dello smalto sulle unghie. Approfittando della generosità del padrone di casa avevo messo anche una coppia di pendenti in oro bianco e un bracciale a spirale dello stesso materiale degli orecchini, che saliva fin quasi al gomito. Il make up al viso era sobrio, più per mancanza di tempo che per altro; ma era sufficiente per farmi sentire bene e per risaltare il mio sguardo. Come tocco finale una goccia di Eau Du Soir di Sisley.

Mi guardai un'ultima volta allo specchio: mi sentivo bella come non mi ero mai sentita prima.

Con ogni probabilità, il fatto di non indossare mutandine contribuiva a farmi sentire ancora più attraente. Ero infervorata. Non avevo più remore da quel punto di vista: avevo oltrepassato un limite così distante che la mancanza di biancheria intima costituiva solo un gesto piccante.

Scesi le scale fino a raggiungere il grande atrio d'ingresso. Non appena mi vide, Morena mi venne incontro con un sorriso: «Mister V l'aspetta nel giardino est. Mi ha detto di accompagnarla non appena l'avessi vista».

Seguii Morena attraverso la zona della piscina. Assaporai ogni attimo di quella camminata, mentre sentivo lo sguardo degli ospiti sulla mia pelle. Probabilmente mi guardavano nel tentativo di capire chi fossi o, più semplicemente, perché ero meravigliosa e raggiante. Mi piaceva quella sensazione. Amplificata dal fatto di non portare biancheria intima. Sorrisi tra me e me consapevole dei pensieri che stavo facendo. Era il risultato di una trasformazione dovuta alla caparbietà di V.

Per quanto mi riguarda, era l'unico uomo in grado di portare dolcemente una donna a oltrepassare i propri limiti. Mi aveva condotta fuori dalla monotonia di una vita grigia, che m'illudevo fosse piena di colori; senza accorgermi che, in realtà, erano solo diverse tonalità dello stesso grigio.

Finalmente raggiungemmo il giardino est. Al primo colpo d'occhio fu uno spettacolo ancora superiore alla zona della piscina.

Il sole era stato inghiottito dalle montagne ed era calato il crepuscolo.

Una miriade di candele sparse tutte intorno all'unico tavolo apparecchiato e sistemato nel mezzo del giardino. Sullo sfondo il lago illuminato dalle lucette delle abitazioni costiere. Sul tavolo, quattro candelabri illuminavano gli ospiti seduti. Vidi che c'era un posto libero proprio di fianco a V che, non appena mi vide arrivare, si alzò e mi venne incontro: «Ciao, ti stavo aspettando».

«Ciao» lo salutai, percependo la sottile complicità che ci legava.

Morena si dileguò senza dire una parola.

«Vieni, ti presento i miei ospiti».

In quel momento, mentre mi avvicinavo al tavolo e gli ospiti mi guardavano, mi sentivo come una principessa. Lui mi trattava con una gentilezza quasi innaturale. Inversamente proporzionale alla durezza col quale mi scopava. Mi piaceva da morire. Ero certa che V, questo, lo sapesse bene.

Al tavolo c'erano cinque coppie, io e il principe nero formavamo la sesta.

A turno si alzarono tutti in piedi e mi strinsero la mano. Si presentarono col loro nome di battesimo e così fece V con me, presentandomi semplicemente come Giada.

Strinsi la mano a Paolo, un uomo alto e magro dal naso corvino e i capelli ricci brizzolati, vestito con un elegante completo classico e alla sua compagna Martina, una giovane donna bionda in carne, con un vestito rosso fiammante e un decolté prorompente. Poi fu la volta di Bill, un giovane inglese di colore, che mi diede un stretta di mano energica. Valutai che probabilmente fosse il più giovane tra gli uomini presenti e certamente il più dotato fisicamente. Sotto la stoffa del suo morbido vestito di lino si intravedeva la possanza del suo fisico. Bill era in compagnia di un'esile ragazza bionda, Jasmine era il suo nome; lei portava i capelli tagliati molto corti, con la parte centrale tenuta in piedi a mo' di cresta. Indossava una minigonna nera e una maglietta sbracciata dello stesso colore con sopra disegnato un grande teschio argentato in paiettes, che però non facevano altro che sottolineare quanto fosse piccolo il suo seno. Mentre si alzò per stringermi la mano, sorridente ma con uno sguardo di ghiaccio, notai che portava un paio di anfibi.

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