nove

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La settimana scivolò via velocemente e arrivò venerdì.

Non avevo più avuto notizie da Cadina ma avevo svolto meticolosamente il mio lavoro. Avevo preparato due tavole disegnate a mano. Una con quello che avevo battezzato "l'oracolo", disegnato per intero, dove si poteva chiaramente vederne la forma. Un altro con disegnati i particolari e due sezioni. Dopo di che, mi ero messa a lavorare sui gioielli che avrei dovuto consegnare ad altri clienti per l'inizio della settimana successiva.

Avevo visto Sara alla lezione di pilates ed eravamo d'accordo che ci saremmo riviste quella sera per un aperitivo. L'appuntamento era alle sette fuori dal mio studio.

Quel venerdì decisi di saltare il pranzo. Lo facevo spesso quando sapevo che sarei finita a bere un aperitivo in grado di stravolgere il mio stato di forma.

Allo stesso tempo volevo che fosse tutto pronto per la settimana seguente e, prima di sera, avrei fatto un salto da Vincenzo. Anche se l'avevo già visto il giorno prima. Non si è mai troppo prudenti. Vincenzo, a volte, pensa di essere un artista e si mette a fare di testa sua, col risultato di ritardare le consegne. Il trucco è quello di tenerlo sempre sotto pressione.

Verso metà pomeriggio decisi di raggiungerlo e fu proprio in quel momento che irruppe nel mio studio Cadina. Quando la vidi mi prese di nuovo un colpo.

Feci scattare la serratura automatica della porta.

«Buongiorno Giada» mi salutò spavalda.

Indossava un vestito scuro, fin troppo aderente, che non lasciava nulla all'immaginazione. Minigonna striminzita e magliettina attillata. I capelli neri, raccolti, mettevano in risalto il suo bel faccino pulito, anche se aveva decisamente esagerato col trucco. Portava scarpe verde fluo, col tacco vistoso, che mi facevano un filo di invidia. Le sue gambe erano magrissime.

Cadina aveva un corpo perfetto, bisognava dargliene atto. Era esile, con poco seno e poco sedere ma, nell'insieme, era davvero bella.

La guardai per un attimo ammutolita, pensando che, forse, avevo sbagliato sulla sua età. In quel momento mi sembrava davvero molto, troppo più giovane di me.

«Buongiorno» la salutai alzandomi dalla scrivania. «Credevo di non vederla più» dissi.

Lei fece un sorrisetto e si accomodò sulla poltroncina. Senza dire nulla si accese una sigaretta.

«E' così gentile da darmi un posacenere?»

Tutta quella sfacciataggine mi dava sui nervi, specialmente se a comportarsi così era una ragazzetta viziata. Ma ci tenevo alla mia professionalità e non dissi nulla. Le diedi un portacandele di vetro e, dopo aver preso la cartelletta che la riguardava, mi sedetti sul divanetto di fronte a lei.

«Le avevo detto che sarei passata e così ho fatto» disse.

«Ho cercato di contattarla ma ho visto che sul biglietto da visita che mi ha lasciato non c'era scritto niente. Nessun recapito».

«Ha ragione, mi scusi. Ma è una prassi imposta da mister V. Comunque sono venuta fin qui come le avevo detto. Ha qualcosa da farmi vedere?» Chiese col solito sorriso di plastica stampato sul volto.

«Certo. Anch'io, sa, mantengo la parola». Aprii la cartelletta, estrassi i disegni e li misi sul tavolo. «Ho preparato questi dettagli a matita. Il manufatto d'oro dovrebbe venire esattamente così».

Lei prese i disegni e li guardò attentamente. Sembrava che stesse guardando la foto del gioiello più bello che avesse mai visto. Addirittura mi parve che iniziarono a brillarle anche gli occhi verdi. La sua reazione era oltremodo esagerata ma mi fece molto piacere.

«Ottimo» esclamò. «Credo che sia proprio quello che vuole mister V». Aspirò dalla sigaretta, soffiando il fumo nella mia direzione.

«Ha pensato anche al prezzo per la realizzazione di questo gioiello?» Chiese.

«In effetti, sì». In settimana avevo fatto un preventivo. Ne avevo parlato anche con Vincenzo, cercando di stimare le ore di lavoro e il materiale da impiegare.

«Ad opera finita credo che saremmo intorno a ventimila euro».

Cadina non fece una piega. Ovviamente. I soldi non erano mica suoi.

«Okay. Credo proprio che vada bene». Disse.

Allargò leggermente le braccia. «Quindi... proceda pure».

Estrasse dalla borsetta (non più una Givenchy, ma una borsa che non riconobbi, verde con le borchie nere) un'altra mazzetta di euro e la buttò sul tavolo quasi le facesse schifo.

«Mister V mi ha pregato di lasciarle un altro acconto».

«Senta, non credo che possa pagare tutto in contanti. Sa, qui la finanza rompe parecchio».

«Mister V preferirebbe che non ci fosse traccia di quest'ordine. Anche lui non vuole avere problemi col fisco».

«Ma è rischioso non dichiarare nulla. Se poi dovessero trovare quest'oggetto come potrebbe giustificarsi?».

«Mister V sa bene come fare certe cose e ha amici molto influenti, non si preoccupi. Lei pensi a realizzare quel fantastico gioiello e vedrà che non ci saranno problemi. Queste sono altre cinquemila euro. Il saldo lo pagherà direttamente lui quando sarà terminato il lavoro».

«Quindi immagino che non vorrà nemmeno firmare l'ordine?» Chiesi, ormai convinta di avere a che fare con una perfetta stronza.

«Immagino di no» disse sbattendomi in faccia un altro sbuffo di fumo.

Arrivata a quel punto non sarei più stata in grado di rifiutare un lavoro del genere. Per di più pagato in contanti, esentasse. Va bene che, seppur non vivendo da ricca, non avevo problemi economici, ma di fronte a una mazzetta di euro ­-facciamo anche due- è difficile resistere. E poi quella faccenda m'incuriosiva troppo e, se devo essere sincera, avevo anche un certo desiderio di incontrare questo mister V. Non potevo negare che fosse riuscito a esercitare il suo fascino su di me.

Quindi decisi di trasgredire le mie regole professionali, raccolsi il denaro e annuii.

«D'accordo. Per una volta cosa vuole che sia». Dissi.

«Quando crede di riuscire a consegnarlo?» Chiese lei, mentre spegneva la sigaretta nel portacandela.

«Ci vorranno almeno quindici giorni».

«Sicura?» Fece lei, diffidente.

«Credo di sì».

«Crede? Io purtroppo ho necessariamente bisogno di essere certa del giorno della consegna. Mister V vuole passare di persona a ritirare il gioiello e lei capirà bene che non posso rischiare di fargli fare un viaggio a vuoto da Ginevra».

«Certo. Certo che capisco. Possiamo restare d'accordo per Venerdì 15, può andare bene?»

«Perfetto. Nel caso mister V fosse costretto a rimandare, sarà mia premura contattarla per farglielo sapere».

«Va bene». Non osai chiederle nessun recapito. Non avrei retto un'altra risposta da saccente. Ormai era chiaro che non volessero farmi avere nessun contatto, ma andava bene comunque.

Cadina si alzò esprimendo per l'ultima volta il suo detestabile sorrisetto.

«A presto, Giada». Disse prima di uscire dallo studio per scomparire dalla mia vista.

Non feci nemmeno in tempo a risponderle.

Guardai l'orologio. Era tardi. Se fossi andata da Vincenzo sarei arrivata in ritardo per l'aperitivo con Sara. Decisi di farla aspettare. L'idea di consegnare "l'oracolo" in ritardo mi metteva ansia. Dovevo assolutamente mettermi d'accordo con Vincenzo.

Chiusi lo studio e mi misi in cammino maledicendo le scarpe nuove.


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