XXXVIII Iris: LA LUNA

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Canada, 4 luglio 2010

"Da bambina credevo che la Luna fosse il mondo delle persone morte" fisso l'astro e le stelle che lo circondano. "Immaginavo che dopo questa vita ce ne fosse un'altra, più bella e più serena. Vedevo la Luna come un posto magnifico. Sai, in realtà mi piace ancora oggi. Chi è là sopra può osservare la terra dall'alto e può godersi tutto il silenzio della notte. E a te? Piace la notte?"

Dylan è seduto al mio fianco. Mi guarda.

"Non dirmi che hai paura del buio!" mi giro appena verso di lui.

"Io non ho paura di niente"dice. Le sue pupille sono così scure, che non riesco quasi a distinguerle dai contorni delle tenebre.

"Non hai paura neanche della morte?"

Lui non risponde, si limita ad abbassare lo sguardo.

"Conosci nessuno che è morto?" gli chiedo.

"Nessuno"

"Mia madre non è morta, ma per me è come se lo fosse"confesso," alcune notti la sogno sulla Luna"

Dylan si passa una mano tra i ricci.
Ogni volta che compie questo gesto il mio respiro si strozza.

La maglietta del pigiama che indossa si muove leggermente a causa del vento.
E' stato gentile a concedermi la sua giacca.
Mi dispiacerebbe però, se adesso, per colpa mia si raffreddasse, così faccio il gesto di restituirgliela.
Lui mi ferma. La sua mano respinge indietro la mia, riposizionando il capo sulle mie spalle.

"Perchè la togli? Puoi tenerla quanto desideri. A me non serve."

Mi stringo di nuovo il colletto attorno alla gola.
L'odore della stoffa è buono.
E' un profumo aspro e inebriante.
Il fiore che pende dal taschino mi fa pensare a questa mattina, quando Dylan lo ha staccato dalla pianta per portarlo via con sé.

Scruto il ragazzo che ho vicino.
Il suo volto, il suo corpo e le sue mani.
Tutto è talmente in simbiosi, da farmi venire il mal di stomaco.

Dylan si muove leggermente, "Perché questi pensieri sulla morte?" chiede.

"Ogni giorno che passa la sento sempre più vicina"

Lui mi guarda in modo insistente.
I suoi occhi cercando nei miei risposte alle quali neanche io so dare un senso.

"Prima neanche ci pensavo, ma adesso è tutto diverso" aggiungo.

La mano di Dylan si muove, fino a raggiungere i bottoni della giacca che ho appoggiata sopra le spalle. "So cosa significa vedere la morte in faccia. Ho avuto un brutto incidente prima di venire qui. In realtà è proprio a causa di quello che sono stato spedito quassù " ammette, "avevamo bevuto troppo e andavamo troppo veloce. Credo sia un miracolo che io sia ancora vivo e che lo siano anche i miei amici"

Immancabilmente penso a Steve e a quello che mi aveva detto a tale proposito.
A quanto pare la storia dell'alcool e dell'incidente non è affatto un segreto.

"Io ho visto la morte appena qualche giorno fa, al parco di Jasper. Ero con Steve e improvvisamente non riuscivo più a respirare" riferisco.

Dylan non sposta lo sguardo dai miei occhi.
E' piacevole essere ascoltati, è piacevole essere qui, con lui.

"Quando ti manca il fiato, quando il tuo cervello ti dice di prendere aria, ma i tuoi polmoni non sono in grado di farlo è come avere una morsa stretta intorno alla gola, che si prende attimo per attimo tutta la tua vita" butto fuori.

Le labbra di Dylan restano socchiuse, come se dovessero immagazzinare ogni singola sillaba ed emozione.
Non posso non incantarmici.
Sono la perfezione.

"E' per questo che stavi piangendo?" chiede, "temi che possa succedere di nuovo?"

Improvvisamente è come se non fossi nel mio giardino, sul mio dondolo o nel mio paese. Improvvisamente è come se mi trovassi su una nuvola. Sospesa da terra.
Io e Dylan. Solo noi.

Il mio cuore si apre, i miei occhi si abbassano quasi colpevoli. Le mie mani prendono a muoversi l'una sull'altra.

Dylan continua a sfiorare l'orlo della giacca che mi ha concesso di indossare.
Il suo movimento è costante proprio come il ritmo dei nostri respiri.

"Stasera ho provato a correre. Credevo di riuscire a farlo. Ho diciannove anni, tutti a diciannove anni possono correre" La mia voce trema insieme alle mie spalle, che si incurvano appena. "Non ne sono stata capace. Ho anche messo le scarpette da ginnastica e la tuta e una stupida fascia!" porto le mani alla testa, sfilo il cerchietto e con rabbia lo scaglio ai miei piedi.

Dylan segue il pezzo di stoffa finire a terra.

"Non sono capace di correre, di passare un giorno senza medicine! Non sono capace neanche di tenermi un lavoro!" I miei occhi si riempiono di lacrime. Sono tante, fin troppe per essere respinte indietro. "Vivo ogni attimo per ringraziare. Mio padre per i suoi sacrifici, l'associazione che adesso pagherà le mie cure, il Cielo stesso per avermi dato ancora un giorno in più"

La mano di Dylan riprende a muoversi, questa volta in direzione del mio volto. Sale sulla mia guancia e si sofferma a raccogliere le lacrime che non riesco proprio a fermare.

Il suo tocco è caldo. Non credevo che un palmo potesse essere tanto rassicurante.

Socchiudo gli occhi e lascio che la mia pelle venga sfiorata e accolta.
Mi piace. E' una sensazione che mai avevo provato prima di adesso.

"Non devi ringraziare nessuno" dice Dylan, "solo te stessa, per essere quella che sei"

Riapro le palpebre. Gli occhi scuri di Dylan sono sempre lì. Di fronte ai miei.
La sua mano ancora in connessione con il mio viso.

"Sono stata messa in lista per il trapianto di polmoni" Le mie labbra si muovono da sole. Buttano fuori tutto, tutto quello che c'è da buttare. "Potrebbero chiamarmi da un momento all'altro, anche adesso."

Dylan non proferisce parola.
Il suo silenzio è dolce. Molto dolce.

"Questo intervento per me è la premessa di un futuro migliore" deglutisco, senza riuscire a trattenermi dal piangere.

Sembro una bambina. Forse dentro di me lo sono ancora.

L'indice di Dylan si muove sulla rima dei miei occhi. Porta via una lacrima, forse cerca di allontare i miei incubi peggiori.

"Ho paura" riesco a dire a voce alta.

"Non devi averne" sussurra.

I nostri volti sono vicini.
I nostri respiri a un passo l'uno dall'altro.

E' una sera stellata. La luna rischiara il mio profilo, quello di una ragazza malata, in balia tra la vita e l'incertezza, e quello di un ragazzo venuto da New York, bello come il sole ed enigmatico come la notte.

"Come faccio a non avere paura?" Di nuovo vengo sopraffatta dai singhiozzi. "Il trapianto sarà la mia speranza, ma la fine di quella di qualcun'altro, giovane e con la voglia di vivere proprio come me"

Dylan scivola la mano dalla mia guancia sulla mia spalla. Poi spinge la mia testa contro il suo petto. Con fermezza avvolge le braccia attorno alla mia schiena, barricando i miei singhiozzi.
Le sue labbra si fermano tra i miei capelli.

E io, disperata, non posso far altro che abbandonarmi al suo calore, al suo profumo e al suo travolgente abbraccio.

L'AMORE NON ESISTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora