XXXVII Dylan: SINGHIOZZI

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Canada, 4 luglio 2010

Non ho mai sofferto di insonnia nella mia vita.
Forse è l'aria delle montagne, oppure la testa piena di pensieri a non farmi addormentare.

Se chiudo gli occhi scorgo il viso di Iris.
Se li riapro scorgo ancora il viso di Iris.

È mezzanotte e ancora mi giro e rigiro nel letto.

Scendo, fumo una sigaretta e bevo una delle due birre prese alla taverna.
Abbandono la bottiglia sul divano.
Dovrò trovare un modo per smaltire i vuoti, senza che il dottor Cox se ne accorga.

Il fumo e l'alcool sono da sempre stati il connubio vincente per affrontare ogni sorta di problema, ma in questo posto sperduto, sembrano aver perso il loro magico effetto.

Prendo il cellulare. Brian e Tara hanno lasciato un paio di messaggi in segreteria telefonica. Decido di cancellarli. Non voglio nemmeno sentirli, mi farebbero stare ancora più male.

Vago nella mia attuale dimora come un'anima in pena. Il mio cervello è talmente carico di immagini che non riesce a staccare la spina. L'esilio in Canada si sta rivelando un vero e proprio incubo. Mio padre non poteva infliggermi punizione peggiore!

Accendo la televisione.
Documentari, notiziari, talent show.
Nessun film in programmazione. La spengo.

Consapevole e incapace di restare ancora intrappolato dentro queste quattro mura, indosso un paio di jeans sopra il pigiama, prendo la giacca ed esco.

L'ultima volta camminare mi è servito.
Mi ha permesso di distrarmi e di ossigenarmi la mente. I miei piedi si muovono veloci sul marciapiede e nei sentieri del paese.
Procedono spediti, fino a casa Sanders.

Arrivo di fronte al grande cancello e mi incanto a guardare i rami della magnolia, che oltrepassano le sbarre. Sono carichi e rosei.

Il fiore preso questa mattina pende dal taschino della mia giacca.
E' appassito, ma profuma ancora.

Pian piano il mio sguardo si sposta sulla casa.
E' piccola rispetto alla tenuta dei Cox, ma è carina. Ha l'aspetto di una baita di montagna, con le sue assi di legno scuro e le piccole finestrelle.

Mi piace questo posto.
C'è un buon odore di fiori e di erba appena innaffiata. Anche se non ne conosco il genere, credo che questo sapore sia molto vicino a quello di una vera famiglia.

Sono preso dai miei ragionamenti, dalle mie congetture e riflessioni quando, all'improvviso, sento qualcosa di strano.
Un suono diverso da quelli della notte e della montagna.

Non è il verso di un animale e nemmeno il soffio del vento.
Sono lamenti. Singhiozzi per la precisione.
Sono singhiozzi umani.

Mi sporgo dalle inferriate, ma non riesco a vedere nessuno, se non il buio.

Il rumore si intensifica con il passare dei minuti.

Il cancello è alto, ma non invalicabile.
Non ci sono parti appuntite o fili spinati.
Poso la suola sulla barra più vicina e mi do un buono slancio per scavalcarlo.

Quando atterro dall'altra parte sono fiero di non essermi provocato qualche altro danno.
La bozza in testa è già più che sufficiente come souvenir di questa assurda vacanza.

Mi avventuro nel cortile, seguendo il suono dei singhiozzi.
Più mi avvicino, più mi rendo conto che è il pianto di una donna.

Iris.

Infatti è proprio lei. E' seduta su un dondolo, nascosto tra le piante del giardino.
Ha le ginocchia al petto, le mani davanti alla faccia e i capelli lunghi e sciolti.

L'AMORE NON ESISTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora