Canada, 4 agosto 2010
Sono passati due giorni da quando Iris ha riaperto gli occhi. Due lunghissimi giorni nei quali ho sperimentato ogni singola seduta della sala di attesa, nei quali ho pranzato con ogni tipo di schifezza alle macchinette nei corridoi e nei quali ho visto più gente andare e venire di quella presente in un grande magazzino durante i saldi estivi.
Guardo l'orologio sul display del cellulare. Sono le sei e mezza, ormai manca poco per l'apertura mattutina. Mi sgranchisco le braccia e faccio un lungo sbadiglio.
Questa è la seconda notte che passo su un paio di sedie e non è decisamente la cosa migliore del mondo, ma non avrei potuto e voluto fare altrimenti. Ho la schiena a pezzi, ma almeno sono vicino a Iris. C'è solo un muro che ci divide, solo una porta. E i minuti tra un'apertura e l'altra non sono mai abbastanza.
All'improvviso quel pertugio si apre. Finalmente.
Un paio di infermiere escono, lanciandomi uno sguardo. Ormai riconosco i loro volti. Sono le due donne che hanno fatto il turno di notte.
Le faccio passare e entro subito dopo di loro. Indosso il camice e la mascherina presenti nel cesto all'ingresso e vado dritto alla postazione di Iris, senza stare troppo a guardarmi intorno.
Scosto la tenda, affacciandomi al suo letto.
Sta ancora dormendo. Resto in piedi al suo fianco, avendo cura di non svegliarla.
Il suo volto è pallido questa mattina, molto più di ieri. Sulla sua testa pendono un paio di flebo, collegate al braccio. Il monitor al suo fianco emette un bip bip molto veloce.
Vorrei sfiorarle le guance con un bacio o anche semplicemente con la punta del mio dito. Vorrei alleviarle un pò di sofferenze, sarei addirittura capace di prenderle per me stesso. Come può una creatura così piccola e dolce sopportare tutto questo?
La mia mano si avvicina alla sua, sfiorandola. E' un movimento autonomo, quasi meccanico. E' come se le mie dita non sapessero resistere alla tentazione di intrecciarsi alle sue.
"Buongiorno" sussurra lei, aprendo gli occhi.
Le mie labbra si allungano in un sorriso, anche se lei non può vederlo perchè celato sotto alla stoffa della mascherina.
"Come stai?"
E' una domanda idiota, banale, ma è l'unica che mi passa per la testa. L'unica che davvero mi interessa, infondo.
"Sono molto stanca, ma anche tanto felice di vederti" dice con la voce flebile di chi si è appena destato da un lungo sonno.
"Sai una cosa? Mi piace vederti tornare dal mondo dei sogni. Credo che da adesso in avanti non perderò neanche un giorno dei tuoi risvegli. Mi vedrai ogni mattina quando aprirai gli occhi. Ogni risveglio, per trecentosessantacinque giorni l'anno...."
Iris sorride. Le sue dita si stringono alle mie. Sono fredde, sudate e tremano leggermente. Anche la sua fronte è sudata sotta alla cuffia che porta. I suoi occhi sono spenti. Non sono gli occhi della ragazza che conosco, quella combattiva, quella desiderosa di vincere battaglia dopo battaglia. E per un secondo l'assenza della sua schiettezza e della sua luce mi fanno quasi paura.
"Vuoi che ti rinfreschi un po' la faccia?" le chiedo, cercando una sua conferma.
Iris annuisce.
Vado al lavandino e prendo una delle spugne presenti. La imbevo di acqua e poi la strizzo, così che rimanga soltanto umida. Torno da Iris e le passo la pezza sulla faccia, lavando tutta la sua sofferenza o, almeno, provando a farlo.
Scorro sulla sua guancia e poi sulle sue labbra. Non sono rosse, neanche rosee.
Hanno uno strano colore violaceo. Mi concentro su di esse.
Iris le schiude e mi sorride.
Il mio cuore batte forte. All'impazzata.
Sento una lacrima rigarmi il volto.
Credo che non potrò mai abituarmi a tutto questo. Credo che nessuno potrebbe mai abituarcisi. Nè io, né Iris o chiunque possa vederci in questo momento.
Scorro la spugna sul suo collo in modo lento. Ho quasi paura che il solo sfiorarle la pelle possa farle male.
Poi, quando sono in prossimità delle orecchie, un suono acuto mi fa riscuotere.
Una luce rossa lampeggia ad un lato del monitor e tutti i valori che sono scritti su di esso iniziano a cambiare, repentinamente.
Iris sbatte i suoi occhi nei miei. Le sue labbra si muovono appena: "Dylan, Dylan..."
Il mio nome mi rimbomba dentro la testa, da una tempia all'altra, mentre un'infermiera accorre nella stanza. Guarda me, guarda Iris, guarda il monitor.
"Oh! mio Dio!"
La sua voce è un sibilo. Una serpe che striscia vigliacca dentro il mio corpo.
"Cosa sta succedendo?" farfuglio, impaurito.
Le mie parole si perdono nella stanza, tra il suono del monitor e le voci del personale che arriva trafelato.
"Ragazzo devi uscire! Devi uscire subito!"
Un medico mi spinge via da Iris e dalle sue mani fredde. Finisco oltre il tendaggio, che si chiude subito dopo.
"Iris? Cosa sta accadendo a Iris? Per favore, ditemi qualcosa...per favore!"
Ma nessuno si occupa di me.
Resto in disparte, guardando attraverso uno spicchio del tessuto. Non riesco più a vedere Iris, ma solo camici e braccia che si muovono sopra al suo letto. Le voci si sovrappongono, gli allarmi si fanno sempre più intensi e le mie mani, le mie gambe tremano.
Ho il cuore che pompa in modo irrefrenabile.
La gola secca e il fiato corto.
Tutta l'estate mi passa davanti.
Io e Iris.
Non riesco a fare nient'altro che portare le mani al viso e pregare che non sia niente di grave. Pregare che vada tutto bene.
NOTE AUTRICE:
Buongiorno lettori!
Quale giorno migliore per pubblicare un nuovo capitolo se non quello di Natale?
Grazie per esserci sempre, grazie per appoggiarmi così tanto! Ogni commento, ogni foto, ogni messaggio che mi inviate per me è da custodire come la cosa più preziosa del mondo.
Spero di lasciarvi qualcosa con questa storia; qualcosa di bello, qualcosa di diverso o anche semplicemente un piccolo ricordo di ciò che significa essere persone speciali.
Buon Natale. Vi voglio bene.
Serena
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L'AMORE NON ESISTE
ChickLit[COMPLETA] IN TUTTE LE LIBRERIE. VINCITORE di Concorsiamo 2k17 terza classificata sezione romantici. Dylan Prince e Iris Sanders sono due poli opposti, ma paralleli. Lui è uno studente della NYU, che vive per un unico sogno: quello di sfondare co...
