XLII Iris: UNA BAMBINA DIFETTOSA

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Canada, 4 luglio 2010

"La fibrosi cistica è peggio di una madre o un padre autoritari. Con lei non sgarri. Con lei le regole sei costretto a rispettarle. E' una questione di vita o di morte!"

Dylan mi guarda come se avesse di fronte a se una specie rara di coyote scappato dallo zoo.
I suoi occhi sono immersi nei miei.
Completamente assorti e risucchiati dalle mie parole.

"Immagina la nascita di una bambina, una bella casa circondata da fiori e alberi di magnolia. Immagina una famiglia felice. Una cameretta piena di giochi, un armadio colmo di piccoli vestitini. Poi immagina un dottore. La sua diagnosi. La bambina non è così perfetta come si pensa. La bambina ha una malattia complessa, che coinvolge molti organi. Avrà difficoltà a crescere, perderà con il tempo la funzionalità dei polmoni, del pancreas, dell'intestino, a causa della produzione di muco troppo denso. E' una bambina difettosa.
Così, i bellissimi giocattoli sono sostituiti improvvisamente da maschere di plastica dove respirare dentro. I vestiti nel nuovissimo armadio vengono costretti in un angolo da scatole di medicinali. I sorrisi sono rimpiazzati presto dalle lacrime e dalla fuga."

Dylan continua ad ascoltarmi.
Abbiamo appena finito di mangiare, ma non ci siamo spostati di una virgola dalle nostre posizioni. Siamo sempre l'uno di fronte all'altra. Le briciole nei piatti e i tovaglioli sporchi sulle ginocchia.

"Quando ti diagnosticano un male cronico la tua vita cambia drasticamente, anche se è appena agli inizi. Cominciano a sorgere i famosi -non puoi-! Non quei -non puoi- sani e costruttivi che si dicono ai bambini e ai ragazzi normali. Tipo non puoi fare le tre di notte sei ancora minorenne, oppure non puoi trattarmi in questo modo, sono tuo padre! No! I -non puoi- di un malato sono anch'essi -non puoi- malati: Iris, non puoi giocare a palla. Iris, non puoi mangiare fuori. Iris, non puoi fare questa gita con i compagni. Ah! Certe volte i -non puoi- sono sostituiti dai - devi-. Allora lì il disco cambia. Iris devi farti l'insulina. Iris devi rispettare gli orari. Iris devi essere forte."

La cameriera sparecchia, consegnandoci il conto da pagare.
Nè io, nè Dylan ci facciamo caso.
Lasciamo che lo scontrino svolazzi sotto al posacenere di legno.

"Qualche volta vorrei poter dimenticare di essere malata, anche per qualche ora o un intero giorno, purtroppo non è possibile. Non posso saltare la ginnastica respiratoria quotidiana. Non posso non prendere le mie medicine. Spesso vorrei poter dare la colpa a qualcuno. Avere un responsabile da guardare dritto negli occhi, da sgridare, da picchiare, da vomitargli addosso tutto quello che ho in corpo! Ma non esiste nessuno a cui assegnare una colpa. Forse è stato il destino a decidere della mia vita, o forse solo uno sbagliato incastro di cellule. Mio padre è portatore sano di questa malattia e anche mia madre, ma nessuno dei due lo sapeva, prima della mia nascita. Avevano il 25% di probabilità di mettere al mondo un figlio malato. Ecco! Io sono quel 25%."

La mano di Dylan si allunga sul tavolo, fino a sfiorarmi le dita. Mi piace il suo gesto.
Il suo palmo è così liscio e morbido da farmi accapponare la pelle.
Pian piano avanza anche con il busto.
Il suo volto si avvicina al mio, tanto da farmi tremare.

Non so quale siano le vere intenzioni di questo ragazzo. Forse vuole dimostrarmi che mi capisce, che è dispiaciuto per la mia situazione.

Guardo il piano del tavolo e guardo Dylan.
Ogni volta che i miei occhi incontrano i suoi, a distranza così ravvicinata, il mio cuore perde un battito.

Dylan non lo sa, il tavolo che ci separa non lo fa solo materialmente, ma anche in modo metaforico.
Io e il mio disagio.
Lui e la sua vitalità.

"La fibrosi cistica è una malattia subdola e invisibile" Le mie labbra ormai si muovono da sole. Proseguono il loro cammino, fino a buttare fuori tutto quello che sanno, che vogliono, che desiderano espellere. "Nessuno può vederla, ma è talmente ingombrante da pesare come cento chilogrammi di cemento sulle spalle. Tu credi che la mia vita e la tua siano sullo stesso piano? Non è affatto così! La fibrosi cistica non è solo una seduta al centro di cura dove stai facendo il tuo volontariato. Lei è molto, molto di più. E se ti dirò quel di più, sono sicura che tu stesso ti alzerai, pagherai il conto e te ne andrai il più possibile lontano da me!"

Dylan mi stringe forte la mano. "Non lo farò"dice. "Non andrò da nessuna parte. Fammi sapere cosa significa quel di più."

Soppeso le sue parole.
Soppeso il suo sguardo e la sua stretta alla mano.
Sono sincere, come lo è la mia volontà di non nascondare niente di ciò che mi riguarda.
Sarò cruda e realista e forse Dylan capirà quanto stia sbagliando a voler capire.
Potrebbe vivere molto meglio senza sapere. Senza conoscere.

"Quando la mattina ti alzi qual'è la prima cosa che fai?" butto là.

Lui aggrotta la fronte, sorpreso dalla mia domanda.

"Vai in bagno? Ti infili sotto la doccia? Prepari la tua colazione?"

Dylan lascia andare la mia mano, ma il suo busto rimane spostato in avanti. Sbilanciato.

"Credo la prima" dice, "senza dubbio faccio la pipì"

"Io la prima cosa che faccio la maggior parte delle volte appena sveglia è tossire. Ma non un paio di piccoli colpettini. Io tossisco di brutto! Hai presente gli anziani? I fumatori? Ecco! La mia tosse somiglia a quella di quelle persone là!" dico.

La bocca di Dylan si increspa in una smorfia di disgusto, ma non proferisce parola.

"E prima di mangiare cosa fai obbligatoriamente?"

Dylan si gratta la testa.

"Ti lavi le mani? Apparecchi la tavola? Ti metti seduto?" propongo.

"Credo di fare tutte queste tre cose insieme. Cioè non insieme insieme, una per volta. In alcuni casi magari salto la seconda, anche la terza se sono di corsa. La prima...a volte anche la prima, già..."

"Io la cosa che faccio obbligatoriamente prima di mangiare è prendere gli enzimi pancreatici. Hai presente quella capsula con quelle piccole palline bianche di poco fa?"

Dylan si limita ad annuire.

"E prima di dormire cosa fai obbligatoriamente?" chiedo ancora.

"Prima di dormire..."

"Indossi un pigiama? Ti lavi i denti?"

"Sì. Entrambe"

"Io la cosa che faccio prima di addormentarmi è la mia dose di insulina serale. Sulla coscia"

"Vuoi dire una puntura?" deglutisce rumorosamente.

"L'ago è piccolo e fine, ma è pur sempre una puntura" annuisco.

Lui sospira. Il suo volto è divenuto leggermente pallido, così decido di troncare ogni sorta di spiegazione. Sorvolo l'argomento: ginnastica respiratoria, controlli periodici, antibiotici e mucolitici vari.

"Sei riuscito a capirci qualcosa?" mi sforzo di sorridere per riportare tranquillità nell'atmosfera. "Hai le idee più chiare sulla mia malattia, adesso?"

Dylan si passa una mano tra i capelli. Alcuni ciuffi sono dritti, altri ondulati.

"Se vuoi puoi pure fuggire..." gli indico la strada.

"Non voglio fuggire" dice.

"E allora, cosa ne pensi?" chiedo. Il fatto che non sia scappato a gambe levate è già qualcosa di rassicurante.

"Penso che è una merda" dice. "La tua malattia. È davvero una merda!"

Sorrido ancora.
Come posso non dargli ragione?
Una merda è la parola esatta!

L'AMORE NON ESISTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora