XXIII Dylan: GOMITOLO UMANO

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Canada, 30 giugno 2010

Avrebbe senso ripetere a Iris ancora una volta la verità? Ovvero che io non c'entro niente nè con quel dannato giornalino, né con questi maledetti profilattici?

Assolutamente no!

In questo frangente, l'unica cosa saggia da fare è fuggire via. Lontano da lei e dalla mia brutta figura.

Scappare è da vigliacchi, ma sono certo che in una simile circostanza, anche il più nobile degli uomini lo farebbe. Dunque, non me ne pento affatto!

Cammino veloce sotto la pioggia.
Attraverso strade che neppure conosco, affidandomi al mio, per fortuna impeccabile,  senso di orientamento.
Faccio tappa al distributore di sigarette e al supermarket, per supplire al bisogno di nicotina e schifezze.

Quando arrivo alla dependance sono stanco e bagnato. Devo farmi assolutamente una doccia calda. Cerco un telo da bagno e della biancheria pulita nella valigia.
Ancora non ho pensato a disfarla, ma non credo che lo farò; è solo un inutile spreco di tempo, dal momento che a fine estate dovrò rimettere tutto di nuovo dentro.

Il mio cellulare suona.
Sul display compare il nome di Brian.
Lascio che squilli.
Non sono affatto dell'umore giusto per sentirlo.
Il telefono continua a trillare insistentemente.
Alla fine si attiva la segreteria telefonica. Accedo all'area messaggi e ascolto cosa ci sia di così urgente!

"Ehi Dylan! Come te la passi tra le verdi e ridenti montagne canadesi? Fatti sentire qualche volta. Noi stiamo bene, in realtà stiamo benissimo. Sai il mare, il sole..."

La voce di Tara copre quella del mio amico. " Brian racconta come ti sei ustionato ieri sulla barca!" La sua risata mi fa avvertire ancor più la nostalgia della mia vacanza mancata. " Dylan, il tuo amico ha la schiena rossa come un peperone!"

" Non è assolutamente vero!" si difende Brian, " ho solo le spalle appena colorite! Ah! Sai che tra una settimana toglierò il gesso alla gamba? Non vedo l'ora! Non è molto comodo in spiaggia..."

Tara parla ancora: " Neanche a letto, se è per questo!"

Premo il tasto di fine chiamata, interrompendo i loro discorsi. Lancio il cellulare sul divano. Scagliarlo via, è molto meglio che stringerlo fino a ridurlo in poltiglia.

Esco. Lavarmi è la sola cosa che voglio in questo momento.
***

La signora Lydia mi accoglie a braccia aperte. " Puoi usare il bagno tutte le volte di cui hai bisogno" mi accompagna di sopra, " hai necessità di una spugna o di qualcos'altro?"

"Ho già tutto l'occorrente" la ringrazio.

La padrona di casa, vestita in modo impeccabile e pettinata in modo impeccabile, torna al piano inferiore. " Fai pure con comodo!" La sua voce echeggia nella tromba delle scale.

Accedo al bagno.
Le piastrelle sono azzurre.
Il profumo che si respira sa di pino e menta.
Mi guardo intorno curioso.
Sono abituato al lusso. I miei genitori hanno quattro bagni in casa e sono tutti in vero marmo. Tuttavia questo è particolare e diverso.
Non sembra una toilette. È così ben fatta, che ha piuttosto l'aspetto dell'accesso a un'area termale.

Faccio qualche passo avanti.
Alla mia destra c'è un mobile bianco con un grande specchio appeso sopra.
Vi passo vicino, cercando il mio profilo.

Abbandono le mie cose su uno sgabello al fianco dei sanitari. Quasi mi dispiace dover fare pipì in questa tazza; è così pulita, che ho l'impressione di urinare sopra un gioiello prezioso. 

Sgancio il bottone dei jeans e sto per tirare fuori tutta l'attrezzatura, quando un grido mi fa  sobbalzare. 

"Ehi! Vuoi spiegarmi che diavolo ci fai tu qui?"

Stringo gli occhi in direzione della voce.

La testa di Steve fa capolino dalla cabina doccia. "A New York non si usa bussare per sapere se è occupato?"

Ignoro le sue parole. Devo svuotare con urgenza la vescica. Infondo si tratta solo di Steve.

" Mi stai ascoltando?" continua a blaterare, " sono sotto la doccia e sono nudo!"

Faccio pipì, dandogli le spalle.

" Sono nudoooo!" grida.

Sfilo i jeans, rimanendo in boxer. Di fronte al lavabo prendo gli accessori per rasarmi.

" E adesso cosa hai intenzione di fare?"

" La barba" rispondo con ovvietà.

" No, no, no!" Steve protesta senza sosta, " devi uscire. Devi assolutamente uscire. Non puoi rimanere nello stesso bagno insieme a me!"

Non vedo cosa ci sia di così sbagliato.
Con Tara e Brian lo facciamo sempre.
Nessuno di noi tre ci fa mai caso.
E' comunque un buon modo per ottimizzare il tempo.

"Invece di bollire come una pentola a pressione, perchè non finisci di lavarti, così poi posso entrare io?" alzo gli occhi allo specchio, incrociando lo sguardo del ragazzo alle mie spalle.

Steve chiude sempre più la tenda della doccia, incollandosela quasi al corpo. " Se non esci da qui farò chiamare la sicurezza!"

" Cosa?" rido, " in questa casa c'è pure un servizio di sicurezza?" accendo il rasoio e inizio a passarlo sulle guance. " E poi sentiamo, come hai intenzione di chiamare i rinforzi, se hai paura solo a toglierti quella ridicola tenda di dosso?"

Steve guarda il telo di plastica nel quale è avviluppato. Lo sbroglia e viene a grandi passi verso di me. " Tu, tu, tu, sei un brutto, cafone, antipatico, stronzo maleducato! La tua faccia e i tuoi modi mi stanno altamente sulle palle!"

Guardo il suo indice puntato contro di me.
Poi muovo gli occhi al suo corpo gracile, bianco e insaponato. La mia attenzione si sposta sulla sua pancia, sul suo ombelico e ancora più in basso. Poso il rasoio sopra il piano ed emetto un paio di colpetti di tosse. " Sai, forse avevi ragione a vergognarti. Se avessi un moscerino tra le gambe ci penserei due volte pure io a farmi vedere nudo..."

Steve abbassa gli occhi sulla sua pseudo attrezzatura. " Moscerino?" boccheggia.
Rialza la testa. Ha lo sguardo arrabbiato, anzi direi addirittura infuocato.

Poi è un lampo.
Il suo pungo si alza, andandosi a scagliare dritto contro il mio stomaco.
Improvvisamente non vedo più niente, nè Steve, ne' il suo insetto.
Tutto intorno a me si fa bianco e poi nero. Finisco con la faccia contro il pavimento, guancia a guancia con le mattonelle.

" Ma sei impazzito?" mi tengo forte lo stomaco, sperando che il dolore passi velocemente.

Steve prende un asciugamano dalla mensola e si piega al mio orecchio, " Te lo sei meritato, brutto newyorkese dei miei stivali!" sibila.
Poi se ne va, lasciandomi a terra, in un gomitolo umano agonizzante.

L'AMORE NON ESISTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora