~2~ Nebbia e polvere

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Gareth passò una mano sotto le mie ginocchia cedevoli e mi prese in braccio senza apparente sforzo. Il cuore mi batteva all'impazzata, mentre paura e sorpresa m'impedirono di rivoltarmi contro il mio – cosa? Rapitore? Salvatore? – vampiro. Inghiottire il risentimento e l'orgoglio fu come mandare giù una scatola di spilli, ma lo feci, perché ero in trappola e quel Gareth era l'unico che si sarebbe battuto per mantenermi in vita. Mi strinse a sé e anche se non lo volevo, mi ritrovai ad inalare il profumo del suo dolcevita scuro. Era un misto di aghi di pino, spezie e sudore.

Non ero mai stata tanto vicina ad un vampiro e certamente non ne avevo mai annusato uno. Il mio stupido cuore prese a battere più velocemente quando i suoi occhi si chinarono a guardarmi, cremisi come il sole in un tramonto sanguigno.
Sapevo che lo avvertiva: i vampiri possedevano sensi più sviluppati di quelli umani e il sangue era per loro un richiamo irresistibile.

Gli altri due vampiri ci guardavano torvi, chiaramente in disaccordo, ma sembrava che a Gareth non importasse. Sapevo abbastanza della complessa gerarchia sociale dei vampiri da capire che lui era su un gradino più alto del loro, e che non lo avrebbero fermato.

Quanto tempo avevo passato china su vecchi libri e trattati, sulle vecchie cartelle cliniche dei medici che avevano dato vita a quelle creature? Un tempo infinito.

Nei Rifugi, quando diventavi abbastanza grande da capire la portata della minaccia della nazione vampirica, venivi addestrato come un soldato e preparato ad affrontarli. Velocità e forza erano requisiti essenziali che i Selvatici dovevano possedere per sopravvivere, e trasmettere la conoscenza l'unico mezzo per poter fronteggiare un nemico astuto e sanguinario.

Conoscevo il loro comportamento, le loro leggi, il loro governo.

Cami li conosceva meglio.
Non ero mai stata portata per lo studio come lei, ma sul piano fisico ero sempre stata la più forte. Era così che era nata la nostra amicizia: ognuna suppliva alle mancanze dell'altra.

Pensare a lei fu come scavare un po' più a fondo nell'abisso nero che mi squarciava il petto, e mi riscossi. Dovevo rimanere lucida.

I due vampiri camminavano davanti a noi, i lunghi fucili legati sulla schiena. Parlottavano a bassa voce, ma non riuscii a capire che una manciata di parole senza alcun nesso.

Gareth guardava di fronte a sé, perso nei propri pensieri. Fui grata del fatto che non avesse tentato di instaurare un qualche tipo di dialogo; non mi sentivo ancora pronta per affrontarlo.

E' pazzo o è soltanto uno stolto, a volermi come Compagna?

Non riuscivo a capire.
Erano passati più di cinquant'anni da quando i vampiri avevano smesso di cacciare per nutrirsi. Non era stato più necessario: avevano creato gli Artifici, esseri umani nati in laboratorio che crescevano e curavano come bestiame. Niente più che bambole, gli Artifici erano bellissimi per solleticare la vanità dei loro stessi padroni. Vezzeggiati e coccolati come animali domestici, vivevano vite pacifiche senza mai rivoltarsi contro coloro che, ogni volta che il capriccio lo richiedeva, si nutrivano di loro.
Di solito i vampiri sceglievano un Artificio come Compagno; ma talvolta qualche nobile annoiato decideva di scegliere per sé un Selvatico, forse per il piacere di spezzare una volontà ancora intatta sotto il giogo della schiavitù. Come era ovvio aspettarsi, i Selvatici non duravano mai molto a lungo.

Era questo, Gareth? Un nobile annoiato che amava divertirsi con un altro tipo di crudeltà, più raffinata e sottile?

«Da quanto tempo sei in Superficie?»

La sua voce era velluto sulla pelle, morbida come burro.

Non risposi. Doveva accadere, prima o poi: il momento in cui avrebbe spezzato il silenzio per cominciare a farmi domande, prima personali, poi via via più insidiose.

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