~35~ La consunzione di un'anima

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Una luce morbida filtrava dai vetri della finestra, superando la tenue resistenza delle tende di broccato e regalando alla biblioteca un'aura dorata, sospesa.

Affondata nella morbida imbottitura della poltrona, sfogliavo con accidiosa inerzia una raccolta di poesie di vari autori, passando distrattamente da Coleridge a Wordsworth e piluccando alcuni sandwich al burro che Sara aveva lasciato in bilico sul bracciolo di pelle; sospettavo che non fosse stata altro che una manovra discreta per tenermi d'occhio durante l'assenza di Gareth, ma avevo imparato a non badarvi.

Mi allungai pigramente fra i cuscini, combattendo contro l'immobilità prolungata e la noia. Non ero mai stata in grado di perdermi nei flussi della parola scritta come Cami, dimenticando lo scorrere del tempo e gli affanni del mondo, anzi; dovevo sforzarmi per non contare i minuti che avrebbero riportato Gareth a casa, nella speranza che avesse qualche novità interessante riguardo al Cacciatore di nome Arden.

La sera prima avevo cercato di persuaderlo a portarmi con sé a Vauxhall Cross, ma lui non si era lasciato convincere, né con le blandizie né con le minacce. Attorcigliata fra le coperte e nell'attesa del sonno, mi ero domandata se quel rifiuto avesse avuto a che fare con la mia sicurezza o con il tentativo di tenermi lontana dal cuore del covo dei Cacciatori.
La risposta, come il sonno, aveva continuato a sfuggirmi.

Spezzai un altro boccone di pane e lo portai alla bocca mentre voltavo pagina; mi sembrò quasi di sentire addosso lo sguardo di biasimo di Cami mentre qualche briciola restava incastrata fra le pagine ingiallite.

Sollevai lo sguardo quando la porta della biblioteca si aprì, lasciando entrare Luc.

Indossava abiti sportivi troppo larghi per il suo fisico asciutto, tenendo una grossa sacca nera in bilico su una spalla.

«Cercavi Gareth?» domandai incerta, osservandolo mentre verificava che fossi sola nella stanza.

«Clarisse, in realtà», chiosò distratto, «ma dev'essere ancora con Ambrose.»
Senza aggiungere altro né congedandosi, fece per andarsene.

«Ehi», lo richiamai, prima ancora di rendermene conto, «dove vai?»

Luc si fermò sulla soglia, una luce di divertimento a rischiarare il volto solitamente corrucciato.
«Ad allenarmi, giù in palestra», rispose asciutto, con quella voce scabra che avevo imparato a trovare rassicurante.

Non mi chiese di seguirlo; lo conoscevo abbastanza da sapere che non l'avrebbe mai fatto, ma si guardò bene dal chiudere la porta, e lo trovai un invito sufficiente.

Non ebbi remore nell'abbandonare sul cuscino le pietre miliari del romanticismo inglese; raggiunsi in fretta Luc e mi portai al suo fianco mentre si dirigeva verso il piano interrato della Residenza, cercando di rimanere in silenzio affinché non mi scacciasse. Lui però non sembrava infastidito dalla mia presenza, e quando attraversammo la soglia della palestra mi rivolse persino un ghigno sardonico.

«Sospettavo che non fossi una da libri e poesie», considerò, lasciando cadere la sacca nera sul pavimento, che atterrò con un tonfo morbido.

Mi strinsi nelle spalle.
«Non se posso evitarlo», replicai con sincerità.

Non mi sarei neanche disturbata a rifugiarmi in biblioteca, se il silenzio di quel luogo non avesse avuto la voce di Cami.

Luc fece un cenno d'assenso, poi prese a sfilarsi l'ampia felpa.
Distolsi lo sguardo, imbarazzata, e ne approfittai per studiare la sala. Sebbene non vi avessi mai messo piede, mi fu istintivamente familiare; dopotutto, avevo passato la maggior parte della mia vita nelle palestre dei Rifugi, e queste finivano sempre per somigliarsi.

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