Non riuscivo a capire perché l'incontro con quel Selvatico dagli occhi freddi mi avesse turbata tanto, ma mi costrinsi a riscuotermi dal frastornamento per continuare la ricerca di Clarisse. Dal momento che non riuscivo più a scorgere la sua chioma opalina, mi limitai ad attraversare i saloni sperando d'individuarla tra i vari ospiti del Reggente.
Fu solo quando un vampiro mi sfiorò il gomito per sussurrarmi un complimento a bassa voce che realizzai di essere sola.Ormai contavo così tanto sulla protezione di Gareth da darla per scontata anche quando lui non era con me, neanche fossi stata un Artificio.
Non risposi e affrettai il passo, mentre il tintinnio cristallino dei bicchieri e le risate s'intrecciavano come note sul pentagramma di uno spartito, sovrastando i pensieri e il battito accelerato del mio cuore.
Fu un refolo d'aria notturna a colpire la mia attenzione, lo stesso che sollevava in morbide onde la seta di tende bianche come spuma.
Oltre il vetro di una portafinestra, Clarisse era appoggiata al parapetto di pietra di un piccolo poggiolo, la carnagione diafana rischiarata dalla fragile falce di luna che faceva capolino da nuvole stracciate.
Avanzai di un passo per raggiungerla, quando mi accorsi che non era sola.Nella penombra, Ambrose era bello come il sogno di un artista: i suoi capelli d'oro fine erano la corona che non aveva alcun bisogno d'indossare, e gli sfioravano il volto attraente secondo il capriccio del vento.
C'era qualcosa di ferino nel modo in cui la fissava, un'adorazione talmente violenta da essere oltre l'amore umano.«Meine Liebe» disse, con quella voce calda e densa che avrebbe indotto qualsiasi anima a voltarsi per rispondere al suo richiamo.
Clarisse tuttavia continuò a dargli le spalle, una rigidità lieve sugli avambracci nudi, «Ti avevo chiesto di restare là dove potevo vederti.»Compresi che quello era il momento giusto per allontanarmi, lasciandoli alle loro questioni private; così avanzai di un altro passo, per poter sentire meglio.
«Nessuno oserebbe farmi del male, qui» rispose, incolore.
«Eppure» replicò Ambrose, sfiorandole una spalla, «qualcuno ti ha ferita.»
Clarisse si voltò a fronteggiarlo, e sembrava così eterea davanti a lui da farmi pensare che se l'avesse toccata con maggior durezza si sarebbe infranta fra le sue mani come una bambola di porcellana sottile.
«E' la verità a ferire» mormorò, mesta.
Ambrose le posò entrambe le mani sui fianchi, attirandola a sé come se persino quella distanza irrisoria fosse per lui inaccettabile. L'Artificio posò la mano sulla sua camicia bianca, ma se l'avesse fatto per riequilibrarsi o per tenerlo a distanza, non avrei saputo dirlo.
«Quale verità?»
Lei abbassò lo sguardo.
«Il Reggente di Londra dovrebbe sposarsi, avere un erede» rispose accorata, la purezza argentina della sua voce sporcata dal dolore, «Non legarsi ad un Artificio che non potrà mai dargli niente.»Ambrose disegnò il contorno del suo labbro inferiore con il pollice, la comprensione che si faceva strada nei suoi tratti.
«E' Gareth il mio erede» replicò, con la tranquilla gravità di una decisione irrevocabile, «Ho scelto te. Ho messo a rischio la Reggenza di mio padre per soddisfare il mio egoismo, e che Dio mi perdoni, nulla è cambiato da allora.»
Clarisse alzò il viso, gli occhi velati.
«Continui a essere uno sciocco, come lo eri a sedici anni.»Ambrose sfiorò l'angolo delle ciglia di lei, raccogliendo la primizia di una lacrima.
«E' per questo che non volevo che venissi. Devi smetterla di tormentarti» le disse serio, «Lo abbiamo deciso insieme molto tempo fa: finché vivo, ci sarai solo tu. So di cosa non posso fare a meno e non intendo discuterne oltre.»
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Dies Sanguinis
Vampire[ • Conclusa e in revisione • ] Anno 2204. Quando il Sole è diventato velenoso, gli esseri umani hanno cercato una soluzione nell'ingegneria genetica, mutando il DNA di alcuni soggetti per sopravvivere. La mutazione ha però dato vita a una nuova raz...