~32~ Colpe da espiare

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C'era qualcosa di confortante nella prevedibilità dei vampiri, nell'assoluta certezza che, a dispetto dell'eleganza della sobrietà, la loro ipertrofica vanità li avrebbe sempre condotti a desiderare le abitazioni più famose e lussuose di Londra, con buona pace di chi auspicava che nelle loro vene scorresse ancora morigerato sangue inglese.

Che i Leinster avessero scelto per se stessi niente meno che Clarence House, dunque, non avrebbe dovuto stupire; osservando poi i quattro piani rivestiti di stucco chiaro, era inevitabile stimare la misura dell'importanza che riconoscevano al proprio lignaggio e, più in generale, al loro clan.

Fummo accolti sulla soglia da un Artificio sorridente, una creatura vacua che portava sul viso la definizione stessa di mansuetudine. Non furono i suoi lineamenti delicati a colpirmi, né i capelli scuri intrecciati così severamente da domandarsi come facessero a non sradicarsi dalla cute; no, la particolarità dell'Artificio stava nella sua pelle, interamente ricoperta da un fitto reticolo di rose a cinque petali, quasi fosse stata di prezioso damasco.

L'inchiostro dorato risaliva seducente la curva delle spalle e del collo sottile, arrestandosi nel suo intreccio appena sotto lo zigomo, cosicché la ragazza sembrava scintillare sotto la luce del Sole.

Sublime nella forma, squisita nella superficie; e come in un dipinto, sarebbe bastato scrostare appena il colore per distruggerne l'incanto, trovandovi al di sotto nient'altro che legno e canapa.

La bellezza a nascondere una meccanica vana di ossa e tendini, un essere umano privo di pulsioni.

La osservai di sottecchi mentre aiutava Gareth a sfilarsi il cappotto; le rose d'oro sulle sue mani si offrivano alla vista seguendo i guizzi naturali dei muscoli, svanendo poi oltre i polsini stretti e impeccabili delle maniche. Sembravano ammiccare, invitando chi guardava a domandarsi se ricoprissero l'interezza del suo bel corpo o se si arrestassero, a un certo punto.

Immaginai che quel piccolo mistero fosse parte del gioco; così, mentre l'Artificio passava a occuparsi di me con altrettanta cura, sbirciai Gareth per valutare quanto avrebbe indugiato su quell'intrico di rose.

Lui però sembrava concentrare la propria attenzione sulla scala elegante che conduceva al piano superiore, riservando all'Artificio lo stesso interesse che dimostrava per i tappeti lussuosi che ricoprivano i pavimenti.

Con un compiacimento oscuro quanto prettamente femminile, mi riscoprii abbastanza clemente da non prendermela quando la ragazza tornò a ignorarmi per rivolgersi unicamente a lui.

«Il Padrone vi riceverà nel salotto del secondo piano», asserì l'Artificio, chinando la graziosa testa.

Gareth annuì e la sua mano trovò la mia spalla con la consueta naturalezza.
«Vogliamo andare?» mi domandò piano, accertandosi che fossi pronta.

Quella gentile premura era una eco della notte precedente, della tregua che avevamo siglato con le mani, alla luce stanca di una candela.

Quando risposi con un cenno d'assenso, l'Artificio sorrise e ci precedette lungo la scala.

Durante la salita mi concessi di ammirare gli interni; le pareti erano un incanto di quadri dagli stili eterogenei, seppur con una predominanza del gusto ottocentesco. I paesaggi erano confinati entro massicce cornici di legno, mentre delicate porcellane cinesi erano state poste su tavoli lucidati o su preziose superfici di marmo.

Raggiunto il secondo piano, registrai la presenza di un giovane vampiro stravaccato su un divanetto di velluto cremisi, intento a fumare quella che sembrava una sigaretta.

La mano di Gareth scivolò sull'angolo acuto della mia scapola, in un gesto insieme rassicurante e protettivo.

«Salve, cugino.»
C'era distacco in quel saluto, più di quanto quell'appellativo meritasse.

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