Delle numerose notti prive di sonno che avevo collezionato nell'ultimo anno – spazi bianchi e senza memoria, aree vuote su una cartina – quella fu, senza dubbio, la più lunga.
Un pigro chiarore di stelle si rifletteva sulla superficie cieca di uno specchio, irradiando quel fulgore polveroso negli angoli più oscuri della camera.Piccole schegge di vetro occhieggiavano dal vello del tappeto, insieme a rocchetti, viti e rondelle, là dove avevo infranto un vecchio orologio, la cui marcia cadenzata non aveva fatto altro che ossessionarmi finché non avevo deciso di porvi fine. Così, finalmente libero da misurazioni precise, il tempo aveva preso a mutare il proprio passo, curvandosi, rallentando, deformato nella sua tessitura dal peso degli eventi.
Seduto sul pavimento, le spalle contro il muro e i timpani flagellati dal silenzio, non facevo che rivivere il mio colloquio con Shari, pesandone ogni gesto, ogni frase, ogni promessa consegnata con riluttanza.
In un certo senso, era destino.
La sua voce era commossa e dolce, un vibrato lieve, nella mia testa come lo era stata fra le pareti della sua angusta cella; e quella parola, destino, come un ratto tornava a rosicchiare le mie convinzioni.
Proprio io, che non avevo mai creduto alle rigide leggi del fato – una cortina di fumo, un autoinganno per i deboli – mi ritrovavo a dubitare. Eravamo tutti racchiusi in una lacrima d'ambra, intrappolati in una sorte prescritta e immutabile?
Ero davvero destinato a uccidere Shari?Una parte ostinata di me continuava a ribellarsi all'idea; ma pareva che lei fosse nata per questo: essere erosione di ogni mia certezza.
Oh, con quanta sicurezza mi aveva chiesto di rinunciare all'immediato sollievo della morte; con quanta sfrontatezza mi aveva condannato a un compito che mi avrebbe torturato per il resto della mia esistenza.
Non che questa sarebbe durata a lungo, no; avrei onorato il suo ultimo desiderio – la distruzione della Corte, per lei, per Camille– e poi, finalmente, avrei trovato pace.
Quando mi ripenserai, voglio che sia questo l'ultimo ricordo che conserverai di noi.
Mi domandai se fosse davvero possibile sottrarla al futuro, catturandola nella mia memoria; rinchiuderla in una stanza luminosa nella mia testa e custodirla lì, per sempre sospesa, in un luogo in cui la morte non avrebbe mai potuto raggiungerla.
Era questo, dopotutto, il dono che aveva voluto offrirmi: un ricordo, una fantasia dove rifugiarmi quando il senso di colpa fosse diventato insopportabile.
Digrignai i denti, cercando di tenere a bada il dolore e la sua continua risacca.
****
In una notte d'inverno, così tanti anni prima da sembrare ormai un'altra vita, il Dies Sanguinis aveva assunto i toni di una favola triste, di una storia come un'altra raccontata in un mormorio gentile, per allettare il sonno di un bambino inquieto.
Pallidi ricami di ghiaccio decoravano i vetri delle finestre, mentre una luna ancora acerba schiariva il corridoio deserto, vegliato soltanto da vecchi quadri dai colori stinti. Avanzavo a piedi nudi sul pavimento freddo, incapace di prendere sonno e deciso a non restare solo un minuto di più.
Mi ero messo in testa di svegliare Dahlia, l'Artificio dei miei genitori; ero certo che mi avrebbe tenuto compagnia finché non mi fossi riaddormentato, magari cantando un po', per scacciare il silenzio.
Ignorai la porta scura della camera di Ambrose - lui mi avrebbe lanciato contro un cuscino, piuttosto che abbandonare il tepore delle coperte - ma mi ritrovai a esitare davanti a quella socchiusa dei miei genitori. Una lama di luce fendeva il buio, così invitante e calda da spingermi a sbirciare all'interno.

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Dies Sanguinis
Vampire[ • Conclusa e in revisione • ] Anno 2204. Quando il Sole è diventato velenoso, gli esseri umani hanno cercato una soluzione nell'ingegneria genetica, mutando il DNA di alcuni soggetti per sopravvivere. La mutazione ha però dato vita a una nuova raz...