Il dolore non è mai per sempre.
Piace agli uomini credere che lo sia; dopotutto, c'è una certa nobiltà nella sofferenza, nella purezza adamantina della disperazione. Capita però che, in un giorno qualunque, in un momento qualunque, il velo dell'angoscia inizi a scivolare via. La gravità si fa meno schiacciante, e respirare è un po' più facile.La mancanza, in cui il dolore sbiadisce, è più infida. Sposa la quotidianità con brutale disinvoltura, diventandone parte, come una suppurazione senza sintomi; una lenta cancrena che si diffonde lungo i nervi, narcotizzando l'anima.
Per un anno me ne ero lasciata infettare, dimenticando cosa significasse sentire.Finché non era arrivato lui, ad accendere piccoli desideri, a cambiare il colore della mia mente. Lui, che avevo guardato davvero troppo, troppo a lungo per non cedergli qualcosa di me.
Mentre lo lasciavo andare, sapevo già che non sarei riuscita a rinunciare a Gareth, alla scossa di adrenalina che attraversava quel grumo di cellule logore che ormai era il mio cuore.
Non volevo rinunciarvi.Abbandonai la vecchia camera di Elise senza voltarmi indietro, decisa a non attardarmi più su quegli oggetti polverosi e quei disegni che lei aveva toccato, amato, e che la rendevano ancora reale.
L'amo come si ama una sorella, strappata via troppo presto.
Nonostante il mio istinto mi dicesse che c'era ancora qualcosa di non detto, sapevo che non mi aveva mentito.In corridoio potei scorgere Clarisse mentre si accingeva a entrare nello studio di Ambrose, vestita di un abitino di lana azzurra che la rendeva più delicata e attraente che mai; quando si accorse di me, un piacere genuino le increspò le labbra di rosa e mi fece cenno di avvicinarmi.
«Mi domandavo dove fossi», commentò con vivacità, facendomi largo perché attraversassi la soglia prima di lei, «Gareth è già arrivato.»
Mi spinse dentro senza tanti complimenti, con una forza che non mi sarei aspettata da quelle braccia esili; sospettavo che avesse subodorato la mia intenzione di darmela a gambe, perché si richiuse la porta alle spalle, bloccando qualsiasi via di fuga.
L'elegante studio del Reggente era stranamente affollato.
Luc e Gaspar confabulavano fitto in un angolo, le spalle muscolose appoggiate alla libreria che riempiva una delle pareti; Ambrose e Gareth, poco distanti, sembravano l'uno lo specchio dell'altro mentre prestavano ascolto alle parole di Dahlia, seduta sul divano come una matrona.Lo sfregio del fuoco sull'ovale del viso era ben visibile, così come la chiazza rossa dove un tempo v'era stata l'orchidea della Corte; la pesante treccia d'argento le scivolava sulla spalla bruna, mentre i suoi occhi verde menta, brillanti e sagaci, erano puntati su Ambrose.
«Dev'essere una Craven, caro», stava affermando con sicurezza mentre Clarisse mi spingeva verso il gruppetto, «come avevamo già stabilito.»
Non aveva ancora finito di parlare che Gareth stava già scuotendo la testa, torvo.
«I Craven hanno già subito una perdita quest'anno, grazie ai Ribelli. Perdita che imputano a noi, peraltro, e alla nostra presunta incapacità di controllare la sicurezza a Londra», disse con astio, «Sarebbe considerato generoso da parte del Reggente scegliere un altro clan. Victoria, d'altro canto...»Ambrose lo interruppe, vagamente irritato.
«Non sarà Victoria, fratello», asserì infastidito, «ne abbiamo già parlato.»Gareth fece per rispondere a tono, quando i suoi occhi trovarono i miei. Parve sorpreso di trovarmi lì, ma non arrabbiato; anche Ambrose mi scrutò, le belle labbra arricciate per il disappunto.
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Dies Sanguinis
Vampire[ • Conclusa e in revisione • ] Anno 2204. Quando il Sole è diventato velenoso, gli esseri umani hanno cercato una soluzione nell'ingegneria genetica, mutando il DNA di alcuni soggetti per sopravvivere. La mutazione ha però dato vita a una nuova raz...